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Francia. Solo promesse e niente garanzie nel discorso di Macron

Dopo circa un mese dall’annuncio di confinamento “all’italiana”, il Presidente francese Macron torna a rivolgersi alla Nazione in un messaggio a reti televisive unificate la sera di lunedì 13 aprile, mentre la Francia sta attraversando la fase di picco della pandemia di Coronavirus.

Secondo le ultime cifre pubblicate dalla Santé publique France, il numero dei contagi ha superato i 136mila positivi e i decessi sono quasi 15mila. In questo contesto di plateau massimo, comincia a ridursi il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva e ieri (lunedì) è stato il quinto giorno consecutivo di calo.

Prima dell’annuncio del presidente Macron, secondo un sondaggio realizzato da Odoxa, il 60% dei francesi ha dichiarato di essere favorevole ad un prolungamento del confinamento “esclusivamente sulla base di criteri sanitari”. Ebbene, le attuali misure di restrizione degli spostamenti e di rispetto del cosiddetto “distanziamento sociale” sono state estese fino al prossimo 11 maggio.

Con il solito tono bonario e fintamente compassionevole, il Presidente Macron non ha fatto altro che prendere tempo, limitandosi a ribadire quanto più di indispensabile è stato messo in campo finora per contrastare il Covid-19, ma senza rispondere agli interrogativi emersi nel dibattito pubblico durante le ultime settimane.

Che fine ha fatto il “grande piano di investimenti” per gli ospedali annunciato dallo stesso Macron durante la sua visita all’ospedale da campo di Mulhouse, nella regione del Grand-Est, lo scorso 25 marzo?

Per non parlare delle responsabilità nella gestione dell’emergenza sanitaria che hanno riguardato – e tuttora sono di primaria importanza – la penuria di mascherine protettive, la scarsità di medicinali e la mancanza di altri dispositivi di protezione individuale, soprattutto nei pronto-soccorso e nei reparti di terapia intensiva degli ospedali francesi?

Ma andiamo con ordine, per cogliere alcuni degli aspetti fondamentali del discorso di Macron, sia per comprendere la situazione attuale che per analizzare come il governo francese intende avviare il “deconfinamento”.

Innanzitutto, in apertura del suo discorso, sembra che il Presidente Macron sia stato colpito da una serie di vuoti di memoria. Facendo riferimento alle difficoltà di questo periodo per coloro che “abitano in un appartamento piccolo”, che “non dispongono dei mezzi di comunicazione necessari” per svolgere il tele-lavoro o la didattica a distanza, che subiscono il “rischio di violenze in famiglia”, Macron nasconde volontariamente il carattere fortemente classista delle sue politiche neoliberiste, che hanno accresciuto notevolmente le disuguaglianze sociali ed economiche.

Cosa fare di fronte alla situazione in cui “troppi bambini, soprattutto nei quartieri popolari e nelle nostre campagne, sono privati della scuola senza avere accesso a tecnologie digitali e che non possono essere aiutati allo stesso modo dai loro genitori”?

Invece che preoccuparsi di fornire gli strumenti e le risorse necessarie per far fronte a quelle che sono le conseguenze dell’impoverimento sociale determinato dalle sue politiche di redistribuzione verso l’alto, Macron decreta che dall’11 maggio riapriranno progressivamente gli asili nido, le scuole e i licei, senza però comunicare alcun dettaglio né su come né in quali condizioni sarà possibile riprendere l’attività didattica dopo il confinamento: “Il governo dovrà stabilire regole speciali, organizzare il tempo e lo spazio in modo diverso, e proteggere i nostri insegnanti e i bambini con le attrezzature necessarie”.

Tuttavia, il deconfinamento progressivo previsto dalll’11 maggio non sarà valido per le “persone vulnerabili, come anziani, in condizioni di disabilità grave e con malattie croniche”. Inoltre, tutti i luoghi pubblici (caffè, ristoranti, cinema, teatri, musei, ecc.) continueranno ad essere chiusi anche oltre la data dell’11 maggio.

