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Voglia di governo, svolta socialdemocratica di Podemos

Il panorama politico iberico potrebbe uscire completamente terremotato dalle prossime elezioni politiche generali. Il Partito Popolare, la destra post-franchista al governo, è investito da una serie di scandali per corruzione senza precedenti, con decine di dirigenti indagati per vari reati e le dimissioni del Ministro della Salute Ana Mato perché implicata nel cosiddetto ‘caso Gürtel’. Ma se i popolari crollano nei sondaggi non va meglio per i socialisti, che non sembrano beneficiare del tracollo della destra e vengono investiti in pieno da un vero e proprio tsunami politico che per la prima volta dall’inizio degli anni ’80 sembra spazzare via il bipartitismo imposto allo Stato Spagnolo dopo l’uscita pilotata dal franchismo. Anni di durissimi e inutili sacrifici economici imposti dall’Ue e dal governo Rajoy, l’austerity e la repressione sono riusciti a scardinare un sistema politico che mostra tutti i suoi limiti. Contemporaneamente anche gli scandali che hanno coivolto la famiglia reale obbligando il vecchio e compromesso Juan Carlos ad abdicare nei confronti del figlio e l’aumento della pressione indipendentista da parte della popolazione catalana rischiano di mandare l’intero quadro in pezzi.

Ad avvantaggiarsi del terremoto sembra essere un nuovo soggetto politico, trasformatosi recentemente da movimento a partito, Podemos. Nato pochi mesi fa su iniziativa di alcuni circoli attivi negli ultimi anni sul fronte delle proteste contro le politiche economiche e sociali del governo di Madrid e di quelli regionali, e di alcuni intellettuali attivi sul fronte culturale e dei diritti civili, viene descritto spesso come ‘espressione politica del movimento degli indignados’ come se tra il magma sociale sceso in piazza sotto l’etichetta di ‘15M’ e la nuova formazione politica esistesse un legame organico. Ma non è così. Anche se alcuni importanti nuclei alla base della fondazione della nuova forza politica provengono dall’esperienza del movimento ‘15M’ non si può certo affermare che la genesi di Podemos sia stata decisa dal movimento in quanto tale, e comunque al suo interno sono confluiti gruppi di varia provenienza sociale, politica ed ideologica. A differenza del Movimento 5 Stelle in Italia, Podemos è sicuramente un soggetto politico ancorato a sinistra e dalla composizione non virtuale, ma radicato a livello territoriale e immerso in molti casi nelle lotte e nei conflitti contro sfratti, tagli al welfare e all’istruzione, per l’ambiente.

Alle scorse europee Podemos si è presentato per la prima volta ad una competizione elettorale ottenendo un incredibile 8% dei voti e 5 europarlamentari che hanno aderito al gruppo della Sinistra Unitaria Europea dove siedono anche i rappresentanti della Lista Tsipras italiana o di Syriza in Grecia.

Un risultato già straordinario quello ottenuto a maggio dal neonato movimento che però in pochi mesi ha scalato tutte le posizioni per piazzarsi, nei sondaggi di queste settimane, in prima posizione davanti a tutte le altre forze politiche con il 28% dei voti accreditati. Un vero e proprio boom che, paradossalmente, sembra stia portando la nuova formazione verso lidi e posizioni più moderate, secondo un meccanismo abbastanza tipico delle sinistre radicali europee che più aumentano i propri voti e, avvicinandosi alla possibilità di accedere al governo, imprimono alle proprie posizioni, ai propri programmi e alla propria identità una svolta moderata. Con l’obiettivo, teoricamente tattico, di convincere quelle parti dell’elettorato centrista deluse dai partiti tradizionali a causa dell’austerity e della corruzione ma che non sarebbero mai disponibili a votare per un partito di sinistra radicale.

E quindi più crescono le quotazioni nei sondaggi più la leadership del movimento, a partire dal giovane segretario Pablo Iglesias, accentuano una moderazione di obiettivi e proposte che di fatto ormai sembrano assai più compatibili con il quadro politico ed economico esistente rispetto alle accentuazioni radicali ed antioligarchiche di pochi mesi fa.

Di fatto oggi Podemos può essere descritto come un partito dalle vaghe connotazioni ideologiche il cui messaggio è incentrato su obiettivi e categorie trasversali agli schieramenti politici e alle identità politiche date: principalmente la lotta contro la “casta”, i privilegi della classe politica, la corruzione, gli eccessi del neoliberismo. Una formazione il cui collante sembra essere rappresentato da una difesa della democrazia partecipativa, dell’uguaglianza delle opportunità e dalla redistribuzione della ricchezza.

Ma il programma del partito di Iglesias non include più la cancellazione del debito pubblico o l’uscita dall’Euro, misure sulle quali comunque il dibattito all’interno del movimento è sempre stato molto acceso. Un’opera relativamente rapida di revisione della propria identità politica che avvicina paradossalmente Podemos, nato teoricamente per sovvertire il quadro politico esistente e per rimpiazzare una sinistra ufficiale timida e concertativa, proprio ai partiti classici della sinistra europea socialdemocratica e socialista.

