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Covid fase 3: il delirio

Tutto si può dire, meno che sia inattesa. La corsa dei contagi – ma soprattutto dei ricoverati e dei morti – è ripresa a ritmi infernali in tutta Europa.

L’Italia sta rapidamente allineandosi alla velocità di crociera della Francia o della Spagna. E persino i “virtuosi” da strapazzo del Nord – Germania, Olanda, ecc – hanno perso quel sorrisetto di sufficienza, da ufficiale delle Ss, che gli viene spontaneo quando guardano ai “mediterranei”.

Anche la risposta immediata è la solita idiozia. Divieti mirati sul tempo libero e sulla scuola, nessuna parola sulla produzione. Dcpm a tambur battente per inventare nuove multe sempre più salate, ma nessun intervento pratico per incrementare mezzi di trasporto pubblico e soprattutto le strutture sanitarie pubbliche. Coprifuoco, come in Francia (e forse anche qui), ma solo dalle 21 alle 6 di mattina, poi tutti a prendersi il virus al lavoro o in metrò

Un gran vociare di servi sciocchi contro ogni ipotesi, limitata o generale, di lockdown e altrettanti servi appena meno sciocchi, che studiano il modo di farne il minimo possibile.

Se tutto ciò sia efficace, oppure no, per fermare il contagio non sembra interessare a nessuno. Basta che il campo di gara sia ridotto a due soli “partiti”: quello del “nessun blocco” (Confindustriale puro) e quello dei “pochissimi blocchi” (Confindustriale cum juicio).

Il primo problema, da cui partono tutti, a cominciare dal presidente del consiglio, è infatti “non fermare l’economia”. Che purtroppo per loro è cosa pervasiva, sfaccettata, articolata. Se blocchi una attività, a cascata se ne fermano altre. E partono le proteste dei “fermati” che indicano immediatamente altri comparti “che sono peggio di noi”.

Idem quando provi a bloccare un territorio, per quanto piccolo.

Sappiamo che qui – in tutto l’Occidente neoliberista – si è scelto fin dall’inizio di “convivere con virus”, arrivando perfino a ipotizzare una darwiniana “immunità di gregge senza vaccini”; ossia decine di milioni di morti.

Ma, se ci convivi, il virus si espande. Più nella stagione fredda che in quella calda, ma qui sta e resta.

Come abbiamo detto fin dall’inizio, si trattava di scegliere tra il Pil e la vita. I governi occidentali hanno scelto di difendere il Pil e sono riusciti nello straordinario risultato di ottenere l’opposto: il più grande tracollo economico in tempi di pace che la Storia ricordi.

Ma le soluzioni per circoscrivere il contagio possibili a febbraio marzo – lockdown limitati alle zone focolaio, dalla Val Seriana in giù – non sono più possibili oggi. Il virus è andato dappertutto, grazie all’estate, alle vacanze, alle discoteche e alla massima ripresa di tutte le attività produttive.

Come se ne esce?

L’unica soluzione all’altezza dell’obbiettivo – fermare il contagio – sarebbe quella di effettuare tamponi su tutta la popolazione, mettendo poi in immediato isolamento i positivi, a cominciare dalle “zone focolaio”. Che però, già ieri, venivano contate in 4.913…

Chiaro dunque che si tratta di intervenire su grandi numeri, con milioni di strumenti a basso costo (i tamponi, poco più che dei cotton fioc), migliaia di macchinari a medio costo (per processare i tamponi), migliaia di medici e ancor più infermieri.

Non è impossibile, in linea teorica. Pochi giorni fa, a Qingdao, in Cina, sono stati testati tutti gli abitanti – 9 milioni! – in appena tre giorni. Avevano scoperto un focolaio di soli sei contagiati (6), e con questo screeening di massa ne hanno trovati altri undici. Poi tutti tranquilli, sereni, al lavoro o al ristorante, e pure in discoteca…

Serve insomma una sanità pubblica con mezzi e personale adeguati alla necessità. Che è straordinaria, ma non inaffrontabile. Altrimenti l’alternativa sta solo nei lockdown…

E qui vengono al pettine tutti i problemi dello sviluppo distorto degli ultimi 30 anni. Quando, in omaggio ai diktat neoliberisti (sul piano ideologico) e agli interessi degli “imprenditori” (sul piano degli interessi concretissimi), si è cominciato a demolire sistematicamente tutto ciò che era “pubblico”. Con tagli finanziari, blocco del turn over, intra moenia, trasformazione degli ospedali in “aziende sanitarie” amministrate da manager incompetenti in materia e dotati solo di forbici da bilancio…

Chiaro anche che in sei mesi, quelli passati dalla prima fase critica alla prevista “seconda ondata”, non era possibile e pensabile riparare i danni fatti in 30 anni (solo negli ultimi dieci si sono avuti tagli per 36 miliardi, la stessa cifra teoricamente disponibile con la trappola del Mes).

Ma nella realtà non è stato fatto esattamente nulla per poter affrontare meglio la nuova emergenza. Anzi, si è continuato a regalare miliardi alla sanità privata, che per contrastare una pandemia è come un killer aggiuntivo.

Due soli esempi. Nel Lazio, la giunta regionale di Zingaretti (Pd) ha regalato altre decine di milioni al “privato”, in piena emergenza. In Lombardia, sotto il duo comico Fontana-Gallera, effettuare un tampone presso una struttura privata costa 92 euro. In entrambe le regioni, teoricamente in campi politici opposti, fare un tampone semigratuito in una struttura pubblica costa almeno mezza giornata di attesa al drive in.

Delle Usca (le unità speciali per la continuità assistenziale) nonostante fossero indicate come indispensabili, non c’è traccia. Il numero di medici territoriali non è stato aumentato come necessario. Le indicazioni delle ASL che arrivano alle scuole sulle quarantene sono spesso contraddittorie lasciando nell’incertezza e nel panico genitori, insegnanti e alunni.

Abbiamo la classe dirigente – imprenditori e politici – più indecente del pianeta. Incapace di pensare a qualcosa di più grande del proprio portafoglio, abituata da anni a delegare ogni decisione strategica all’Unione Europea per quanto riguarda le politiche di bilancio e alla Nato per quanto riguarda esteri e difesa.

Giusto un esempio per capire bene. Il “grande fustigatore” Carlo Bonomi, neopresidente di Confindustria, dunque leader pro tempore degli imprenditori privati, è contemporaneamente un funzionario pubblico (presidente dell’ente Fiera di Milano) con un stipendio – pagato da tutti noi – di 107.000 euro l’anno.

Ma la Fiera di Milano è anche la location del famoso “ospedale inutile” di Bertolaso, che ora si pensa di riaprire per ricoverare i nuovi malati di Covid. A quel punto Bonomi potrebbe benissimo – da “funzionario pubblico” – far acquistare all’ente Fiera di Milano un po’ di macchinari elettromedicali “assolutamente necessari”. Magari forniti dalla Synopo, casualmente di sua proprietà come “imprenditore privato”…

In questo balbettìo ed in questo vivacchiare dentro l’emergenza pandemica, l’unica indicazione data come decisiva è la limitazione – ed eventualmente la sanzione – dei comportamenti individuali, ma solo quelli sottratti al tempo e alle condizioni di lavoro. Quella brutale sintesi del “produci, consuma, crepa” sembra essere l’unica dottrina a fare scuola.

Questi sono i protagonisti della classe dirigente. Questi sono il problema, certo non la soluzione.

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