A scriverlo è Tonia Marsella, cittadina tarantina, in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica, dopo la firma – e la riscrittura – da parte di Napolitano del decreto del governo sulla vicenda dell’Ilva.
“Avevo davvero riposto in lei la mia fiducia, credevo che fosse una persona per bene, che difendesse la nostra Costituzione. Credevo che quei valori, di cui tanto parla, fossero davvero radicati in lei e fossero il punto di riferimento per ogni sua azione, per ogni sua decisione. Credevo che avrebbe scelto la vita e non la morte.. E invece ha firmato la nostra condanna” scrive la donna nella missiva resa nota dal comitato ambientalista “Donne per Taranto”.
“La condanna di una città sacrificata da anni in nome del profitto più squallido e criminale, abbandonata nelle mani di una famiglia di imprenditori senza scrupoli, plurindagati e pluricondannati e tutt’oggi agli arresti domiciliari o addirittura latitanti – scrive Marsella -. Come credere ancora nello Stato Italiano? Come credere nella politica e in chi dovrebbe difendere e promuovere il bene comune..e invece ci ha rubato anche il diritto alla vita? A Taranto c’e’ un’ordinanza del sindaco che vieta il pascolo entro un raggio di non meno di 20 km attorno all’area industriale…ma in quei 20 km noi ci viviamo. Vivono i nostri bambini. Le pecore e le capre sono state uccise…ora lo Stato uccide anche noi…per decreto. Ho bisogno di sapere da lei, signor presidente, cos’hanno di diverso i bambini di Genova rispetto ai nostri”.
“Perché lì l’area a caldo é stata chiusa in quanto incompatibile con la città, e la produzione spostata a Taranto? Chi ha compiuto il “miracolo” rendendola “compatibile”? Venga qui venga a visitare i nostri bambini devastati dal cancro (e non solo), li guardi negli occhi e sostenga il loro sguardo, se ci riesce, gli spieghi perché lo Stato ha preferito darli in pasto al Mostro, quel mostro che ha distrutto il nostro mare, violentato la nostra terra, insozzato il nostro cielo. Dica alle loro mamme – conclude la lettera – che la malattia e la morte del figlio é necessaria altrimenti cala il Pil”.
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A riprova del segno aziendalista del “decreto Riva” arriva nel pomeriggio una notizia. L’Ilva rinuncia al Riesame sui sigilli imposti ai prodotti finiti e si rivolge direttamente alla procura per ottenere il dissequestro dei suoi impianti, forte del decreto che di fatto cancella il provvedimento con cui era stata bloccata la produzione.
In pratica, dice Repubblica (non proprio il cuore dell’antagonismo) “gli avvocati del colosso hanno chiesto l’esecuzione di quanto contenuto nel decreto legge entrato in vigore ieri, consentendo all’azienda di rientrare in possesso dei reparti sequestrati e della merce”.
Il decreto legge comporta infatti “l’inefficacia del provvedimento di sequestro nel momento in cui garantisce la continuità dell’attività produttiva nei siti industriali ritenuti strategici per l’interesse nazionale”.
Per essere ancora più chiaro, il ministro per la distruzione dell’ambiente, Corrado Clini, si è limitato a dichiarare in modo molto gelido: “Mi interessa far ripartire l’azione di risanamento e mi auguro che nessuno si opponga a questo obiettivo che è sempre più urgente”. Sul fatto che il decreto fosse motivato soprattutto dall’esigenza di bloccare la magistratura, ha precisato che: “Io sto alla legge ed è quella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale che deve essere rispettata da tutti. Se qualcuno non vuole rispettarla, non è una questione di cui devo occuparmi io. A me interessa far ripartire il risanamento”.
La legge sono io, in pratica. Alla faccia di Tocqueville…
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PAOLA DURLO
Napolitano ha le mani sporche di sangue, quello dei bambini di Taranto e della loro gente, quella di chi si è ucciso perchè strangolato dal PIL…….. quello di chi ancora lotta nelle strade per difendere ciò che resta di quello che è stato dato in pasto a impresari scellerati , ai politici corrotti, di chi lotta e viene selvaggiamente picchiato perchè non abbassa gli occhi davanti al Potere del Denaro, perchè ha ancora coraggio per andare avanti in questo che non è più un Paese Civile.