Per l'ennesima volta, la Cina si dice indignata per il programmato dispiegamento del sistema USA antimissile THAAD nella Corea del Sud. E non glielo manda a dire: nei colloqui bilaterali a margine del G20 a Hangzhou, il presidente Xi Jinping ha detto a Barack Obama che gli Stati Uniti devono rispettare la garanzia strategica della sicurezza cinese. Poi, incontrando Vladimir Putin, Xi ha esortato la Russia a unire gli sforzi a difesa della sovranità russo-cinese: “I nostri paesi devono maggiormente intensificare la collaborazione multilaterale, incrementare l'appoggio politico reciproco, il mutuo sostegno nella difesa della sovranità”.
Meno diplomaticamente, la Corea del Nord ha “avvertito” Obama, procedendo al lancio di altri tre missili balistici, la cui corsa è terminata nel mar del Giappone, dopo l'ultimo lancio di un razzo KN-11 da bordo di un sommergibile, lo scorso 23 agosto, in risposta alle manovre congiunte USA-Corea del Sud “Ulji Freedom Guardian”. Il Rodong Sinmun ha dato notizia della presenza del leader Kim Jong Un al lancio di lunedì scorso che, secondo l'organo nordcoreano, dimostra “di fronte al mondo la capacità militare delle forze strategiche nordcoreane di portare un attacco preventivo contro i nemici in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo”.
Ma i legami strategici in Estremo Oriente hanno una base economica che si consolida sempre di più, anche se può apparire prematuro dire che “il Yuan cinese seppellirà il dollaro”. Da questo punto di vista, tra l'altro, nell'ambito del Forum economico orientale a Vladivostok, che ha anticipato di poche ore il G20 a Hangzhou, la Cina ha mostrato interesse alla partecipazione alla progettata (si parla del 2050) linea ferroviaria, di concezione futuristica, che dovrà unire la regione russa della Čukotka, nell'estremo nordest della Siberia, agli Stati Uniti attraverso Kamčatka, stretto di Bering e Alaska.
Si assiste insomma a un continuo e nemmeno tanto lento accumularsi di tasselli che indicano come l'asse economico e geopolitico mondiale si stia progressivamente spostando verso la regione estremorientale, con gli Stati Uniti all'affannosa rincorsa di posizioni, puntellata da una politica che un secolo fa si sarebbe detta delle cannoniere e che oggi si traduce nel dispiegamento di armi strategiche nucleari nelle aree che Washington può ancora considerare “alleate”.
E, se uno storico vassallo yankee quale le Filippine ha potuto dare del figlio di cagna al presidente USA addirittura alla vigilia del vertice dell'Asean, non fa alcuna meraviglia che il Giappone, sull'onda dell'avvicinamento con Mosca (nonostante la questione tuttora aperta delle Kurili meridionali (Iturup, Šikotan, Kunašir e l'arcipelago Khabomai), crei un Ministero apposito per i rapporti economici con la Russia. Il nuovo dicastero dovrebbe essere diretto dall'attuale Ministro dell'economia, commercio e industria Hiroshige Sekō e già questo testimonia dell'importanza che Tokyo attribuisce ai legami con Mosca.
Già durante l'incontro dello scorso maggio a Soči, Vladimir Putin e il primo ministro giapponese Shinzō Abe si erano accordati per la realizzazione di progetti economici su larga scala, in particolare nella regione dell'Estremo Oriente: porti, infrastrutture per il gas, industrie dei settori energetico, nucleare e ad alta tecnologia. Ovviamente, nota il sito Katehon, Tokyo ha le proprie ragioni geo-economiche per cercare di portare dalla propria parte Mosca, nel tentativo di scalzare la preminenza cinese nella regione e di deviare parte della potenziale collaborazione militare russa da Pechino verso Tokyo; e Mosca, da parte sua, stringendo rapporti reciprocamente vantaggiosi con il Giappone, è interessata a non dipendere completamente dalla Cina nella regione del Pacifico e, contemporaneamente, sostenere un Giappone più indipendente dagli Stati Uniti che non al momento attuale, quando Tokyo è parte integrante della cintura “Anaconda” di accerchiamento della Russia.
In ogni caso, scrive Katehon, di fronte a Russia e Giappone c'è l'obiettivo di un necessario avvicinamento. Il prossimo incontro Putin-Abe in Giappone, fissato per dicembre, dovrebbe portare qualche progresso anche nell'accordo di pace tra i due paesi, in sospeso a settant'anni dalla fine della guerra. Putin ha fatto capire che le dispute territoriali tra Mosca e Tokyo potrebbero smussarsi in coincidenza con un diverso approccio giapponese, non di contrapposizione, ma di indipendenza (dagli USA) e di amicizia (con la Russia), così come è avvenuto per parti di territorio prima controllate da Urss e Russia e poi cedute alla Cina, in virtù dei nuovi rapporti russo-cinesi. “Il problema reale, per la Russia, nella soluzione della disputa territoriale con il Giappone” scrive Katehon, “risiede nella cooperazione strategica del paese con gli Stati Uniti (de facto occupazione). In queste condizioni, il trasferimento delle isole al Giappone, significherebbe un trasferimento de facto agli Stati Uniti, principale rivale geopolitico della Russia”.
Putin ha fatto riferimento alla Dichiarazione di Mosca del 1956, sottoscritta da Urss e Giappone, con cui l'Unione Sovietica accettava di consegnare Khabomai e Šikotan a Tokyo dopo la conclusione del trattato di pace. Tuttavia, il trattato fu silurato dagli Stati Uniti, che minacciarono di non restituire al Giappone l'isola di Okinawa e interrompere i finanziamenti al paese devastato dalla guerra; così Tokyo rifiutò di firmare il trattato di pace. Nel 1960, dopo l'accordo su cooperazione e sicurezza tra USA e Giappone, l'Unione Sovietica rifiutò di esaminare la questione delle cessioni territoriali a Tokyo, che avrebbero comportato l'allargamento del territorio utilizzato dal principale nemico geopolitico della Russia sovietica, cioè gli USA.
Ora le reazioni negative dei circoli industriali giapponesi alle conseguenze delle sanzioni antirusse decretate da Tokyo su pressione USA e la necessità di contatti tra i rispettivi complessi militari-industriali, spingono Abe a prestare minore ascolto ai dettami di Washington. Tanto più che, secondo Katehon, l'obiettivo di Abe, di rivedere in senso più “antiliberale” e militarista la Costituzione (a suo tempo stilata sotto dettatura statunitense) e il piano di creare un proprio arsenale nucleare, necessitano di una relativa indipendenza giapponese da Washington. Da questo punto di vista, Katehon (alcuni dei cui massimi rappresentanti, per inciso, non disdegnano la presenza ai forum della Lega e i contatti con Matteo Salvini) “consiglia” il Cremlino di non escludere un possibile appoggio a gruppi dell'estrema destra giapponese, fortemente antiamericani, quali il “Issuikai” che, a parere di Katehon, avrebbe forti prospettive di crescita di consensi o i nazionalisti del “Nippon Kaigi”, legati ai circoli neoconservatori americani: tutti raggruppamenti che cercano di dar vita a una politica “multivettoriale”, bilanciando l'alleanza con gli USA, con legami più stretti con Mosca.
E per quest'ultima, conclude Katehon, oltre al fatto che più robusti rapporti con Tokyo sono necessari allo sviluppo delle regioni dell’Estremo Oriente, è fondamentale non tanto che i giapponesi simpatizzino o meno con la Russia, quanto che si sbarazzino della tutela statunitense.
Fabrizio Poggi
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