Macron ha affermato che “gli ospedali francesi sono riusciti a curare tutti coloro che si sono presentati”, mentendo spudoratamente di fronte all’evidente emergenza riportata e denunciata dal personale sanitario “in prima linea”, secondo la quale in numerosi casi medici ed infermieri sono stati – loro malgrado – costretti ad operare delle scelte tra pazienti “rianimabili” e “non rianimabili”.

Questo il modus operandi descritto da un’infermiera del centro ospedaliero di Nancy in un’intervista pubblicata da BastaMag, nella quale chiarisce cosa questo implica per i pazienti classificati non “rianimabili”: “Se le loro condizioni peggiorano, non saranno trasferiti in rianimazione e quindi non saranno intubati. I medici stimano che non ce la faranno”.

Come fatto più volte, Macron rivolge il suo ringraziamento propagandistico e paternalistico a tutto il personale sanitario – quegli “eroi” o “bravi soldati” che però non vogliono essere indicati come tali – e a tutta una serie di lavoratori che hanno continuato a recarsi nei luoghi di lavoro (in Francia non è mai stato decretato un blocco delle attività produttive non essenziali), quotidianamente esposti al rischio di contagio e non tutelati dalle imprese che, al solito, hanno anteposto i propri profitti alla salute e alla vita dei lavoratori.

Infine, un doveroso ed immancabile omaggio viene fatto ai poliziotti e ai gendarmes che hanno fatto rispettare le misure di confinamento.

Macron e il suo governo, in particolare nella figura del ministro degli interni Christophe Castaner, hanno sempre difeso e giustificato il braccio violento e repressivo della polizia di fronte alle rivendicazioni sociali portate avanti dai diversi settori in lotta negli ultimi due anni.

Lo stesso vale anche in tempo di confinamento per chi osa trasgredire tali disposizioni. Il prefetto “manganellatore” di Parigi, Didier Lallement, era stato abbastanza chiaro già all’inizio del confinamento, quando in un’intervista aveva affermato: “Voi mi conoscete, faccio comprendere molto rapidamente le disposizioni”.

Una logica che, oltre a controlli arbitrari e violenze da parte della polizia specialmente nei quartieri popolari e nelle banlieue, ha confermato le sue nefaste conseguenze. Lo scorso 8 aprile, Mohammed Gabsi, 34 anni e senza fissa dimora, è stato fermato nella tarda serata dalla polizia a Béziers, piccolo comune vicino a Montpellier.

Il suo arresto, giustificato con il “mancato rispetto del confinamento” da parte delle forze dell’ordine, si trasforma in un omicidio: nell’auto che lo portava alla stazione di polizia, un poliziotto si è seduto su di lui per controllarlo durante il viaggio, fino a che Mohammed non ha cominciato a soffocare per poi morire alla stazione di polizia poco dopo il suo arrivo.

Macron ha dovuto riconoscere che, nell’emergenza sanitaria, “la situazione ha mostrato delle mancanze. Eravamo preparati a questa crisi? Evidentemente non abbastanza”. Un’ammissione di responsabilità dalla quale però prova subito a sviare, facendo notare come tutti sono stati “colti di sorpresa”: “Come tutti i paesi del mondo, ci sono mancati camici, guanti, gel idroalcolico e non abbiamo potuto distribuire tutte le maschere che volevamo al personale sanitario. Ma non appena questi problemi sono stati identificati, ci siamo mobilitati”.

Soltanto che in realtà la risposta da parte del governo è stata decisamente insufficiente nel reperire e distribuire tutto il materiale occorrente e necessario agli operatori sanitari per svolgere in maniera sicura il proprio lavoro di assistenza e cura dei pazienti negli ospedali. In molti di questi, le mascherine (raramente FFP2) e i camici vengono riutilizzati più e più volte; in caso di mancanza di questi DPI, si ricorre a mascherine in tessuto fatte in casa o a sacchi della spazzatura al posto dei camici.

Tuttavia, secondo Macron, per fronteggiare una “penuria mondiale che ha impedito le consegne” di questi DPI, “una produzione come in tempo di guerra è stata messa in campo”. Al di là dell’immancabile eco militare che contorna e caratterizza qualsiasi intervento pubblico da parte delle autorità, il governo non ha mai preso in considerazione, tra le tante misure, la requisizione di due imprese strategiche del settore, la cui produzione sarebbe particolarmente vantaggiosa nell’attuale emergenza sanitaria.

