Ricevere critiche è nella fisiologia di un giornale politico. Se non ne arrivassero non si potrebbe neanche migliorare. E come sempre le critiche vanno esaminate una per una, perché difficilmente ce sono di uguali.
Alcune sono preconcette, altre utili in tutto o in parte. Alcune nascono da diversità di impostazione piuttosto rilevanti, altre ancora da equivoci o interpretazioni arbitrarie.
Quella avanzata da compagni autorevoli come Roberto Sassi, Valerio Evangelisti e Nico Maccentelli non rientra in queste casistiche, anche se certamente ci sono equivoci e interpretazioni forzate, oltre che un diverso modo di selezionare le informazioni su cui fondare un giudizio.
Nell’editoriale Il delirio del green pass – al centro della loro critica – pensavamo di aver posto abbastanza chiaramente la questione, visto che fin dall’inizio della pandemia abbiamo criticato puntualmente ogni decisione presa dal governo Conte II e dal governo Draghi I.
Ma evidentemente non lo siamo stati a sufficienza. Altri interventi che abbiamo ospitato hanno proposto punti di vista diversi, spesso rivelatori delle difficoltà di tanti compagni nell’orizzontarsi tra un fenomeno oggettivo come la pandemia e la gestione politico-sanitaria fatta da governi che hanno avuto come stella polare la difesa dei profitti aziendali, a scapito della salute della popolazione e in special modo delle sue fasce più deboli (per reddito o per età).
Non serve ripeterci; abbiamo pubblicato centinaia di articoli ed editoriali su questo tema, stiamo continuando anche in questi giorni e a quelli dunque rinviamo.
Andiamo perciò ad esaminare le tre critiche fondamentali che ci vengono rivolte.
a) Il vaccino è davvero senza alternative?
Questa domanda non può che ottenere risposte diverse a seconda della fase che la pandemia attraversa. All’inizio, nei primissimi mesi del 2020, un vaccino neanche c’era e le uniche soluzioni concrete – in qualsiasi paese del pianeta, con qualsiasi regime sociale e politico – erano affidate alla triade lockdown-tracciamento-protezioni individuali. “Tracciamento”, vorremmo far notare, significa database aggiornati in tempo reale sull’evoluzione della situazione clinica e della mobilità delle persone contagiate.
Ma gli stessi strumenti, in regimi politici differenti, sono stati utilizzati in modo radicalmente diverso. La Cina è nota per aver affrontato meglio di chiunque altro quella fase isolando totalmente le zone focolaio, testando con tamponi tutta la popolazione in quelle aree (il che comporta un obbligo non contrastabile e una sanità funzionante, ovviamente), curando al meglio possibile i contagiati (isolati in strutture apposite fino a guarigione o ricovero) e limitando così sia le perdite umane che quelle economiche, in termini di Pil.
Al contrario, i paesi liberali occidentali hanno messo al posto di comando la continuità della produzione e, quindi, di tracciamento dei contagiati non c’è stata traccia, i lockdown sono stati ovunque molto parziali (tranne nei primissimi casi, come Codogno e Vo Euganeo, qualche altro paesino del lombardo-veneto), limitati ad una serie di attività commerciali e culturali ma progressivamente smantellati davanti alle proteste delle categorie interessate, quando la pressione sugli ospedali diminuiva.
I test sulla popolazione sono stati proporzionalmente pochissimi, e quasi sempre a pagamento, specie all’inizio (chi ricorda lo scandalo dei 90 euro o più che si dovevano pagare in Lombardia nel 2020?).
I contagiati non ospedalizzati venivano rimandati a casa in “affidamento fiduciario”, ovvero con la semplice raccomandazione verbale di non uscire di casa e senza alcun supporto specifico (“vigile attesa e tachipirina”, appunto).
Il risultato è quello che abbiamo davanti. Milioni di contagiati in ogni paese (solo in Italia quasi 4 milioni e mezzo, e 130.000 morti), virus che dilaga, muta (come fanno tutti virus, con o senza vaccino), economie azzoppate, autoritarismo crescente, rapporti di classe quasi militarizzati.
