Mentre l’ex ministro ellenico delle Finanze – ed animatore di un ‘Piano B’ che a volte si fa fatica a distinguere dal ‘Piano A’ – Yannis Varoufakis si incarica di spiegare ai lavoratori e ai disoccupati britannici perché dovrebbero votare no alla Brexit il prossimo 23 giugno, l’Unione Europea stringe di nuovo la corda attorno a un esanime popolo greco.
Se qualcuno nutriva dei dubbi sul fatto che la capitolazione del governo Tsipras dell’estate scorsa – uno schiaffo in faccia a milioni di greci che avevano appena detto Oxi ai ricatti dell’Ue e a ogni speranza di uscire dal tunnel della spirale debito/austerity – avrebbe aperto le porte a un indurimento progressivo e ineluttabile delle condizioni da guerra imposte da Bruxelles e Francoforte ad Atene, ora dovrà fare i conti con la realtà.
La logica è sempre la stessa: per erogare, a piccole dosi, le tranche del finanziamento promesso dall’Ue nel luglio del 2015 in cambio di una sfilza di provvedimenti antipopolari, la Grecia deve ‘fare i compiti’. La generosità dell’Unione Europea il popolo greco se la deve meritare, e conquistare, a suon di nuovi sacrifici a senso unico.
Ora che le casse di Atene sono di nuovo vuote l’Eurogruppo ne approfitta per chiedere nuovi tagli, nuove misure di austerità. Anzi, siccome non si fida dell’effettiva capacità da parte del governo e del popolo ellenico di adottare le misure necessarie a risanare il bilancio dello Stato, i generosi manager dell’UE vogliono imporre addirittura ad Atene una ‘austerità preventiva’. Come in passato, il tempo è poco, l’offerta al sempre più debole e delegittimato esecutivo Tsipras è “prendere o lasciare” entro giovedì, quando la nuova riunione dell’Eurogruppo dovrà sancire l’ulteriore misura di commissariamento del paese. La ‘trattativa’ – che trattativa ci può essere con uno dei due contraenti strangolato, con la pistola alla tempia e retto da un governo che non mette in conto alcuna forma di rottura nel caso il negoziato non vada per il verso giusto? – procede su tre tavoli separati, e l’algido presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem si dice ottimista. E’ stato lui stesso a spiegare le caratteristiche dell’ennesima manovra a tenaglia. Nel primo tavolo si discute un nuovo pacchetto di ‘riforme’ che vale il 3% del Pil ellenico e 5 miliardi di euro: per concedere una nuova tranche di finanziamenti l’Ue vuole da Atene l’allungamento dell’età pensionabile, l’aumento dei contributi previdenziali e la diminuzione dell’entità degli assegni, oltre a un ‘riassetto del sistema bancario’. Nel secondo tavolo si discute invece un altro pacchetto di misure economiche – altri 3 miliardi e mezzo, ossia il 2% del Pil greco – che il governo di Atene si dovrebbe impegnare ad adottare in forma praticamente automatica nel caso in cui non sia in grado di mantenere gli impegni assunti con i paesi creditori e di ottenere nel 2018 un avanzo primario del 3.5% del Pil greco. Un risultato impossibile da raggiungere, è evidente, in un paese dove la povertà aumenta invece di diminuire e dove ogni risorsa pubblica deve essere destinata al pagamento delle rate agli strozzini di Francoforte.
Il ministro delle Finanze Euclide Tsakalotos ha fatto notare che la legge ellenica non permette l’adozione di ‘un pilota automatico’ e di ‘misure preventive’ in tema di politiche economiche… ma è ovvio che dopo la firma del Terzo Memorandum e dell’ennesimo commissariamento del paese il governo di Atene potrà – e dovrà, visto che si nega ogni alternativa – ingoiare anche quest’altro rospo. L’escamotage tecnico, il cavillo legale si troverà.
Sull’implementazione dell’austerity preventiva insiste soprattutto il Fondo Monetario Internazionale: le misure preventive «devono essere chiare, approvate dal Parlamento, e con un’applicazione automatica» ha tuonato ieri da Amsterdam la direttrice generale Christine Lagarde. “Devono essere basate su fattori oggettivi che indichino quando le misure scattano” ha rincarato la dose Dijsselbloem.
Per indorare un po’ la pillola, l’establishment continentale continua a mostrare disponibilità – ma solo se Atene avrà firmato l’ennesima capitolazione – rispetto alla richiesta ellenica di un alleggerimento del debito pubblico, anche se dalle stanze europee dei bottoni si sono già esclusi categoricamente degli haircut che portino ad un taglio dell’importo, ma al massimo si vocifera su un allungamento dei tempi di restituzione… «I ministri sono d’accordo per escludere il taglio nominale del debito» ha avvertito lo stesso Dijsselbloem il quale ha spiegato che al massimo l’Ue è disponibile a posticipare le scadenze e a una qualche riduzione dei tassi d’interesse.
Intanto però la Troika dall’arrendevolissimo esecutivo Tsipras pretende un nuovo aumento delle imposte sul reddito e l’implementazione di altre imposte indirette, in totale altri 3,5 miliardi di euro. Sul fronte pensioni il si di Atene ci sarebbe già.
I sindacati ellenici scioperano e manifestano, la sinistra veramente radicale continua a protestare e a chiedere di rompere la gabbia dell’Unione Europea, mentre il governo balbetta promesse assai poco credibili e Syriza chiede pazienza alla sua base sempre più disillusa in nome di tempi migliori “ormai prossimi”.
Intanto l’Unicef, nel nuovo rapporto intitolato “La condizione dell’infanzia in Grecia 2016”, certifica che le condizioni dei bambini nel paese sono sempre più gravi. La povertà infantile è aumentata dal 1995 al 2015 del 6,3%, in termini assoluti 122.340 bambini in più sono diventati poveri. Nel 2014 la povertà infantile era al 25,3% con un totale di 424 mila bimbi coinvolti sostiene l’Unicef, e in due anni la situazione è ulteriormente peggiorata.
La spesa mensile media per i consumi per una famiglia con due bambini è stata nel 2014 di 1.551 euro, mentre nel 2010 era di 2.359 euro. Nel 2015 la grave deprivazione materiale – cioè l’incapacità delle famiglie di potersi permettere almeno 4 tra 9 beni e servizi quali affitto, elettricità, acqua, riscaldamento, carne, vacanze, tv, auto, telefono – per le famiglie con bambini era al 26,8%. L’Unicef ricorda che sulla base dell’analisi dei dati Eurostat il Pil greco è diminuito di un quarto dal 2008 a oggi, la disoccupazione è aumentata drammaticamente al 27% (al 50% tra i giovani) e una persona su cinque vive in condizioni di grave deprivazione materiale. E’ l’Unione Europea, bellezza…
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