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Polonia: quanto conviene alla Germania una improbabile Polexit?

Manca ormai poco all’addio di Angela Merkel alla poltrona di Cancelliere tedesco; ma in questo “poco”, ha fatto in tempo a suscitare le bizze di Varsavia, confermando così quanto affermato dalla rappresentante governativa tedesca Ulrike Demmer, secondo cui i rapporti tedesco-polacchi si trovano oggi al livello più basso.

Sabato scorso, il Presidente polacco Andrzej Duda ha molto poco diplomaticamente rifiutato di incontrare la Merkel, nonostante il programma della sua visita a Varsavia lo prevedesse.

All’ultimo momento, Duda ha fatto dire che l’impegno per i festeggiamenti a Katowice per l’anniversario di “Solidarnosc”, gli impedivano di essere a Varsavia.

Il commento di alcuni media tedeschi è stato che «la Germania versa ogni anno indirettamente quasi 4,5 miliardi di euro alla Polonia, maggior beneficiario netto della UE in termini assoluti. Come ringraziamento, il polacco Duda non ha tempo per la cancelliera tedesca. Forse la Germania dovrebbe mandare ancora più miliardi alla Polonia, o no?».

«Problemi di programmazione», ha detto il portavoce del governo Steffen Seibert; «coincidenza di circostanze e disallineamento», ha detto il capo dell’Ufficio presidenziale, Pawel Soloch. Gazeta Wyborcza sostiene che il rifiuto di Duda sia dovuto al fatto che la Merkel avesse concordato la visita a Varsavia con il Primo ministro Mateusz Morawiecki e non col Presidente.

Ma Duda sarebbe anche arrabbiato per un episodio del giugno scorso, quando pare che la Merkel non avesse acconsentito alla visita di Morawiecki a Berlino, per “diversità di vedute” col governo guidato dal partito “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość: PiS).

Sabato scorso a Varsavia, invece, Angela Merkel ha incontrato proprio Mateusz Morawiecki. Indicativo, comunque, il fatto che il rifiuto di Duda abbia seguito a ruota l’annuncio russo dell’ultimazione del “North stream 2”, osteggiato da Varsavia. Ma a molti osservatori nemmeno questo sembra un motivo sufficiente.

In effetti, scrive la tedesca Focus.de, ci sono oggi «molti disaccordi tra Varsavia e Berlino. Insieme alla UE, la Germania aveva più volte criticato il governo nazional-conservatore di Varsavia per la sua riforma del sistema giudiziario, e questa settimana la Commissione UE ha chiesto sanzioni finanziarie contro la Polonia».

Difficile credere che a Bruxelles o Berlino siano scandalizzati perché Varsavia, con la “riforma” della giustizia, intenda sbarazzarsi della «eredità del comunismo», sottoponendo al giudizio di uno speciale organo disciplinare certi giudici sgraditi, tuttora influenzati dai loro predecessori d’epoca sovietica: era stato proprio Mateusz Morawiecki, a fine 2019, a dire che in Polonia «negli anni ’90 i giudici comunisti hanno modellato i loro successori», esortando quindi a fare come la Germania dopo il 1989, che aveva licenziato il 30% dei giudici della DDR, «troppo strettamente legati al regime totalitario».

In effetti, il 7 settembre la Commissione europea si era rivolta alla Corte di giustizia UE, chiedendo di imporre sanzioni a Varsavia, giudicando il sistema giudiziario polacco «non conforme alle norme democratiche» e, potremmo aggiungere, ai sacri «valori fondamentali dell’Occidente e della comunità transatlantica».

In risposta, Varsavia ha minacciato, per bocca del vice Maresciallo del Sejm polacco ed esponente di punta del PiS, Richard Terletsky, una inverosimile Polexit, che ha riscosso i commenti ironici di moltissimi internauti: «sniffa meno colla: il tuo cervello è completamente andato. Dove prenderete i soldi?!»; oppure «i polacchi non vogliono la Polexit. Come se nessuno capisse che questo significa impoverimento istantaneo!».

Di fatto, ancora secondo Focus.de, la Polonia è il maggior beneficiario netto della UE in termini assoluti, avendo ricevuto 12,4 miliardi di euro in più di quanto versato; secondo i dati ufficiali UE per il 2018, Varsavia avrebbe ricevuto 16,3 miliardi di euro (pari al 3,43% dell’economia polacca), versando al bilancio UE 3,9 miliardi, pari allo 0,84% dell’economia polacca.

