Aggiornamenti sulla missione in corso della campagna “Per non dimenticare il Diritto al Ritorno”
Prosegue la missione multipla italiana con delegazioni nei campi profughi palestinesi in Giordania, Libano, Cisgiordania. Per motivi di sicurezza non è stato possibile estendere la missione anche a Gaza e Siria. Obiettivo della missione è quello di riaffermare il Diritto al Ritorno dei profughi palestinesi – riconosciuto dall’Onu ma negato da Israele ed escluso anche dagli accordi di Oslo – cacciati via con la pulizia etnica israeliana del ’48 e da allora sistemati nei campi profughi dei paesi arabi limitrofi. Qui di seguito alcuni resoconti dalle delegazioni in Giordania e Libano.
Giordania
LA SITUAZIONE NEI CAMPI PALESTINESI IN GIORDANIA
Nei tre campi profughi di Wehdat, Hittin, Husun, abbiamo avuto numerosi riscontri oggettivi al drammatico scenario delineato negli incontri istituzionali.
Nel primo campo, in cui vivono oltre 50 mila profughi siriani, palestinesi ed iracheni, abbiamo incontrato un associazione che opera contro la violenza sulle donne, mettendo a disposizione, un servizio di prima accoglienza, due avvocatesse e una psicologa. Successivamente ad un primo tentativo di mediazione, accompagnano la donna nella procedura legale e non avendo a disposizione appartamenti protetti, la sostengono nel rientro nella famiglia dei genitori. Alle donne che si trovano in tale situazione di difficoltà, vengono messi a disposizione corsi di formazione professionale, corsi di autodifesa e un sostegno psicologico su come reagire alla violenza in genere dell’uomo. Purtroppo la percentuale di donne che subiscono violenza nei campi profughi è elevata e la donna è culturalmente “abituata” a subire.
All’interno del campo, c’è un alto tasso di disoccupazione innalzatosi con l’arrivo dei profughi siriani che offrono la loro manodopera ad un costo inferiore.
Le controversie anche violente tra le abitanti del campo, vedono l’intervento della polizia giordana solo nei casi in cui si riscontrino episodi di particolare gravità (omicidi). In tutte le altre situazioni esiste una sorta di autogestione dei livelli di conflittualità espressi.
Non è stato possibile visitare il campo a piedi, pur se accompagnati da esponenti operanti all’interno, perché ritenuto pericoloso per la nostra incolumità fisica. Soprattutto per le donne del nostro gruppo. Ci siamo limitati ad attraversarlo a bordo di un pulmino. All’interno dello stesso campo, abbiamo inoltre visitato un centro per disabili in cui 11 maestre lavorano con 157 alunni affetti da diverse patologie. Tale istituzione è sotto giurisdizione dell’UNRWA che non contribuisce in nessun modo economicamente lasciando così il finanziamento a discrezione di lasciti privati. In questo campo oltre alle problematiche sopra descritte, si somma la periodica mancanza d’acqua e di elettricità.
Nel campo di Hittin vivono 90 mila profughi. Il 40 % proviene da Gaza. Abbiamo visitato un centro per bambini in condizione di particolare disagio socio economico gestito da maestre volontarie: il governo giordano ha messo a disposizione solo i locali in cui sono svolte le diverse attività ludico educative. Siamo stati successivamente accolti in un’abitazione in cui vive una famiglia composta da 13 persone che ha messo a disposizione la propria casa perché potessimo renderci conto della drammatica realtà che vivono quotidianamente.
Nei nostri incontri ci è stato ripetutamente chiesto di fare pressioni sul nostro governo perchè queste drammatiche situazioni possano cambiare. A tutti abbiamo spiegato che l’origine di questa barbarie risiede nell’occupazione israeliana e che il nostro governo è uno dei principali partner d’Israele, con il quale commercia impunemente armi e collabora in campo di ricerca e sviluppo. Abbiamo specificato che la nostra è un organizzazione di opposizione alle politiche del governo.