La svolta moderata è stata annunciata dal segretario pochi giorni fa, nel presentare la bozza di proposte economiche elaborate dagli economisti Juan Torres e Vicenç Navarro e diffuso tramite il cliccatissimo sito web di Podemos. Sessanta pagine, che serviranno come base di discussione con la base del partito e poi con imprenditori e agenti sociali, per la definizione del programma definitivo di una forza che non nasconde le proprie aspirazioni di governo. La cancellazione del debito pubblico, cresciuto in Spagna dal 37% del Pil del 2007 al 100% di quest’anno, non è più fra gli obiettivi del partito, che opta per “una ristrutturazione ordinata del debito o una riduzione concordata” con l’Unione Europea.

La proposta di reddito minimo universale, avanzata per le europee di maggio, che secondo stime di economisti sarebbe costata 145 miliardi di euro l’anno alle casse dello Stato, lascia il posto a un “salario vitale” indicato come “un aiuto per tutte le persone che non percepiscono nessuna entrata, contro la propria volontà”. Il principio, ha spiegato Juan Torres, è “garantire un reddito” alle fasce a rischio di povertà sociale sul modello della tradizione socialdemocratica scandinava e nord europea. Un altro dei realistici dietrofront avallati dagli economisti rispetto alle proposte di Podemos a maggio, è sulla misura di anticipare l’età pensionabile a 60 anni, che resta invece ferma a 65 anni ‘riformabili’, rispetto ai 67 fissati dal governo di destra di Mariano Rajoy.

Fra le altre misure indicate, la riduzione della giornata lavorativa a 35 ore settimanali; la reintroduzione dell’imposta sul patrimonio; la creazione di una banca pubblica; una riforma dell’Istituto di Credito ufficiale (Ico), perché possa ottenere crediti dalla Banca centrale europea allo stesso modo di una banca pubblica, e possa facilitare l’accesso al credito di famiglie e piccole e medie imprese; la separazione della banca di depositi da quella commerciale, per ridurre i rischi per i risparmiatori; l’aumento del salario e delle pensioni minime e della spesa pubblica per educazione e sanità. Per compensare le maggiori uscite, Podemos prevede una riforma fiscale, con la creazione di nuove figure impositive, con l’obiettivo della “riduzione delle disuguaglianze sociali”. Su questa linea, l’economista Vicenç Navarro ha ricordato che, dall’inizio della crisi, in Spagna sono stati tagliati 25 miliardi alle partite destinate a sanità e affari sociali, ma anche che ogni anno vanno perduti 44 miliardi di euro in evasione fiscale.

“Nello studio indichiamo le fonti di finanziamento delle riforme – ha spiegato l’economista – La Spagna è ricca, ma lo Stato non raccoglie tributi perché coloro che più hanno non pagano tasse”, ha aggiunto. Investire nel welfare per riattivare i consumi e l’economia, finanziando la costruzione di asili al posto delle linee di alta velocità. Da qui la difesa di un “grande patto statale contro la povertà e l’emarginazione sociale”, per “garantire l’esercizio dei diritti umani di contenuti economici di base” garantiti dalla Costituzione. E per sradicare la povertà infantile, che in Spagna affigge 2,5 milioni di bambini.

Insomma un programma economico ambizioso e relativamente radicale quello indicato da una formazione che però sembra non mettere in discussione la gabbia costituita dai trattati europei – pareggio di bilancio in particolare – e dal ferreo controllo esercitato dall’Unione Europea attraverso la Troika sui singoli paesi e soprattutto su quelli della periferia. Una gabbia che di fatto rende impossibili o inapplicabili molte delle proposte “di buon senso” socialdemocratico previste dal movimento. Un rifiuto di soluzioni radicali e di rottura con l’Unione Europea, l’Euro e i meccanismi di integrazione autoritari che di fatto rendono il programma di Podemos quantomeno velleitario e poco incisivo.

Un atteggiamento concertativo confermato dall’economista di punto del movimento, Torres quando afferma che occorre “negoziare e dialogare, cercare alleati nelle istituzioni europee per evitare che il debito si trasformi in un cappio mortale. La ristrutturazione non dev’essere frutto di una decisione unilaterale ma del consenso”. E anche le nazionalizzazioni dei settori chiave dell’economia, adombrati da alcuni membri del movimento nella prima fase, sono di fatto sparite dal discorso di Podemos.

Nell’illusione che l’austerity che si dice di voler combattere possa essere eliminata senza rimuoverne le cause, che vanno cercate nell’architettuta di una istituzione sovrastatuale europea per sua natura antidemocratica e gerarchica di cui non si può non auspicare la rottura.

Esemplare di una crescente ambiguità semantica del movimento – necessaria per attirare voti e consensi da più parti – la recente dichiarazione di Iglesias a proposito della proposta di fuoriuscita della Spagna dalla Nato. Non perché l’Alleanza Atlantica sia al servizio di interessi nemici di quelli dei popoli dei paesi membri o di quelli aggrediti, non a partire da un allarme rispetto alla crescente tendenza alla guerra e alle enormi risorse economiche investite nelle spese militari e sottratte al welfare, ma da una constatazione quasi nazionalistica: “Da patriota non voglio vedere soldati stranieri sul nostro suolo” ha tuonato Iglesias.

E non va certo meglio sul fronte della questione nazionale con una incipiente frattura tra le sezioni del movimento attive in Catalogna o nel Paese Basco e la direzione statale incapace di delineare una posizione politica organica e strategica rispetto alle rivendicazioni nazionali “periferiche” mai così forti.

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