Pare comunque che le grida (abbastanza di facciata) sulla Polexit abbiano ricevuto l’appoggio almeno di una parte dei sostenitori del governo: «La proposta è corretta, perché la Commissione europea non capisce un altro linguaggio. Non siamo entrati in una unione ideologica, bensì economica. Davanti ai nostri occhi, la UE si sta trasformando nell’URSS».

E «I tedeschi portano avanti i propri interessi e cercano di manipolare la Polonia, mentre qui da noi molti si comportano da bambini e credono che siamo in una dittatura». Poveri ingenui, che non capiscono come la messa fuori legge dei comunisti, rappresenti l’apice della democrazia!

Così, la destra sembra essere nuovamente in testa ai sondaggi, col 30% degli intervistati che sostengono l’Unione di destra (coalizione di PiS e Solidarnosc Polonia), seguita da Piattaforma Civica al 24% e l’unione “Polonia 2050” al 14%. E addirittura “l’opposizione” vede in testa un personaggio come l’ex presidente del Consiglio europeo e attuale presidente del PPE, Donald Tusk che, stando a euronews, si dichiara impegnato a guidare proprio Piattaforma Civica.

D’altra parte, è lo stesso Morawiecki a smentire categoricamente ogni ipotesi di Polexit, aggiustando il tiro con un «Dobbiamo pensare a come potremmo cooperare meglio in futuro in modo che tutti rimangano nell’Unione europea, ma che questa UE sia accettabile per noi», precisando che «se tutto andrà come ora, dovremo cercare soluzioni radicali. Gli inglesi hanno dimostrato che la dittatura della burocrazia di Bruxelles non è adatta a loro, si sono voltati e se ne sono andati. Noi non vogliamo andarcene, il nostro sostegno alla UE è molto forte, ma non possiamo permetterci di essere costretti a fare ciò che limita la nostra libertà e limita il nostro sviluppo»; assicurando però che la Polonia «era, è e sarà un membro dell’Unione europea». E dove andrebbe senza i fondi UE?

L’uscita di Terletsky e la reazione di Morawiecki, commenta il polonista russo Stanislav Stremidlovskij, indicano che il partito di governo sta camminando sul filo del rasoio, cercando di usare la retorica antieuropea per coprire i problemi esterni ed interni.

Il motivo formale dell’ultimo conflitto può essere visto nei ritardi della Commissione europea per il cosiddetto Recovery Plan polacco, che impedisce l’apertura di «finanziamenti dal Fondo europeo per la ripresa economica. Ma il punto, ovviamente, non sono solo i trucchi della “democrazia di Bruxelles”, bensì la difficile ricerca polacca di una nuova collocazione nella UE. A giudicare dalle dichiarazioni, i rappresentanti del PiS oggi percepiscono l’Unione Europea esclusivamente come uno spazio economico, in cui prendere prestiti a basso costo e guadagnare bene con i commerci».

Secondo altri deputati polacchi, la Germania, parlando di esercito europeo e di forze di polizia UE, punta a uno Stato federale, mentre la federalizzazione della UE è osteggiata da PiS e da tutte le forze polacche di destra in generale, che si inventano vari formati regionali sia all’interno della UE (iniziativa dei “Tre mari”) che al di fuori di essa (“Triangolo di Lublino” polacco-lituano-ucraino).

Il problema per PiS, dice ancora Stremidlovskij, è che, «date le sue relazioni conflittuali con Bruxelles e Berlino, i progetti polacchi, dichiarati progetti di integrazione, sembrano disintegrativi e miranti a dividere la UE. Ciò solleva la questione di chi altro nell’Unione europea, oltre alla Germania», coi suoi forti investimenti in Polonia, rimanga un sostenitore del mantenimento di Varsavia: sembra che questi paesi siano sempre meno.

Sembra che, in qualche modo, la nuova szlachta polacca stia sopravvalutando la propria importanza anche per la UE, di cui è membro dal 2004, oltre al ruolo di nuovo avamposto yankee in Europa. L’economia polacca occupa un «posto importante nell’Unione europea; ma non dominante», scrive Stremidlovskij.

E se lo stesso partito di governo (PiS) «si pone il problema della trasformazione ideologica della UE, ritenendola inaccettabile per Varsavia, il processo può andare anche in direzione opposta, con la UE che, soppesati tutti i pro e i contro, decida che non abbia senso fare ulteriori concessioni a una tale Polonia e sia il momento di lasciare che se ne vada dalla UE».

Una decisione in tal senso, non potrebbe che passare per il civico 1 della Willy-Brandt-Straße, al Bundeskanzleramt.

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