I vaccini, da otto mesi a questa parte, nei soli paesi ricchi, hanno ridotto drasticamente il numero dei ricoverati e morti, anche se – come ammesso anche da virologi ed epidemiologi – i vaccinati possono restare comunque contagiati e contagiare a loro volta. Restare in vita con una certezza del 97%, ed anche di non finire intubati, è comunque meglio della certezza opposta. Ci sembra…
Certamente nei paesi liberisti occidentali è stato istituito un oligopolio vaccinale con solo 4 prodotti ammessi. E anche noi preferiremmo una “concorrenza maggiore”, a cominciare dai cubani Soberana e Abdala, in modo da garantire sia una libertà di scelta sia, probabilmente, un’attenzione maggiore alle caratteristiche individuali (a seconda delle età, ecc).
E certamente nell’Occidente liberista non si ha alcuna intenzione di liberalizzare i brevetti (siamo stati tra i promotori di una manifestazione nazionale, il 22 maggio, su questo), per garantire il massimo dei profitti a solo 4 multinazionali “euro-atlantiche”.
Nel frattempo, le dimensioni della strage di massa sono cresciute esponenzialmente nei paesi più poveri, quelli dove la vaccinazione è minima (vedi il grafico qui accanto).
Ma nessuno scienziato – neanche i ricercatori cubani specializzati in materia – ha messo in discussione il fatto che quei vaccini in qualche misura funzionino. Con i rischi, i limiti e i benefici di tutti i vaccini.
Di “cure alternative e domiciliari” si sente parlare fin dall’inizio, con esperienze molto diverse da medico a medico e con protocolli che con molta fatica hanno trovato una sistematizzazione dell’Istituto Superiore della Sanità.
Abbiamo intervistato più volte medici di base impegnati nella cura a domicilio, che hanno dimostrato l’efficacia di interventi con farmaci comuni e poco costosi nelle prime fasi della malattia. Evitando così un gran numero di ricoveri, aggravamenti e morti. Dunque l’ulteriore intasamento degli ospedali, delle terapie intensive e la diffusione del panico.
Testimonianze che illuminano il crimine perpetrato con lo smantellamento della medicina territoriale (ricordate Giorgetti dire che “il medico di base non serve più, ora c’è Internet”?), e più in generale i tagli alla spesa sanitaria degli ultimi 30 anni.
Ma nessuno di questi medici pretendeva di aver “trovato la cura”. Che a tutt’oggi non c’è. Chi ne è stato convinto, davanti alla riduzione dei casi gravi nella sua esperienza, è stato ahinoi smentito dagli studi fatti su dimensioni più ampie. E comunque ha dovuto affrontare il ritorno delle “varianti”.
In queste condizioni, dunque, dobbiamo oggi rispondere alla domanda “i vaccini non hanno alternativa”?
Ed evidentemente non c’è.
Non c’è a livello di massa, delle decine o centinaia di milioni di persone, non dei “felici pochi” che possono cercare di adottare le alternative più diverse possedendo conoscenze, informazioni, contatti adeguati allo scopo. Rischiando in proprio e facendo rischiare in qualche misura anche la collettività. Perché una pandemia richiede una risposta universale, non individuale.
Siamo una società, non un insieme di individui, e fanculo alla Thatcher…
L’obiezione “in Cina non c’è l’obbligo vaccinale”, come sempre, deve far riferimento al contesto: a) in Cina il numero dei contagiati e dei morti resta minimo (visto che si continua a fare lockdown vero e tamponamento ad ogni pur minima presenza di focolai di contagio), b) i vaccini cinesi fin qui approvati sembrano essere un po’ meno efficaci della media, per il momento.
Insomma, ci sono soluzioni preventive funzionanti e minore “necessità” di mettere in sicurezza tutta la popolazione. E comunque, al 13 di agosto, risultavano aver completato il ciclo vaccinale 777 milioni di cinesi (quasi il 60%, bambini compresi).
I vaccini attualmente in distribuzione nel nostro emisfero sono la soluzione definitiva e ottimale?
Evidentemente no.
Neanche la vaccinazione pressoché universale mette al riparo definitivamente dal contagio. L’andamento dell’epidemia in Israele conferma che il tasso di copertura dei quattro vaccini “euro-atlantici” (lì è stato usato quasi soltanto quello di Pfizer) non è del 100% e la durata degli anticorpi non va al di là dei sei-nove mesi.
Questo rende più probabile la necessità di dover ricorrere al vaccino ogni anno – come per la comune influenza – non di farne a meno. Anche perché le varianti del Covid-19 sono decisamente più “cattive” dell’influenza…
Siamo insomma davanti a un problema oggettivo grande come il pianeta, che non si può affrontare con soluzioni fai-da-te.
