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“Noi, anticapitalisti e indipendentisti”. Parla Joan ‘Tato’ della Cup (Catalogna)

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Domenica scorsa in Catalogna si sono tenute importante elezioni. Convocate anticipatamente dal governatore Artur Mas per ottenere un plebiscito ma vinte dalle opposizioni di sinistra e indipendentista, che hanno capitalizzato un voto di protesta contro le ambiguità dei regionalisti di Ciu sul tema nazionale e i tagli pesantissimi al walfare e al lavoro del governo regionale. 

Tra le forze vincitrici del voto di domenica 25 novembre c’è la sinistra anticapitalista e indipendentista della Cup (Candidatura d’Unitat Popular), un aggregato di partiti e forze sociali in prima fila in tutte le proteste contro le politiche antisociali attuate dai partiti della borghesia spagnola e catalana. La Cup ha ottenuto un buon 3,4% dei voti ed ha fatto il suo ingresso per la prima volta, con 3 eletti, all’interno del Parlament di Barcellona.

Abbiamo posto alcune domande a Joan Sebastià Colomer – “Tato” -, dirigente del partito Endavant e candidato per la Cup alle elezioni di domenica scorsa in Catalogna.

Quale giudizio date dei risultati del voto?

I risultati pongono in primo plano l’impossibilità di un progetto nazionale interclassista. All’interno del voto nazionalista c’è una svolta a sinistra che rappresenta anche un appoggio alle forze più esplicitamente indipendentiste. CiU, che è il partito della frazione catalanista della borghesia, ha sofferto una grande sconfitta per due motivi: i tagli sociali e l’ambiguità del suo progetto nazionale. Invece Solidaritat per la Independència, che faceva un discorso nazionale più forte ma cercando una certa trasversalità sul piano sociale (“né destra né sinistra”) è sparita dal Parlament.

Invece ERC (Sinistra Repubblicana) ha ottenuto grandi risultati e diventa la seconda forza nel Parlament. ERC è una forza socialdemocratica con un discorso nazionale più marcato di quello di CiU, sebbene il fatto di essere un partito “di ordine” lo renderà sempre propenso a gestire senza grandi scossoni l’autonomia e il capitalismo, cioè l’occupazione spagnola della Catalogna e i tagli allo stato sociale. Infine la CUP, con un discorso apertamente anticapitalista e anti-UE, l’unica forza che parla della nazione in senso completo (Països Catalans, cioè la Catalogna, il Paese Valenciano e le Isole Baleari) ha ottenuto per la prima volta dei deputati senza chiedere un solo prestito alle banche per fare la propria campagna elettorale e basandosi solo sul sostegno dei militanti non soltanto della CUP ma anche del resto della sinistra indipendentista e dei movimenti sociali e popolari. Questa crescita è particolarmente preziosa perché coincide con la crescita di ERC e di ICV (ex-comunisti e verdi) e rafforza la singolarità antisistema del progetto della CUP.
Durante la campagna elettorale abbiamo denunziato il falso indipendentismo di CiU e la sua volontà di seppellire coi toni nazionalistici i gravissimi tagli imposti alla classe operaia catalana, ottenendo un voto fortemente ideologizzato sia a  livello sociale che nazionale.

Tutto sommato è un grande insuccesso dei progetti politici trasversali e regionalisti, dei programmi che difendono una secessione territorialmente limitata, subordinata alle esigenze del capitale internazionale. E anche un grande insuccesso delle politiche di austerity e dei partiti (CiU e PSC, socialisti nel peggior senso della parola) che hanno gestito l’autonomia catalana negli ultimi 35 anni.

Per altro, c’è anche una radicalizzazione dello spagnolismo (nazionalismo spagnolo), con un movimento di voti dal PSC (un partito spagnolista più moderato) al PP (la destra postfranchista) e a Ciutadans (che rappresenta uno spagnolismo postmoderno/liberale e con una vera ossessione monotematica per la questione della lingua). I due ultimi partiti, però, non hanno insieme più del 20% dell’appoggio popolare.

Puoi spiegarci sintenticamente cos’è la Cup, come è nata e a quali valori si ispira?

