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L’Agenda Strategica della UE: cinque anni di guerra economica e guerra guerreggiata

La nomina dei nuovi vertici della UE si è risolta velocemente, con la von der Leyen che ha ottenuto la riconferma per un secondo mandato. Ora però bisogna attendere la votazione del Parlamento Europeo.

Lì la situazione rimane in bilico: ricordiamo che nel 2019 la ‘maggioranza Ursula’ vide ben 75 franchi tiratori, e la politica tedesca divenne presidente solo grazie ai voti dei pentastellati. Quello che invece è già scritto nero su bianco è l’Agenda Strategica 2024-2029.

Si tratta di un documento adottato dal Consiglio Europeo, che ha il compito proprio di indicare gli indirizzi politici generali. In esso vengono dunque stabilite le priorità politiche per il quinquennio che aspetta i nuovi organi, dopo ogni elezione europea.

All’inizio del  documento viene subito indicato il contesto a cui dovrà far fronte la prossima UE: “il panorama politico globale è stato rimodellato dalla competizione strategica, dalla crescente instabilità globale e dai tentativi di minare l’ordine internazionale basato su regole”.

La competizione globale ha portato all’ondata di sanzioni contro la Cina, ad esempio, che sono tuttavia in trattativa perché, innanzitutto, è contraria la Germania. Mentre l’ordine internazionale basato su regole è una farsa che serve a nascondere la proiezione egemonica occidentale.

Ma insomma, è chiaro che sarà la frammentazione del mercato mondiale, per quanto ancora limitata, a determinare l’indirizzo di tutta la comunità europea nei prossimi anni. “Nel mondo ipercompetitivo di oggi, dobbiamo liberare lo spirito europeo di imprenditorialità”, dicono a Bruxelles.

Così come lo farà lo scontro a tutto campo con la Russia, attraverso il sostegno a Kiev. È stata Mosca, secondo il Consiglio Europeo, a riportare la guerra nel Vecchio Continente, perché nascondono i bombardamenti su Belgrado e gli otto anni di guerra civile in Ucraina.

Il documento si struttura poi in tre parti, i pilastri per i prossimi cinque anni: “un’Europa libera e democratica”, “un’Europa forte e sicura”, “un’Europa prospera e competitiva”. Nella prima vi sono richiami retorici alla difesa della democrazia e delle minoranze, ma anche indicazioni più concrete.

La tutela del pluralismo passa anche dalla lotta alle interferenze straniere, alla disinformazione e ai discorsi di odio (con riferimento anche al compito dei Big Tech di far rispettare questi principi anche online). Ovviamente, tutto valido per chi è fuori dal ‘giardino europeo’.

Non sentiamo infatti i vertici UE stracciarsi le vesti sullo stato dei media in Ucraina, mentre tante accuse sono state portate a Tbilisi quando ha scelto di dotarsi di una legge proprio contro le influenze straniere.

Per quanto riguarda i social, anche qui nessuna parola quando i lavoratori che si opponevano al genocidio dei palestinesi hanno subito le più varie ritorsioni, fino a perdere il lavoro.

C’è poi un riferimento al dover rilanciare il ruolo delle Nazioni Unite (ignorate sistematicamente ogni volta che faceva comodo), e anche quello di istituti multilaterali, per renderli “più inclusivi e più efficaci”.

Ma tra il multilateralismo e il multipolarismo c’è un abisso. È pur sempre un multilateralismo dominato dalle potenze occidentali, in cui la UE vuole essere “attore strategico globale nel nuovo contesto geopolitico multipolare”.

Il sostegno all’Ucraina, nei suoi confini riconosciuti internazionalmente, è ripetuto anche nella seconda sezione, dove si parla di sicurezza. Per essa, si prevede di investire di più e con meno sprechi, per creare un mercato della difesa integrato.

Viene anche evidenziato il legame tra sicurezza e solida base economica, presagendo la deriva verso il keynesismo militare. Non a caso, viene anche affermato che si migliorerà l’accesso ai finanziamenti pubblici, e non solo quelli privati, anche attraverso la Banca Europea per gli Investimenti.

L’obiettivo è dunque quello che gli imperialisti europei hanno reso da tempo di pubblico dominio: “ridurremo le nostre dipendenze strategiche, aumenteremo le nostre capacità e rafforzeremo di conseguenza la base tecnologica e industriale della difesa europea”.

Non può di certo mancare un paragrafo sui migranti. La libera circolazione delle persone (ovvero, della manodopera) deve essere garantita all’interno dei confini UE, mentre al di fuori la gestione dei flussi abbiamo visto da anni cosa significa, con gli accordi con Erdogan e con i trafficanti del Nord Africa.

Infine, il tema centrale rimane quello della competitività. La UE vuole – e deve, se vuole contare qualcosa – “chiudere il divario nella crescita, nella produttività e nell’innovazione” e “rafforzare la sovranità in settori strategici”, leggiamo nell’ultima delle tre parti del documento.

Per sbloccare gli investimenti necessari a questo salto di qualità, nel testo si legge che va approfondita l’integrazione del mercato dei capitali e bancario. E bisogna inoltre fare affidamento sui finanziamenti pubblici, per stimolare il privato, nella logica del “più stato per il mercato”.

È proprio nel mercato unico che si possono creare quelle economie di scala necessarie a costruire i famosi ‘campioni europei’, grandi multinazionali capaci di competere con i colossi statunitensi e cinesi.

Non è un caso che è proprio in questo capitolo dell’agenda che viene nominata la “sicurezza marittima”, con evidente riferimento alla missione Aspides nel Mar Rosso. Non c’è obiettivo che non legittimi l’interventismo e l’avventurismo militare, da Bruxelles lo dicono abbastanza chiaramente.

La transizione ecologica rimane ancora un elemento centrale nel rilancio del ruolo economico della UE. Sul terreno della neutralità climatica la UE vuole assumere una leadership produttiva globale.

È interessante notare come tale neutralità venga subito collegata a una minore dipendenza energetica, a dimostrazione di come il green venga inteso come uno strumento di competizione e insieme uno funzionale a una maggiore autonomia strategica.

Dunque, tecnologie verdi e digitalizzazione come fulcro dello sviluppo UE. Senza dimenticare l’importanza delle applicazioni dual use (civili-militari) delle innovazioni tecnologiche, come ricordato nella penultima pagina del testo.

Il documento si chiude con il riferimento ai diritti di tutti i cittadini europei di godere almeno di una parte dei benefici che dovrebbero scaturire da questa politica imperialista.

Ed è proprio questo che va combattuto: il sostegno che la classe dirigente continentale vorrebbe per questo progetto che, nei suoi cardini, rimane profondamente colonialista, suprematista, guerrafondaio e in cui i bisogni dei settori popolari vengono sempre dopo i profitti delle grandi aziende.

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