Al momento, dunque, bisognerebbe insistere sull’abolizione dei brevetti sui vaccini (tutti quelli già messi a punto e quelli ancora in fase di studio o trial), per aumentarne la produzione fino ai livelli del bisogno di tutta l’umanità. E se si pretende che siano prodotti gratis o quasi, sarebbe illogico non pretendere che siano anche inoculati.
b) Trattamento Sanitario Ricattatorio
Su questo punto, invece, siamo su posizioni molto simili, quasi sovrapposte. La nostra critica al green pass è stata sicuramente più sintetica, forse meno d’impatto, ma non differente:
Preferiscono come sempre scaricare la responsabilità e le colpe sui “cittadini”, genericamente intesi, perché non rispettano individualmente le misure “consigliate”.
Così, invece dell’obbligo vaccinale per tutti, si inventano “misure incentivanti” – il green pass rientra nello schema – che possano spingere ad accettare la vaccinazione, ma fingendo di rispettare la “libera scelta individuale”.
La polemica sul green pass nei nostri confronti, insomma, è semplicemente fuori tema. Si tratta di un “incentivo alla vaccinazione” – come ormai ammesso anche dai fautori di questa misura burocratica – pensato anche particolarmente male.
Le incertezze nell’applicazione – fino alla necessità di scioperare perché richiesto soltanto per l’accesso alla mensa aziendale, mentre per il normale orario di lavoro “non serve” – stanno lì a dimostrare che gli “strateghi” del governo riescono bene nel creare falsi obbiettivi, ma falliscono sempre nel combattere la pandemia. Perché hanno scelto di conviverci.
Anche “l’accordo” raggiunto con i sindacati confederali sul green pass per i docenti conferma che di fatto si tratta di un obbligo vaccinale mascherato da “scelta libera”.
Semmai, come argomentazione critica, si potrebbe aggiungere la logica sottostante, che risulta tipicamente “finanziaria”, in stile Fondo Monetario-Unione Europea. Invece che “prestiti contro ‘riforme’” abbiamo “certificato contro libertà di movimento”.
La differenza sta nel fatto che puoi anche riuscire ad imporre a popoli interi le “riforme strutturali” che gli proponi, grazie a governi compradori, ma ad un virus – in questo modo – non gli fai neanche il solletico. Non lo puoi “convincere”…
Naturalmente, sul piano dei rapporti di lavoro, l’insistenza governativa sul green pass è tipicamente confindustriale: serve ad aumentare il comando sui lavoratori, non certo a ridurre le occasioni di contagio. E dunque non ci crea nessun “imbarazzo teorico” il sostegno alle iniziative sindacali che vertono su questo punto. Anzi…
Così come non ce ne creano la manifestazioni francesi, sull’onda dei movimenti degli ultimi due anni (gilet gialli e sindacati come la Cgt, ma non solo).
Ma cambiando i contesti nazionali – purtroppo – cambiano anche le connotazioni e le implicazioni politiche. Qui “le piazze” (ripetiamo: “non oceaniche”) contro il green pass sono state soltanto marginalmente “spontanee” e abbastanza chiaramente egemonizzate-organizzate dalla destra (da Forza Nuova alla Lega), ripercorrendo in tono minore l’esperienza “arancione” dei pappalardi di turno.
Lo diciamo non perché “accodati ai media mainstream” – contro cui ci sembra di sparare ogni giorno – ma perché siamo andati a vedere con i nostri occhi.
Il triangolo no, non l’avevo considerato…
Qui invece c’è un problema di impostazione teorica piuttosto serio. Che definiamo con le nostre parole: la difficoltà del pensiero antagonista italiano a confrontarsi con l’oggettività del reale.
Senza metterci a ricostruirne genesi e storia, il nocciolo che abbiamo provato a illustrare con il “rapporto a tre: popoli, capitale e virus” è il nodo problematico ricorrente quando si affronta ogni tipo di situazione (metti qualcos’altro al posto del virus e la situazione è identica).
Nella quotidiana lotta di classe, sia sindacale che politica, ci possiamo a volte anche accontentare – per pigrizia o abitudine – di prendere in considerazione solo noi e il nemico.