La CUP è nata nel 1986 come strumento di lotta istituzionale della sinistra indipendentista nell’ambito dei comuni. Non cresce però fino alle elezioni comunali del 2003 e così in modo esponenziale fino ad oggi. Questa è stata la prima volta che la coalizione si presentava alle elezioni autonomiche (regionali), solo in Catalogna. L’idea dell’unità popolare cerca di unire i movimenti politici, sociali e popolari intorno ad un progetto di liberazione sociale e nazionale. La sua struttura non è quella di un partito tradizionale nel senso che c’è una forte libertà di organizzazione locale e un rapporto col movimento della sinistra indipendentista e altri settori dei movimenti di lotta anticapitalista che non gli concede il ruolo di direzione politica ma di espressione istituzionale del movimento.

Come spiegate il vostro indipendentismo essendo una forza apertamente anticapitalista e alternativa?

Occorre capire che la soppressione della nazione catalana (così come di quella basca e di quella galiziana) è uno dei punti cardine del progetto storico delle oligarchie spagnole. È per questo che la neutralità e certi discorsi cosmopoliti o pseudointernazionalisti non hanno nel nostro paese altro senso se non quello di mascherare l’oppressione nazionale. Non esiste e non è mai esistito un unionismo progressista in Spagna. Per altro lo sforzo di certe tendenze storiche del marxismo catalano di ignorare la questione nazionale in nome di un presunto internazionalismo non sono state che delle astrazioni tutte condannate all’insuccesso. L’occupazione spagnola e francese é la forma concreta di essere del capitalismo nei Paesi Catalani. L’esperienza della lotta rivoluzionaria in tutto il mondo dice chiaramente che in un contesto di occupazione (nel nostro caso la negazione del dritto di autodeterminazione con la forza delle armi e i diversi episodi storici di invasione e aggressione militare) non c’è liberazione sociale senza liberazione nazionale, essendo ambedue parte dello stesso processo.

Per gli amanti dell’ortodossia marxista voglio aggiungere che dopo la famosa frase del Manifesto “gli operai non hanno patria” si afferma “non gli può essere tolto quello che non hanno. Il proletariato di ogni paese si deve erigere a classe dirigente della nazione, diventare se stesso nazione”. Così come lo stesso Marx ha affermato chiaramente che la liberazione nazionale degli irlandesi è non soltanto la condizione principale per la liberazione degli operai irlandesi ma anche degli operai inglesi. Questo vale anche per gli operai spagnoli, nel senso che il nazionalismo spagnolo è ancora oggi l’ideologia egemonica nello Stato Spagnolo e il modo in cui le oligarchie spagnole ingannano i lavoratori spagnoli con false contraddizioni (spagnoli vs. catalani o baschi separatisti, terroristi o qualsiasi altra definizione). Vorrei ricordare che Lenin ha difeso brillantemente contro Rosa Luxemburg l’idea che la negazione dei movimenti nazionali in astratto é una stupidaggine affermando che movimenti nazionali possono avere un contenuto sia progressista, sia reazionario. Il catalanismo è stato sempre una tendenza progressista nello scontro con l’unionismo. Non c’è stato mai nessun rapporto che non sia marginale tra il catalanismo e il fascismo. Non si può dire lo stesso dell’unionismo.

Quali scenari si aprono ora dopo le elezioni?

Per quanto riguarda la CUP, la lotta istituzionale è per noi, soprattutto, uno strumento di accumulazione delle forze intorno a un movimento rivoluzionario nelle strade capace di scontrarsi con lo Stato e il sistema economico. Il nostro lavoro sarà anche rinforzare il rapporto tra la CUP e i movimenti della sinistra combattiva (movimenti sindacali, sociali e popolari) tradizionalmente non indipendentisti ma che hanno appoggiato la nostra lista. Un rapporto che intendiamo perseguire tramite delle assemblee aperte.

Ora assisteremo a nuovi tentativi della borghesia catalana di trovare un nuovo tipo di incastro tra la Spagna e la Catalogna. La CUP dovrà denunciare queste manovre. Un patto tra CiU e PSC (alla greca, diciamo) è oggi più possibile che mai.

Il PSC, tradizionalmente legato al potere, perde spazio politico ma può essere necessario per le manovre di ridefinizione dell’autonomia catalana. Il trionfo dell’unionismo di nuovo stampo invece (Ciutadans) può essere invece paragonato a quel mostro che, secondo Gramsci, appariva quando il vecchio era morto ma il nuovo non era ancora nato.

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