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Perù. Il colpo di mano fujimorista è andato a vuoto

Sabato 12 Lima è stata un focolaio di voci e di tira-e-molla. Il presidente Sagasti, Mario Vargas Llosa, il presidente della Giuria Nazionale delle Elezioni (JNE) e persino i ronderos di Chota hanno agitato il panorama politico al punto che, nel primo pomeriggio, si pensava che Keiko Fujimori potesse trionfare nella sua intenzione di rinviare indefinitamente il processo elettorale.

Alle 17 il JNE ha finalmente diramato un annuncio che sembra aver messo definitivamente fine a qualsiasi possibilità di cambiare il risultato che dà Pedro Castillo come vincitore del secondo turno elettorale.

Telefonata a Vargas Llosa

La giornata è iniziata con due notizie sconcertanti. In primo luogo, un raid organizzato dall’ala dura di Fuerza Popular che, spudoratamente, aveva cercato di intimidire il presidente del JNE, il dottor Jorge Salas Arenas, davanti alla sua casa.

Un’iniziativa che ha rivelato la disperazione di Fernando Rospigliosi e di altri ultrà fujimoristi, che avevano giurato che non avrebbero permesso che “il comunismo governi il Perù“.

Avevano il sangue agli occhi perché tutti i loro tentativi di far disconoscere alle Forze Armate i risultati delle elezioni erano miseramente falliti. .

La seconda novità è stata la notizia di una presunta telefonata del presidente in carica, Francisco Sagasti, allo scrittore Mario Vargas Llosa per chiedergli di usare i suoi buoni uffici con la candidata che aveva sponsorizzato –  Keiko Fujimori – affinché riconoscesse la sua sconfitta.

La chiamata è stata subito trasformata in una questione di Stato e nel Congresso si è parlato di nuovo di “ingerenza” e di promuovere un’azione di sfiducia nei confronti di Sagasti. In realtà, stava cercando di evitare che il clima elettorale peggiorasse.

Per questo motivo, nello stesso momento in cui prendeva accordi con Vargas Llosa, Sagasti comunicava discretamente anche con Pedro Castillo, il che spiega il tono conciliante che Castillo ha mostrato negli ultimi interventi, dal suo ufficio di Paseo Colón.

Come se non ci fossero abbastanza ingredienti per rendere “nervosa” la giornata, è stata resa pubblica anche una lettera di 22 ex presidenti latinoamericani, in cui si chiedeva chiedeva che nessuno fosse dichiarato vincitore delle elezioni, esortando entrambi i candidati “ad aspettare che gli organi costituzionalmente competenti emettano la loro risoluzione finale“.

Così facendo, hanno in pratica cercato di contestare il fatto che la missione dell’OAS e tutti gli altri osservatori internazionali avevano ritenuto le elezioni trasparenti,  respingendo le accuse di frode avanzate dai fujimoristi.

Inoltre, questi ultimi dovevano cercare di nascondere il fallimento degli avvocati dei “migliori studi legali di Lima” che, sebbene avessero preparato un attacco mediatico di successo sulla cosiddetta “frode al seggio elettorale“, non erano però stati in grado di consegnare in tempo le contestazioni degli atti dei seggi elettorali che stavano analizzando.

In altre parole, l’ultima cartuccia non era stata sparata in tempo e la strategia di Fujimori di sfidare l’intero processo elettorale stava cadendo a pezzi.

Un piccolo ma inopportuno colpo di mano

Così, la segreteria del JNE ha richiamato i suoi membri per discutere, nell’incontro di mezzogiorno, una richiesta dei rappresentanti di Fuerza Popular di prorogare il termine per la presentazione delle contestazioni. L’argomento era che un termine legale così breve per un numero così grande di contestazioni violava principio di buon senso.

I tre membri della giuria – oltre a Salas Arenas, Jorge Rodríguez Vélez, Luis Arce Córdova e Jovian Sanjinez Salazar – hanno accettato di prolungare il termine fino alle 20 di ieri sera, anche se per motivi diversi.

Alcuni stavano facendo il gioco di Keiko Fujimori, altri pensavano che le contestazioni erano così deboli che,  se anche fossero state accettate per la verifica, alla fine sarebbero state considerate infondate. Tutti sentivano, in quel momento, che la loro decisione avrebbe migliorato l’immagine di un JNE “imparziale”.

Quei membri del JNE, che sostenevano che l’estensione era irrilevante per la questione sostanziale, avevano ragione. Con una differenza di 69.000 voti a favore di Pedro Castillo, l’unica possibilità di ribaltare il risultato era quella di annullare lo scrutinio in 1.000 seggi in cui aveva vinto su Keiko con il 66% a 33%, il che avrebbe permesso alla Signora K, di batterlo per poche decine di voti.

Il problema era però che le contestazioni presentate non raggiungevano i 1.000 seggi , quindi anche se tutti fossero stati annullati, Castillo sarebbe stato ancora primo.

Avvocati e Ronderos

Ma la decisione ha smosso le acque. Poco dopo l’annuncio della decisione, i numerosi avvocati che avevano espresso l’opinione che nessuna contestazione era ammissibile senza essere stata fatta al seggio elettorale, hanno riempito le reti con le loro critiche.

Colleghi e amici dei giurati hanno espresso il loro stupore per una così grave violazione della legge. In una conferenza stampa, l’ex decano dell’Ordine degli Avvocati di Lima, Aníbal Torres, è riapparso e ha polverizzato gli argomenti del JNE, e la portavoce di Perú Libre e vicepresidente virtuale Dina Boluarte hanno parlato di “colpo di stato“.

I sostenitori del maestro hanno così cominciarono a radunarsi a piazza San Martin con l’intenzione di marciare verso la sede del JNE e anche lo stesso Pedro Castillo ha messo da parte il riserbo dell’attesa, chiedendo ai ronderos di Cajamarca e Cuzco di accelerare la marcia verso Lima.

La reazione della strada ha sensibilizzato i membri della giuria, che si sono dovuti riunire d’urgenza. Il presidente stesso ha chiesto un ripensamento che, con il solo dissenso del dottor Arce Córdova, è stato approvato, revocando l’accordo. Questa decisione ha fatto tornare a 165 il numero di atti contestati.

Con questo, il destino elettorale della Fujimori è segnato. Anche se i 165 atti contestati rimanenti le dessero tutti i voti, non basterebbero a raggiungere e superare Pedro Castillo.

La proclamazione è vicina.

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