Opporsi al padrone o al governo quando vogliono metter mano ai rapporti di lavoro o alla legislazione, anche quando non si comprendono del tutto gli scopi o la ratio di certe decisioni, è sempre giusto. Di più: ci “si prende”, perché la struttura degli interessi di classe è fatta di contrapposizioni dirette. Come diceva Josè Dolores in Queimada, “se a te conviene che io viva, allora a me conviene di morire”. Un caso limite, certamente, ma chiarificatore.
Ma ogni episodio della quotidiana lotta di classe produce, insieme e grazie al conflitto, una sintesi, una nuova situazione che cristallizza temporaneamente il rapporto di forza espresso nel conflitto. E che disegna le condizioni di partenza di un nuovo conflitto.
Quelle condizioni di partenza sono oggettive per entrambe le classi o i soggetti in lotta.
A forza di sconfitte, negli ultimi 40 anni, abbiamo praticamente perso il senso e lo scopo del conflitto sociale. Si reagisce – sempre meno o più flebilmente – ma non si spera neanche di poter vincere. E dunque di arrivare a una sintesi che certifichi un rapporto di forza migliore, che sarà oggettivo anche per l’avversario. In alcuni casi, gruppi di compagni si accontentano di registrare una “dinamica del conflitto”, quasi una “ginnastica”, al di là di qualsiasi risultato da raggiungere.
La fine degli anni ‘60 e i ‘70 hanno visto invece molte nostre vittorie, che hanno cambiato le leggi, le usanze, i modi di pensare e i rapporti di forza tra le classi. In quelle condizioni era chiaro per ogni attivista che la sintesi non era mai pienamente soddisfacente, ma registrava comunque un avanzamento. Condizioni migliori per noi e peggiori per la borghesia, ma oggettive per entrambi.
Nessuno, allora, provava a contestare l’esistenza dell’oggettività per modificare la quale ci si batteva. Né, di conseguenza, la nuova oggettività che si voleva conquistare con la lotta.
Ma tutto ciò, lo capiamo bene, non è altrettanto chiaro oggi. Neanche quando ci si deve confrontare con qualcosa che non nasce dentro la quotidiana lotta di classe, ma come conseguenza imprevista (o sottovalutata, ecc) del rapporto malato tra il Capitale e la Natura. Un virus, in questo caso. Ma anche il cambiamento climatico e l’inquinamento.
I tre compagni cui stiamo rispondendo ci contestano:
“Quello che qui non viene considerato, è che sarebbe un rapporto a tre se la pandemia non fosse gestita da uno dei due elementi umani, ossia la borghesia e non il popolo, o meglio non certo le classi sociali subalterne. E questo vale anche per l’ambiente (di cui la pandemia è parte). Sono semmai gli ecologisti liberali, quelli che non intervengono alla base del rapporto tra capitale (ossia umanità nei rapporti di produzione e riproduzione capitalistici) e natura ad avere questa stessa logica del rapporto a tre.”
In questa critica si tengono insieme, fino ad identificarle, due cose molto diverse, anzi contrapposte: l’esistenza oggettiva di un problema e la sua gestione da parte di una delle classi in lotta. Ossia due dei lati del “triangolo”, che in questo modo – a loro dire – verrebbe a cadere, per tornare alla pura e semplice contrapposizione tra noi e loro.
Ora a noi sembra che in questa riduzione si finisca per dire una cosa vera, verissima, ma molto generale: che anche la pandemia è colpa del capitalismo, sia per la sua genesi che per la sua gestione. Così come, indubbiamente, per il cambiamento climatico, ecc.
L’identica affermazione si può fare per qualsiasi altro problema che affligge l’umanità nel XXI secolo. Fame, guerre, razzismo, ignoranza, maschilismo… l’elenco è infinito.
Detto questo, però, resta il fatto che tutti questi problemi sono oggettivi. Esistono per colpa del capitalismo, ma vivono e si alimentano con dinamiche proprie.
Il caso del cambiamento climatico è forse il più chiaro. Come spiega il fisico e compagno Angelo Baracca, “un sistema termodinamico non può più ritornare allo stato di partenza anche se si potessero eliminare tutti i fattori perturbanti: per un sistema complesso, altamente non lineare, si presentano delle soglie oltrepassate le quali il sistema evolve in modo assolutamente incontrollabile e imprevedibile”.
Tradotto nel linguaggio più “politico-teorico” che stiamo usando: “puoi anche eliminare le cause – ossia il capitalismo – ma il cambiamento climatico resta ed evolve secondo leggi fisiche, chimiche, biologiche, ecc, al di fuori del controllo umano”.