Si tratta di Luxfer (produttore di bombole di ossigeno per uso medico) e Famar (produttore di clorochina), due imprese che andrebbero nazionalizzate e la cui produzione dovrebbe essere immediatamente indirizzata a soddisfare la domanda che proviene dagli ospedali, così come proposto da La France Insoumise.

Anche per quanto riguarda le mascherine, nonostante il governo abbia sostenuto in diverse occasioni l’impossibilità di prevederne l’effettivo bisogno, lo scandalo per cui la Francia si è trovata a corto di mascherine FFP2 all’inizio dell’epidemia ha mostrato l’incapacità conclamata da parte delle autorità sia in termini di previsione che di gestione dell’emergenza sanitaria.

Il ministro della salute Olivier Véran aveva ammesso in una conferenza stampa che gli stock strategici, che 10 anni fa erano di un miliardo di mascherine più 600 milioni di FFP2, si sono ridotti anno dopo anno fino ad arrivare a una totale mancanza di questo tipo di mascherine.

Questo a causa di scelte politiche fallimentari. Come nel caso dell’azienda del gruppo Honeywell, il cui stabilimento di Plaintel in Bretagna per decenni ha prodotto mascherine FFP2 interamente destinate agli stock di Stato.

Dopo una significativa riduzione di personale, dai 300 effettivi nel 2010 ai 40 nel 2018, la direzione ha deciso di chiudere e delocalizzare la produzione in Tunisia. Dello stabilimento oggi non rimangono che i muri, visto che le sue macchine sono state vendute al prezzo di rottami metallici oppure distrutte.

Nel suo discorso, Macron fa previsioni e promesse circa il deconfinamento, senza però alcuna garanzia reale ed effettiva. A partire dall’11 maggio, con l’allentamento delle restrizioni, “la Francia sarà in grado di testare chiunque abbia sintomi”.

Una misura inutile e completamente in ritardo rispetto all’emergenza in corso, poiché è necessario ora e da subito poter testare chi presenta sintomi relativi al Covid-19. Ma, in realtà, nei pronto-soccorso arrivano soltanto i “casi gravi”, così come riconosciuti dalla SAMU, e questi soltanto vengono testati; agli altri potenziali infetti viene imposta la quarantena in casa.

Macron precisa che “non testeremo ogni francese, non avrebbe senso, ma chiunque abbia dei sintomi deve poter essere testato”. Un messaggio che contrasta le indicazioni del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo scorso 16 marzo invitava ad uno screening di massa: “Abbiamo un semplice messaggio per tutti i paesi: testate, testate, testate la gente”.

Inoltre, senza troppi dettagli né motivazioni concrete, Macron ha promesso che dall’11 maggio lo Stato, “in collaborazione con le autorità locali”, permetterà “a tutti di ottenere una mascherina per le professioni più a rischio e per alcune situazioni, come nel trasporto pubblico”. Ha poi aggiunto che “il loro uso potrebbe diventare sistematico”, senza fornire ulteriori precisazioni sul tipo di mascherine a cui si fa riferimento. Si tratta di mascherine FFP2, quelle chirurgiche o ancora quelle “alternative” in stoffa? Al momento, non è dato sapere.

Come detto in precedenza, dall’11 maggio verranno riaperte le scuole e i licei. Una riapertura che Macron ha giustificato con la necessità di mettere fine alle disuguaglianze che si manifestano durante la loro chiusura. Ma la realtà di questa scelta sembra avere un obiettivo neanche troppo secondario: “L’11 maggio si tratterà anche di permettere al maggior numero di persone di tornare al lavoro e di riavviare la nostra industria, le nostre attività e i nostri servizi”.

Questo perché la crisi economica e la recessione globale sono ormai evidenti. Lo scorso 9 aprile, la presidentessa della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, aveva avvertito tutti: “Per ogni settimana di contenimento, le economie della zona euro rallentano un po’, dal 2 al 3% del PIL. Più durerà il confinamento, maggiore sarà la contrazione dell’economia”.

