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Gerusalemme. Una colonizzazione dentro la colonizzazione

Le slide che Ahmed Audi fa scorrere mentre spiega la dinamica della ebraicizzazione forzata di Gerusalemme danno l’impressione che la città sacra a tre religioni sia a sua volta una piccola Palestina dentro la Palestina sottoposta alla colonizzazione israeliana. Le macchie di colore diverso indicano la crescita degli insediamenti israeliani nella città. Tredici tra il 1967 e il 1988, altre sei nel 1989 e poi nuovi siti militari, nove zone industriali e aree di servizi, fino ad arrivare a 160 siti sotto controllo israeliano e con insediamenti di vario tipo, che hanno ridotto sistematicamente la presenza palestinese a Gerusalemme. A completare l’opera i 90 km del Muro (che devono arrivare a 142) che a Gerusalemme separano i quartieri ebraici da quelli palestinesi.

Ieri sera a Roma, l’ambasciata palestinese ha ospitato una conferenza con due esponenti dei Comitati Popolari di Resistenza che da anni si battono contro l’espansione degli insediamenti coloniali israeliani a danno dei palestinesi. Ma Gerusalemme, dopo la gravissima incursione di estremisti ebraici guidati dal ministro Ariel e di soldati e poliziotti alla Moschea di Al Aqsa, è al centro dell’attenzione. Per venerdi si prevedono proteste diffuse e rabbiose da parte dei palestinesi.

Dopo gli interventi di presentazione dell’ambasciatrice palestinese Mail Al Kaila e del presidente della Comunità Palestinese di Roma Salameh Ashur, la parola è passata a Ahmed Audi e Monther Amery, attivisti dei Comitati Popolari di resistenza in visita in Italia per una serie di colloqui con parlamentari e forze politiche.

Il nostro obiettivo? “E’ che l’occupazione deve avere un costo per gli occupanti” dice Monther Amery che ogni venerdi, insieme ai comitati popolari di resistenza nati prima in alcuni villaggi e poi estesisi, danno vita a manifestazioni, sit in, azioni di protesta, blitz su vari fronti. Lì bloccano un cantiere israeliano, da un’altra parte chiedono la riapertura di una strada per i palestinesi, talvolta portano la protesta fino a davanti gli insediamenti coloniali israeliani o le ambasciate di vari paesi. L’azione più clamorosa è stata la nascita di Bab al Shams, una sorta di contro-insediamento palestinese su terre espropriate dagli israeliani, la città della resistenza, sgomberata e ricostruita più volte. Un modo di contrastare metro per metro l’espansione coloniale non solo nelle zone agricole – dove agisce ormai il doppio cappio del Muro e degli insediamenti dei coloni – e che si punta a praticare anche sul territorio di Gerusalemme dove il braccio di ferro tra la resistenza dei quartieri palestinesi e la crescita degli insediamenti israeliani si va facendo più duro negli ultimi anni.

Colpisce, e lo sottolineano i due esponenti palestinesi, il silenzio che equivale a complicità delle istituzioni internazionali su quanto è avvenuto domenica alla Moschea di Al Aqsa di Gerusalemme. “Se fosse stata fatta una scritta su una sinagoga quale sarebbero state le reazioni?” ha denunciato Salameh Ashur. Attendiamo di vedere cosa accadrà venerdi a Gerusalemme ma anche in tutta la Cisgiordania.

 

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