Certo, eliminando le cause e il capitalismo si creano le condizioni per una gestione migliore – scientificamente e umanamente – del problema ambientale, ma quel problema resta e resterà per decine o centinaia di anni.
E così per questo virus, le sue mutazioni e i virus nuovi che stanno purtroppo incubando in chissà quale vettore animale, vegetale o di laboratorio.
Anche se avessimo la bacchetta magica che ci permette di eliminare domani mattina tutti i capitalisti, comunque avremmo a che fare con la pandemia. E la fame, il razzismo, gli strascichi delle guerre, i nazionalismi aggressivi, ecc.
Non dovrebbe essere sorprendente per chi certamente sa meglio di noi che eliminato lo zar la guerra continuava ed eserciti imperialisti entravano in Russia. O che, battuti i giapponesi e Chang Kai Shek (vecchia grafia sessantottina, scusateci), c’era da pensare a come sfamare centinaia di milioni di cinesi e metter su un sistema produttivo funzionante, oltre che più giusto.
Problemi oggettivi, tutti. A prescindere da chi li gestisce.
Sarebbe certo meglio che li gestissimo noi, o comunque secondo una logica dipendente dagli interessi popolari. Ma quei problemi esisterebbero comunque, per molto tempo (dipenderebbe dalla qualità e quantità delle soluzioni trovate, costruite, rese “sistema”).
Altrimenti i problemi riscontrati da tutti i tentativi di costruire società socialiste sarebbero riducibili a “deviazioni ideologiche”, “residui di mentalità capitalista”, “tradimento dei dirigenti” e via elencando pseudo-spiegazioni che non spiegano nulla. Ossia “difetti della soggettività”, da cui ci si può considerare esenti per il solo fatto di nominarli, senza mai tenere nel dovuto conto le condizioni materiali oggettive in cui dovevano agire.
Questa difficoltà a confrontarsi con la durezza dell’oggettività – che ci inchioda non solo nella pratica politica collettiva, ma anche e forse più nella elaborazione di un pensiero efficace – è così generalizzata da costituire quasi un “comun sentire” nella sinistra antagonista e/o rivoluzionaria (e i due termini, a ben vedere, non sono affatto sinonimi).
Un altro intervento pubblicato nei giorni scorsi, di Fulvio Sini, descriveva con altre parole lo stesso problema: “ci viene bene stigmatizzare chi si conforma; è nel nostro DNA radicale, lo stesso che al contrario ci fa provare simpatia per chi ha gli anticorpi per reagire a un’imposizione. In genere è un patrimonio comune”.
Ma una volta “reagito all’imposizione” e allontanato da sé il controllo occhiuto dello Stato (neanche davvero, però, perché si entra in automatico in una banca dati con altra intestazione, quella dei “senza green pass” o altro attestato) resta comunque il problema oggettivo. Che sia un virus, il cambiamento climatico o… il modo di produzione.
Chiudiamo questa lunga tirata con un richiamo ai “classici” che ci sembra obbligato (siamo leninisti e marxisti di una certa età anche noi), per chiarire ancor meglio il punto dell’oggettività dei processi e dei problemi che la lotta rivoluzionaria deve affrontare:
“.gli uomini fanno la storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì dalle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé”.
Anche il capitale, dunque, nel suo “gestire” tutto quel che può, crea forze, soggetti, reazioni – umane e non, ossia volontà collettive o cataclismi naturali – che “gli si ergono davanti come potenze ostili”. E se le forze umane possono essere represse, calpestate, distrutte – anche se è sempre “obbligato” a ricrearle – quelle naturali sfuggono al suo controllo sistemico, perché obbediscono ad altre leggi.
Quelle leggi che “valgono in ogni sistema inerziale di riferimento”. Che sia un virus o il clima, l’evoluzione è oggettiva.
E anche il proletariato liberato dallo sfruttamento se la trova davanti come tale. Ed è bene, non male, che chi vuol cambiare tutto cominci a pensare in modo concreto questo cambiamento, non solo auspicandolo con le proprie condanne ideali.
Conclusioni
Il resto – il sospetto di “interclassismo”, il possibile scambio tra “collettivismo e paternalismo”, e altre battute che sollecitano l’uso della camomilla o poco più – sono cose sfuggite dalla penna per gusto dell’iperbole, col sempiterno rischio di trasformare differenze in contraddizioni fine-di-mondo. Ma è noto che “Quandoque bonus dormitat Homerus”. Capita a tutti, non c’è da arrabbiarsi sul serio.
