Dopo la firma di un accordo con la multinazionale Lonmin da parte dei sindacati ieri sono tornati a lavoro i circa 28 mila minatori dei pozzi di Marikana (anche se la produzione ripartirà tra alcuni giorni, dopo una serie di visite mediche e l’accensione degli impianti di estrazione). Ma in Sudafrica la situazione continua a rimanere esplosiva e ieri si sono registrati altri due morti dopo i 45 provocati dalla strage di Marikana del 16 agosto e dagli scontri tra diverse sigle sindacali.
Un dimostrante e una consigliera locale del partito di governo sono stati uccisi dalla polizia nella regione mineraria a nord-ovest di Johannesburg, teatro di un’ondata di scioperi dei lavoratori in lotta per ottenere aumenti salariali. Stando alla ricostruzione di un attivista sindacale, una delle vittime è un lavoratore che stava manifestando alle porte della città di Rustenburg, nei pressi di una miniera della multinazionale Anglo American Platinum. L’uomo sarebbe stato investito da un blindato della polizia e sarebbe morto durante la notte di ieri dopo il ricovero in ospedale.
La seconda vittima è Paulina Masuhlo, una consigliera dell’African National Congress (Anc, al governo) colpita a morte dalla Polizia nella cittadina di Wonderkop. Secondo la versione diffusa dalla Confederazione dei sindacati del Sudafrica (Cosatu), ad aprire il fuoco contro di lei ed altre persone sono stati agenti che viaggiavano a bordo di un blindato. Masuhlo, ha riferito il sindacato, non stava partecipando alla protesta ma stava facendo la spesa vicino alla Never Die Tavern nella baraccopoli dove abitano i minatori di Marikana ed è stata raggiunta insieme a un’altra donna da pallottole sparate dagli agenti. L’episodio era accaduto sabato scorso, ma la consigliera è morta ieri in ospedale.
La firma dell’accordo a Marikana, come già scrivevamo nei giorni scorsi, non ha messo fine ad un moto di scioperi, manifestazioni e rivendicazioni che vanno dagli aumenti salariali al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro a richieste politiche di riforme e democrazia.
Ieri migliaia di dipendenti della Amplats hanno dato vita a una serie di violente proteste per chiedere un aumento della paga. Com’era già accaduto ieri anche oggi la strada di accesso al sito é stata bloccata da barricate create con cumuli di pneumatici dati alle fiamme da cui sono partiti lanci di sassi contro la Polizia, che ha risposto con gas lacrimogeni e proiettili di gomma.
Ieri i vertici della Amplats hanno dato un ultimatum ai dipendenti affinché tornassero al lavoro, minacciando, in caso contrario, azioni legali. Un aut aut arrivato al termine di una giornata che ha visto ancora scontri fra forze dell’ordine e lavoratori, 22 dei quali sono finiti in manette.
Ora anche i lavoratori – circa 5000 – della miniera d’oro di Kopanang, di proprietà della AngloGold Ashanti, nel nord-est del Sudafrica, hanno incrociato le braccia in quello che la multinazionale (terzo produttore mondiale di metallo giallo) ha definito uno ‘sciopero selvaggio’.
Anche un’altra miniera d’oro, quella di Kdc West, sfruttata dal gruppo Gold Fields, è paralizzata da una protesta che dura ormai da due settimane.
Intanto i lavoratori di Marikana si fanno qualche conto dopo un mese di sciopero e la firma dell’accordo a inizio settimana. La maggior parte si sono detti soddisfatti dell’aumento di salario strappato alla multinazionale britannica, che va dall’11 al 22%, anche se non hanno ottenuto il salario di base di 12.500 rand (1.170 euro) mensili che chiedevano con forza. Chi prima guadagnava 8mila rand lordi (740 euro circa) ne riceverà 9.600 (887 euro), mentre i circa 3mila perforatori, che prima guadagnavano 9mila rand (832), passeranno a 11mila (1.017). Altri minatori sono meno soddisfatti, ma sono rientrati al lavoro per disperazione, dopo oltre un mese senza stipendio: “Torno al lavoro perché ho veramente fame”, ha ammesso Phumlile Macefane, minatore 24enne.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa