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Venezia, un editoriale dal futuro

Oggi è una data storica, perché il 2 giugno del 2023, oltre a festeggiare la nascita della repubblica, fu inaugurato il MOSE di Venezia.

Ci vollero venti anni per costruirlo, sperperando molti miliardi di euro, arricchendo i politici veneti tramite le tangenti, politici poi processati (qualcuno, dopo tutto questo tempo, si ricorda ancora di Galan, governatore leghista del Veneto?), MOSE costruito per proteggere Venezia dall’acqua alta.

Dopo quattro anni il sistema MOSE si dimostrò chiaramente essere inutile, sempre guasto, in rapido affondamento nella laguna, e inutile a bloccare l’acqua alta, per cui si decise – per i costi di manutenzione esorbitanti – di bloccare aperte le paratie e costruire al lido del Cavallino un porto artificiale, fuori della laguna.

Questa scelta, fare un “polder” come quello in Olanda sul mare del nord, era la più logica sin dall’inizio, perché il vero problema di Venezia era e sono le grandi navi; all’inizio quelle che andavano al petrolchimico di Marghera, poi le mega-navi turistiche, veri grattacieli sul mare.

Oggi, dopo trent’anni dall’inaugurazione del MOSE e a ventisei dalla sua dismissione, niente è stato fatto.

Le paratie sono alzate e bloccate solo a bocca di Chioggia e Malamocco, il porto di Marghera è ancora in esercizio e i lavori per il porto artificiale al lido del Cavallino appena iniziati.

Con il rapido innalzamento del mare di circa un metro per il riscaldamento globale, si decise dodici anni fa di salvare dall’allagamento almeno la zona di Rialto e la sua basilica di san Marco  costruendovi intorno una barriera alta tre metri, lasciando però che un quarto di Venezia fosse inondata e abbandonata.

Il turismo, per fortuna, ne ha risentito solo in parte perché il fascino della città che muore è evidentemente più forte, ma l’aspetto generale della città è per noi italiani con una coscienza civile, veramente deprimente.

L’amarezza del presente non è neanche alleviata dalla fine ingloriosa dei partiti della “seconda repubblica” travolti nove anni fa dall’ennesimo scandalo corruttivo, con il leader della “Lega degli italiani” scappato in Africa a Dakar  (ma ridotto a una vita da barbone perché truffato e senza soldi dal suo vice segretario).

Lo stesso vale per il Partito Democratico e per il Movimento Cinque Stelle, coinvolti nello stesso scandalo, scioltisi all’apparire del “Partito degli Amici”, guidato dall’ex fotografo dei Vip Fabrizio Corona, ora presidente del Consiglio.

Insomma, a trent’anni da quell’inaugurazione e a cinquanta dalla decisione di costruire il MOSE, l’Italia è sempre uguale, con la TAV Torino-Lione ancora da costruire (ma è veramente necessaria?), con il Ponte di Messina di nuovo proposto dal governo, una classe politica al potere poco credibile, scelta da una maggioranza di italiani che ogni volta si affida a personaggi “pittoreschi”.

L’unica vera novità è la rinascita esplosiva del Partito dei Comunisti, sempre che la sinistra, dopo aver abbandonato tatticismi, divisioni e liste elettorali fatte di alleanze estemporanee, non si omologhi alla palude culturale italica e cattolica, dove tutto cambia per non cambiare nulla.

 2 giugno 2053, Nostrodomine

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