Più seriamente, ci troviamo a fare uno sforzo collettivo di gran lunga superiore alle nostre forze. In tutti i campi: politici, sindacali, culturali, ecc. Ci siamo disposti da tempo a cogliere il buono o almeno l’utile in quel che viene prodotto anche fuori da noi. Anche lontano da noi (sorprendiamo spesso, ci dicono, citando articoli da IlSole24Ore e MilanoFinanza, oltre al tanto che arriva da gruppi certamente più vicini).
Non pretendiamo di avere tutte le soluzioni in testa, e tanto meno in tasca. Ma non rinunciamo a dire cosa bisogna fare, cosa faremmo ora, in che modo pensiamo di combattere l’orrore verso cui ci spinge un modo di produzione in crisi sistemica.
Non ci accontentiamo di maledire il nemico. Vogliamo togliergli ogni residuo di credibilità e presa sociale.
Per far questo bisogna pensare in grande, “assumere di sé la fatica del concetto” e delle proposte concretamente realizzabili, oltre che quelle desiderabili.
La lotta di classe si fa ogni giorno. Alcune cose si risolveranno solo sui tempi lunghissimi, altre su quelli medi, altre forse mai. Ma una alternativa credibile, a livello di massa e nella dimensione del “sistema”, non si costruisce se non affronta di petto i problemi oggettivi che ci stanno davanti e resteranno lì, aggravati, anche quando questo modo di produzione sarà distrutto (non cadrà “spontaneamente”).
Ci piacerebbe che i nostri compagni di strada ponessero altrettanta fantasia e acribia su questo fronte. Saremmo di sicuro tutti più forti e ognuno meno solo.
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Claudia
Complimenti veramente!
nico
sono fatti vostri se avete avviato un dibattito da massimi sistemi, ne avete diritto. io sono nato e cresciuto in una provincia del sud e chi organizzava i ragazzi a quel tempo era prevalentemente la chiesa. a starci dentro ho visto e vissuto quell’aria dogmatica che non pensavo poi adulto di trovare in campo comunista, ma si sà che qui si tratta di scienza. ma il risultato per gente come me non cambia, ed è quello di ritrovarsi soli. si perchè mentre voi vi accapigliate sulle virgole certamente fondate dull’ABC della teoria ci avete lasciati soli e forse non da ora, solo che ora la cosa è lampante perchè la vostra capaità di rappresentarci è scesa a valori da farmacista. non siete capaci di prenderne atto. la Pandemia è un evento eccezionale e come tale mostra chi sono i duri che devono scendere in campo, fuori di pandemia a gestire la crisi sempre grave economica e sociale apparivate dei veri DURI. ma l’oro si prova al crogiolo. ciò che a me dispiace e che questa posizione sul green pass con i solito distinguo sia anche di PaP. forse quello che non capisco e che politicamente sia necessario cavalcare la tigre, ma si corre il rischio di cadere. non sono un fiosofo ma penso che esista una differenza tra “individualismo” e soggettività. bene io non voglio rinunciare alla mia soggettività all’individualismo ci ho rinunciato da tempo. e per concludere sarebbe ora che si partisse da quello che si sa e dalla chiarezza dei numeri su virus e pandemia.
alberto+gabriele
Complimenti compagni per aprire questo dibattito interno alla nostra area. E’ necessario e opportuno politicamente, anche se a me personalmente qualsiasi posizione anche lontanamente no vax pare folle e reazionaria in quanto individualista e antiscientifica. Ma invece tra la gente e anche tra molti compagni le opinioni sono molto piu’ eterogenee e confuse e quindi e’ bene discutere.
antonio
non voglio “intrupparmi” in chissà quale conflitto o diaspora etico.filosofica e chissà cos’altro; ma: la differenza credo consista nel sapersi porre le giuste “domande””! Cosa questa che Contropiano sa fare e sa esporre concretamente. Altri – in buonafede, loro malgrado – a volte “scivolano” sulle classiche “bucce di banana” abilmente disseminate da “saccenti post-filosofi antiscientisti in vena di: …SOVVERSIONE (eheheh), bucce di banana e sparse sul terreno di un confronto a volte “astruso”! ..dov’è la razionalità, l’etica e la “ragione”? …aaa saperlo; saperlo. Prosit
walter Gaggero
i vaccini hanno ridotto il contagi,rispetto allo scorso periodo dell’anno scorso?