Nel campo di Husun siamo stati accolti dall’associazione Sanabel, un associazione benefica costituita nel 2000, da un gruppo di giovani che si occupa di: aiuto economico alle famiglie bisognose, assistenza sanitaria, ass. scolastica, progettazione educativa rivolta ai giovani contro l’uso di droga e alcool, tener viva la memoria delle tradizioni culturali palestinesi e propagandare il diritto al ritorno. Successivamente abbiamo assistito ad uno spettacolo teatrale di bambini frequentanti un centro estivo del campo e abbiamo avuto la possibilità di visitare un associazione per donne siriane all’interno della quale vengono svolti corsi professionali in sartoria e cucina. In ultimo, siamo stati ricevuti da un altra associazione benefica finanziata direttamente dalla famiglia reale di giordana che hanno dichiarato di impegnarsi per la causa palestinese.
Non potendo esistere organizzazioni politiche palestinesi all’interno dei campi profughi giordani, questi sono lasciati in balia di se stessi sia per quanto riguarda gli aspetti organizzativi che per la sicurezza interna, Questa caratteristica li rende unici rispetto a quelli esistenti in altri paesi.
LIBANO
Beirut. Un’altra giornata intensa per la delegazione Per non dimenticare il diritto al ritorno – missione Libano.
Al mattino l’incontro con il sindaco di Gobhehiry, Abu Said Al Khamsa, che in una relazione di grande spessore politico ha parlato ad ampio raggio della situazione internazionale, della lotta contro Daesh, delle prospettive politiche per un Libano che da quattordici mesi e’ senza Presidente della Repubblica, e ha rivendicato inoltre orgogliosamente il ruolo della resistenza libanese contro Israele e contro Il progetto sionista appoggiato dagli Stati Uniti. Sollecitato dalle domande dei delegati, ha poi illustrato l’impegno del Comune di Gobhehiry in campo sanitario e in campo ambientale, in particolare i progetti a favore dei profughi palestinesi , per i quali il Comune provvede allo smaltimento dei rifiuti, si impegna per l’assistenza sanitaria, cerca di risolvere il problema dell’inquinamento dell’acqua a Chatila, intervenendo insomma a fornire appoggio in sostituzione dell’UNRWA che manca di fondi.
Impressionante poi per i delegati la visita al campo profughi di Bourj al Barajneh. Difficile spiegare a parole lo stato di degrado, di poverta’, l’impressione di soffocamento che danno le viuzze strette, percorse da rigagnoli, chiuse in alto dall’intrico di fili elettrici (che hanno provocato la morte di 33 persone negli ultimi dieci anni, fulminate dalla corrente elettrica, come ci ha raccontato la direttrice del centro Assomoud), vie attraversate in continuazione da motorini che schivano al volo le donne e i gruppi di bambini; i bambini provano a inventarsi dei giochi, oppure, spesso, svolgono piccolo lavori come spazzare la strada o trasportare oggetti da una casa all’altra: il loro sguardo colpisce e angoscia, anche quando sorridono e si mostrano incuriositi. La vita per gli abitanti del campo e’senza prospettive; lavoretti precari o nessun lavoro; affitti alti in rapporto alle loro misere risorse; malattie e depressione. Ai disagi degli abitanti “storici” del campo si sono sommati da qualche anno quelli dei Palestinesi Siriani, che hanno vissuto la loro nakba, il secondo esodo dopo quello dei loro genitori dalla Palestina. Diseredati fra i diseredati, sono piombati in una situazione di privazione e di sofferenza estrema, e subiscono l’esilio in Libano rimpiangendo la loro casa in Siria e sognando il ritorno in Palestina.
Nel pomeriggio, l’incontro con Maan Bashour, presidente del Centro arabo e internazionale per la comunicazione e la solidarieta’, intellettuale panarabista che propone una sua interpretazione della situazione internazionale insistendo sui segnali di cambiamento della politica statunitense verso Israele e sugli elementi di disgregazione interna dello stesso Stato di Israele, due fattori che, a suo dire, porteranno a breve a cambiamenti importanti e apriranno nuove prospettive nella lotta dei Palestinesi per il ritorno alla loro terra. Anche a lui i delegati hanno raccontato e descritto la “missione multipla” che si sta svolgendo in Libano, Giordania e Cisgiordania, hanno chiesto di poter incontrare in una prossima occasione la gioventu’ palestinese, hanno ribadito il loro impegno a fianco dei Palestinesi per il diritto al ritorno.
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