Il grande Priamo entrò non visto, ed avvicinatosi
abbracciò le ginocchia di Achille, baciò le sue mani
tremende, omicide, che a lui tanti figli avevano ucciso[…]
Ricordati del padre tuo, Achille pari agli dei,
come me avanti negli anni, sulla soglia triste della vecchiaia[…]
(Omero, Iliade, Libro XXIV)
Così comincia la supplica di Priamo all’assassino dei suoi figli.
Achille, pur avendo fatto scempio del corpo di Ettore, commosso dalle lacrime del vecchio padre, gli concesse quel corpo, ma prima ordinò alle ancelle di lavarlo e di ungerlo perché il primo dovere dei vivi era la cura del defunto e la sua sepoltura, anche quando quel corpo apparteneva al peggior nemico.
Due sono le tappe che segnano la vita di una persona, la nascita e la morte: la prima è legata alla possibilità (il nascere è una delle tante chances), la seconda alla granitica certezza. Certo, sono ambedue eventi naturali, ma la morte non è solo cessazione perché “quando muore una persona, con lei scompare anche tutto un mondo” e con esso di una trama di relazioni, di affetti, di culture e – per dirla con Borges – di ” tante primavere e tante foglie, tanti libri e tanti uccelli e tante mattine e tante notti…“.
Il rito, il lutto, l’elaborazione. Ciò che maggiormente lascia sgomenti al tempo del coronavirus è la sospensione della pietas. I figli senza i corpi dei padri e delle madri, i padri e le madri senza i corpi dei figli: morti in solitudine, nei lazzaretti, nei pronto soccorsi, nelle case di riposo, senza uno sguardo o una carezza o un bacio sulla fronte.
Scompare la fisicità del corpo del defunto perché la morte al tempo del neoliberismo è de-fisicizzata: non c’è cura per il corpo del defunto, non c’è rito, non c’è conforto, sia esso laico o religioso. Rimane quell’elenco rapsodico che scandisce le nostre giornate: 610, 750, 830…numeri comunicati con un linguaggio iper-burocratico e con una narrazione iper-tecnocratica, senza sbavature psicologiche, algida e impersonale, utile a rafforzare l’atomizzazione sociale: è il linguaggio che piace al capitale che “ha il suo proprio ordine di verità, la sua politica generale della verità”.
Sappiamo che della morte anonima si scrive e si è scritto tanto, eppure, quell’anonimità non cessa di stupire, ogni giorno che passa.
Di fronte a noi, solo uno specchio frantumato.
La morte al tempo del neoliberismo è damnatio memoriae, mera contabilizzazione, calcolo, computo, conteggio, percentuale: non conosce pietas, sospende la pietas, è solo funzionale alla dinamica del profitto a pieno ritmo.
750, 530, 615… è il tic tac scandito sul quadrante del nostro orologio al tempo del Covid-19, un tempo ormai ampiamente inoculato e interiorizzato, un tempo che con la sua conta burocratizzata permette a Confindustria di dettare le sue linee direttrici.
La produzione riprenderà a pieno ritmo e con essa l’aggressività del capitale che si riproduce in forme sempre nuove… 610, 750, 820… tanto sono cifre ormai pienamente metabolizzate…
D’altronde, in un paese che ha da anni una media di tre morti al giorno per “infortuni sul lavoro”, la logica per la quale la vita ha un costo e un prezzo funzionali allo sfruttamento e al profitto non è certo stata introdotta dal coronavirus.
Il vero virus da combattere è il capitale, senza se e senza ma…
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