A quanto dimostra Travaglio no.
Non lo dice nessuno ,non ò che il vostro sia un luogo comune?
Redazione Contropiano
Non leggiamo Travaglio, se non per caso. Non ci piacciono i reazionari manettari.
Quanto alla tua domanda, è semplicemente sbagliata. I vaccini non riducono granché la possibilità di contagio. Riducono – in media del 97% – il numero di ricoverati in terapia intensiva e di morti.
Che non è poi un così brutto risultato.
Augusto Paris
Mi spiace , alla fine giustificate il green pass, che limita la liberta. Siete perbenisti . Viva la libertà sempre, noi non saremo mai liberi se qualcuno non ha la sua libertà. Viva il comunismo
Redazione Contropiano
Stai dicendo due castronerie sesquipedali. Primo, sulla nostra “giustificazione del green pass”; seconda sul concetto individualista di libertà, tipico del capitalismo e l’opposto del comunismo. La libertà cui si punta da due secoli è dallo sfruttamento e dal bisogno, senza le quali non ci può essere alcuna libertà sostanziale.
“Nadie se salva solo”. Studia meglio, penserai meglio.
Augusto Paris
Forse non mi sono spiegato bene, conosco molto bene il concerto di libertà positiva, che forse vi sfugge, studiate meglio voi, che forse penserete meglio, so che la situazione sul green pass è sfruttata dalla destra, è proprio per questo non gli va lasciato tutto questo spazio politico, tantissimi compagni la prendono come me
Redazione Contropiano
e la prendono male… Un cosa è la lotta sindacale contro l’uso padronale del green pass (sacrosanta, come si vede da quel che dice Bonomi), altra cosa è pensare di fare un movimento politico su una certificazione del cazzo che tra poche settimane sarà sostituita da qualche altro ballon d’essai.
Augusto Paris
Avete eliminato la mia risposta, comunque avete fatto un passo avanti.
Redazione Contropiano
Noi siamo rimasti fermi. Forse tu ti sei liberato di un equivoco…
Augusto Paris
Va bene, a voi spetta sempre la ultima parola, nessun equivoco, vi avevo scritto semplicemente. Che quando si ricattano i lavoratori come quelli della scuola , ma adesso anche altre categorie lo saranno. Questo è fascismo, e chi si chiama comunista deve opporsi a questo ricatto, ma voi continuare a non voler capire, nemmeno le giuste critiche dei vostri collaboratori, precise e puntuali e circostanziate,
Redazione Contropiano
Ultima risposta, perché non è una chat: sei tu che fai finta di non capire quel che andiamo dicendo ogni giorno. Avrai i tuoi perché, ma non è che insistendo con queste battutine ci farai cambiar posizione.
Andrea
Negli anni 80 non esistevano no vax. Mi sembra che le teorie no vax siano esplose intorno al 2000, guarda caso con il dispiegarsi delle politiche neoliberali. Credo che la narrazione neoliberale abbia spinto alla creazione di questa ideologia da più parti: da un lato attaccando l’idea stessa di sistema sanitario pubblico e gratuito, di ricerca universitaria pubblica, pompando il profitto in ambito sanitario ha allontanato la medicina dal sentire comune e quindi dalla fiducia della gente comune. Vuoi curarmi o vendermi qualcosa? Dall’altro il concetto “io sono il medico di me stesso” tipico del no vax non è altro che il ” self made man” traslato sulla salute. Io non ho gli strumenti culturali e intellettuali per approfondire questa mia analisi, ma vorrei sapere se secondo voi mi sono almeno avvicinato a qualcosa di sensato. Perché se è così mi piacerebbe che voi approfondiste questo tema. Grazie Andrea
Redazione Contropiano
Crediamo che tu abbia centrato il problema. Il neoliberismo, pompando l’invidualismo contro il collettivismo (“societico e comunista”), ha fatto consapevolmente sviluppare una sub-sub-cultura che, non paradossalmente, rifiuta sia il “merito” che la “conoscenza”.
In altri campi, cinquanta anni fa se uno studente molto minorenne (elementari e medie) veniva punti dagli insegnanti (una nota o una sospensione) provocava una punizione supplementare da parte del genitore. Da alcuni anni, invece, il genitore va a contestare o picchiare il docente che si è azzardato a ledere la “libertà” del figlioletto, frustrandolo…