Ad ora la Francia ha registrato un catastrofico -6% nel primo trimestre, ma il ministro dell’economia Bruno Le Maire ha affermato che, tenendo conto dell’ulteriore periodo di confinamento, ci si aspetta una recessione dell’8% sulle previsioni di “crescita” per il 2020. Il ministro delle finanze pubbliche, Gérald Darmanin, ha dichiarato che la Francia “passerà da un deficit del -7,6% a un deficit del -9%”, stime che saranno incluse nel Progetto di Legge Finanziaria Rettificativa che il governo presenterà mercoledì, per mettere in atto misure addizionali a sostegno delle imprese.

In questo contesto, le organizzazioni padronali già da tempo invocano una ripresa delle attività produttive. Questo era il contenuto della lettera rivolta al governo da parte dell’Association Française des Entreprises Privées, che rappresenta circa 100 grandi imprese francesi.

Il messaggio sembra essere arrivato a chi di dovere, tanto che ieri sera Macron ha affermato che “quando la sicurezza dei lavoratori e degli imprenditori è garantita, questi devono produrre e lo hanno fatto in gran parte nell’ultimo mese”.

Inoltre, proprio il presidente del Medef (la Confindustria francese), in un’intervista a Le Figaro di qualche giorno fa, invitava gli imprenditori a rimettere in funzione la macchina economica senza indugio e l’eco è ben evidente nel discorso del Presidente Macron.

Una strategia razionalmente “azzardata”, come definita da Jean-Luc Mélenchon, se non addirittura criminale, come quella della Confindustria del Nord Italia che chiede di aprire immediatamente la “fase due” per far ripartire molte delle attività produttive “non consentite” dal decreto varato dal Premier Conte.

Oltre ai rischi per la salute dei lavoratori, tanto negli spostamenti quanto nei luoghi di lavoro, da diverse parti si prospetta una regressione sostanziale dei diritti di milioni di lavoratori. In questo articolo abbiamo descritto come il quadro dello “stato d’emergenza sanitaria” permette al governo francese di legiferare tramite ordinanze e come alcune di queste avrebbero attaccato le ferie retribuite e l’orario di lavoro settimanale.

Negli ultimi giorni hanno destato non poche preoccupazioni le dichiarazioni della segretaria di Stato per l’economia, Agnès Pannier-Runacher, e del presidente del Medef, Geoffroy Roux de Bézieux, proprio sull’orario di lavoro. La prima ha affermato “probabilmente bisognerà lavorare più di prima” per recuperare la perdita di attività causata dal contenimento in corso dal 17 marzo; per il secondo, “bisognerà, prima o poi, porsi la questione dell’orario di lavoro, dei giorni festivi e delle ferie pagate, per accompagnare la ripresa economica e facilitare, lavorando un po’ più, la creazione di una crescita aggiuntiva”.

Insomma, c’è fretta di ritornare a pieno regime… e anche di più per provare a recuperare i mancati guadagni o almeno attenuare le conseguenze economiche negative di questa crisi e della recessione che ne deriverà. Poco importa se la Francia è ancora “lontana dall’immunità collettiva”, dice Macron, il quale prevede che “dovremo convivere con il virus per diversi mesi”.

Per le organizzazioni padronali, le attività produttive – mai realmente fermate – devono ripartire immediatamente e il governo è ben disposto ad andare incontro agli interessi padronali, anche per alleggerirsi dei costi economici e sociali derivanti dallo chômage partiel (meccanismo più o meno simile alla cassa integrazione).

Infatti, secondo le ultime cifre comunicate dal ministro del lavoro, Muriel Pénicaud, la Francia ha raggiunto la cifra storica e record di 8 milioni di lavoratori dipendenti in chômage partiel, di cui 3 milioni nell’ultima settimana.

In chiusura del suo discorso, Macron riconosce l’urgenza di dover “costruire una strategia in cui ritrovare la visione a lungo termine, la capacità di pianificare, la prevenzione”. Di programmazione, del post-confinamento e non solo, non c’è alcuna traccia e un piano serio e concreto non può minimamente basarsi sugli annunci sparati senza alcuna garanzia e valutazione complessiva.

Per il momento, il Presidente Macron prende tempo, durante il quale la sua “strategia” rischia davvero di rivelarsi rischiosa e catastrofica.

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