“Una vergogna, un atto che viola la democrazia”. È stata questa la reazione del presidente argentino Cristina Fernández de Kirchner per la decisione, giunta a sorpresa poche ore fa, con cui è stata prorogata la misura cautelare presentata dal Gruppo Clarín per rinviare l’entrata in vigore della Legge 26.522 del Servizio di comunicazione audiovisiva, meglio conosciuta come ‘Ley de Medios’, attesa per oggi.
La Corte d’appello ha infatti “prorogato la misura cautelare – la cui scadenza era stata fissata dalla Corte Suprema per oggi – fino a quando non sarà emessa una sentenza definitiva sulla costituzionalità o meno della normativa”). Il governo di Buenos Aires cerca di correre ai ripari, e il ministro della Giustizia, Julio Alak, ha annunciato che oggi stesso presenterà una richiesta per annullare l’ultimo verdetto.
Certo ormai di avercela fatta, il governo aveva preparato per lunedì 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani che in Argentina corrisponde all’anniversario del ritorno della democrazia, una ‘festa popolare’ a Buenos Aires per celebrare l’entrata in vigore della legge che sostituisce quella scritta ai tempi della dittatura militare fascista (1976-1983). Una legge rivoluzionaria, che vuole limitare la concentrazione editoriale, favorire la produzione audiovisiva nazionale, promuovere la partecipazione di organizzazioni senza fini di lucro, e per questo divide lo spazio mediatico in tre aree: pubblico, commerciale e no profit.
Oggi anche i cittadini argentini che vivono a Roma si erano dati appuntamenti davanti alla loro ambasciata, in piazza dell’Esquilino alle 18, per festeggiare l’entrata in vigore della cosiddetta ‘Legge sui media’.
Una legge il cui iter è stato assai travagliato, vista la posta in gioco. La fine, o almeno la fortissima limitazione della concentrazione dei mezzi di comunicazione e di informazione nelle mani di pochi gruppi industriali proprietari anche – in Argentina come in Italia – non solo di quotidiani e Tv, ma anche di altri settori strategici dell’economia. Possedere il flusso dell’informazione mainstream in qualsiasi paese equivale a poter influire notevolmente sulla composizione dei parlamenti e dei consigli comunali, a orientare quando non a dettare le politiche di certi governi. Ed è per questo che in Argentina il governo di Cristina Fernandez de Kirchner ha dovuto ingaggiare un braccio di ferro incredibile con le due grandi lobby dell’informazione – Clarin e la Naciòn – per poter far approvare in via definitiva la legge partorita e approvata tre anni fa dopo un lungo processo di dibattito e confronto tra molte anime della società del paese.
Perché la legge che doveva entrare in vigore oggi pone un grosso limite alla possibilità per i grandi gruppi privati di monopolizzare l’informazione e al tempo stesso concede spazi e frequenze – radio e tv – alla stampa comunitaria e a quella no profit, un vero e proprio scandalo per le grandi imprese che da decenni spadroneggiano e affondano concorrenti grandi e piccoli detenendo tra l’altro anche il monopolio della produzione e della distribuzione della carta e del mercato pubblicitario. E quindi potendo fortemente condizionare la possibilità per i concorrenti di farsi spazio all’interno del panorama dell’informazione.
La vera rivoluzione è rappresentata dal fatto che la Ley de Medios sancisce il ‘diritto’ della società ad accedere alla comunicazione e all’informazione, sottraendola almeno in parte alle regole di mercato. Naturalmente per i grandi gruppi editoriali – alcuni dei quali collegati con i trust internazionali dell’informazione – si tratta di una legge ‘liberticida’, di un’ingerenza indebita del governo all’interno del mercato dell’informazione e così via. E non sono quindi mancati in questi anni i tentativi di Clarin e La Naciòn, sostenuti da alcune forze dell’opposizione parlamentare di destra ma anche da alcuni ambigui esponenti della maggioranza kirchnerista, di affondare, bloccare e ritardare l’entrata in vigore della nuova legge.
Bisognerà quindi aspettare ancora affinché la legge, presentata in parlamento nell’agosto del 2009 dalla ‘presidenta’, entri in vigore, sotto la supervisione della nuova Autorità Federale dei Servizi di Comunicazione Audiovisiva (AFSCA), presieduta dal deputato Martín Sabatella. In base ad essa l’autorità dovrà controllare che i media rispettino i limiti fissati dalla legge, dovrà garantire finanziamenti ai media che stanno sorgendo grazie agli spazi aperti per la comunicazione no profit e comunitaria, dovrà concedere alcuni finanziamenti e sostegni in termini di servizi a basso costo a disposizione degli strumenti di informazione realizzati da sindacati, associazioni religiose e laiche, università, comunità rurali, gruppi di artisti ecc. La nuova legge prevede anche il controllo pubblico del commercio della carta e che chi produce contenuti giornalistici e di comunicazione non li possa poi anche diffondere. Oppure che chi possiede una emittente in chiaro in una regione non ne possa possedere nello stesso territorio anche una via cavo.
Il problema ora è rappresentato dal fatto che i grandi gruppi monopolistici dell’informazione, in base alla legge, dovrebbero disfarsi entro un anno delle licenze nei vari settori che eccedono il numero massimo consentito. E per le grandi concentrazioni si tratta di una vera e propria tragedia. Soprattutto per il Gruppo Clarin, il più potente dell’Argentina, che possiede ben 300 licenze, che dovrà ridurre a 24.
L’esperimento argentino ha destato un enorme interesse nel resto dell’America Latina, in particolare in paesi come il Venezuela e il Brasile la concentrazione dei media nelle mani di pochi proprietari è anche maggiore che a Buenos Aires. E tentativi di scrivere leggi simili sono in corso quindi in altri paesi del continente latinoamericano.
Le destre e le oligarchie hanno ribattezzato in questi anni la “Ley 26.522 de Servicios de Comunicación Audiovisual” in modo polemico ‘Ley de Miedos’. Legge della paura. La paura che il dominio incontrastato dell’informazione da parte dei monopoli gestiti dai grandi gruppi capitalistici internazionali possa finire presto.
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