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Israele nel tunnel del suprematismo “muscolare”

Passano i giorni, Usa e vertici di Tel Aviv collaborano in modo esplicito – rivendicato – nel definire il tipo di “controrisposta” che Israele può dare alla “risposta” iraniana del primo ottobre (200 missili che hanno colpito solo basi militari su tutto il territorio).

E più giorni passano, più diventano chiare alcune cose. I danni portati dai missili iraniani sono stati complessivamente limitati, ma non indifferenti. Lo “scudo antimissile” di Tel Aviv – dato per “imperforabile” anche ad attacco avvenuto, ma solo dai più pirla tra i conduttori tv – anche stavolta è stato superato abbastanza facilmente, come già in aprile. Ma in misura molto più evidente…

Detto in modo semplicistico: quello scudo è perfetto per fermare un missile o due, ma come ogni cosa umana ha un limite quantitativo. Oltre un certo numero di oggetti in arrivo (che siano economici droni autoprodotti o costosi missili balistici) va in “saturazione”.

E nessuno stato, tanto meno Israele – con territorio, economia e popolazione di piccole dimensioni – può schierare un numero illimitato di batterie antimissile i cui singoli “proiettili”, dovendo fare un lavoro di alta precisione ad alta velocità, costano molto di più del drone o missile in arrivo.

Ogni attacco mette chi lo riceve nella posizione classica del “e ora che faccio?”. Abbiamo ancora nelle orecchie le dichiarazioni più irresponsabili di dirigenti occidentali che, dopo le innumerevole provocazioni omicide di Israele contro l’”asse della Resistenza” (omicidio di Haniyeh a Tehran, strage dei cercapersone e poi dei walkie talkie a Beirut, omicidio di Nasrallah e numerosi altri dirigenti di Hezbollah, bombardamento e invasione del Libano, ecc), invitano a non preoccuparsi della reazione iraniana: non ci sarebbe stata, perché troppo timorosi della forza occidentale (nessuno dice ormai più solo “israeliana”, essendo diventato fin troppo chiaro che Tel Aviv si muove di concerto con Washington).

Ora le parti si sono rovesciate. Tocca a Netanyahu “muovere” contro Tehran. Il problema non è nel “se attaccare” (lo farà di sicuro), ma “come” e “cosa”. Con un occhio al “poi”, perché – ricordiamo ancora – lo “scudo stellare” (Iron Dome e altri sistemi) regge relativamente poco.

Insomma: si fa presto a dire “e ora escalation!” Un attimo dopo sei costretto a fermarti e chiederti cosa fare. Il rischio è quello che la controparte sia in grado di reggere e restituirti un danno ancora più grande (materiale e di “reputazione”, specie per chi ha provato a costruirsi la fama dell’”invulnerabile”).

Addirittura sui media internazionali rimbalzano  da giorni le ipotesi. In testa quella dell’attacco aereo contro i siti nucleari iraniani. Sarebbe stata questa – spiegano i terminali giornalistici dei servizi segreti occidentali – la prima idea di Netanyahu e del branco di integralisti religiosi che bivaccano nel suo governo.

E sarebbe dovuto intervenire Biden (o la sua badante…) per dissuaderlo dall’aprire il vaso di Pandora, suggerendo – come alternativa meno devastante – attacchi al sistema petrolifero di Tehran (paese produttore, e dunque ricco di impianti di estrazione, raffinerie, ecc).

E’ bastato che la parola “petrolio” uscisse dalle sue tremebonde labbra perché il prezzo salisse in un attimo del 10%. Sulla parola. Un attacco reale avrebbe conseguenze economiche anche più grandi, e – purtroppo per Israele e gli Usa – diffuse su tutto il (proprio) mondo, non solo per gli ayatollah.

Poi silenzio. Nelle segrete stanze continuano a interrogarsi, scrutando cartine, grafici di Wall Street, biografie e indirizzi di possibili bersagli per altri omicidi mirati (ormai l’omicidio è stato sdoganato come “normale prassi politica democratica”, giusto?).

E’ vero. Il peggior governo della già inguardabile storia moderna di Israele vede “l’occasione per ridisegnare il Medio Oriente”. E’ abituato ad usare come unico strumento la forza militare (l’intelligence ne è parte integrante) e proprio per questo è molto facile sbagliare misura. Un grado di escalation può risultare una risposta efficace, due o tre gradi possono scatenare reazioni incontrollabili. Perché qualsiasi Stato reagisce senza più limiti quando si convince di essere di fronte ad una “minaccia esistenziale”.

Insomma: il rischio è che il “ridisegno” vada fatto su una distesa di macerie di cui si è parte indistinguibile. Anche senza arrivare alla “fine di mondo”, comunque, appare chiaro che il sogno di Netanyahu rischia di somigliare a quello di George “Dabliu” Bush nel 2001, quando l’invasione dell’Iraq veniva presentata come audace piano di “costruzione della nazione” e di “riforma democratica per il Medio Oriente“.

Il popolo iracheno può scrollarsi di dosso la prigionia. Un giorno potrà unirsi a un Afghanistan democratico e a una Palestina democratica, ispirando riforme in tutto il mondo musulmano“, prometteva. Non serve essere abbonati a Limes per sapere com’è andata…

Ma non c’è solo il rebus Iran. Anche l’attacco ad Hezbollah, che prosegue ora con l’invasione terrestre del Libano, mostra la stessa assenza di strategia realistica. Dal punto di vista operativo-militare, infatti, l’intreccio intelligence-esercito ha già raggiunto i massimi obiettivi possibili: ucciso il leader Nasrallah, forse anche il suo erede, uccisi quasi tutti i più importanti comandanti della milizia… Si può andare avanti con altra macelleria, ma non è cambi granché per una soluzione…

Ma non appena si passa il confine anche l’Idf deve aprire la contabilità dei propri morti. E non sono pochi.

Ma soprattutto resta incomprensibile – anche in Israele, pare – l’obiettivo dell’invasione. Ufficialmente “Bibi” dice “far rientrare nelle loro case gli israeliani abitanti nel nord”, evacuati da mesi sotto lo scambio di razzi e attacchi aerei con Hezbollah.

Ma contemporaneamente si sa – e si dice! – che non c’è alcuna dimensione fisica del presunto “cuscinetto” da creare in territorio libanese che possa impedire al “nemico” di colpire con missili l’alta Galilea. Neanche se conquisti tutti il Libano (con buona pace del “sistema di regole” internazionale…).

Dunque, a che serve bombardare, combattere e subire perdite? A “spaventare” il nemico al punto da costringerlo all’obbedienza o alla fuga? Ma se non ci sei riuscito per quasi 80 anni, nonostante tutti sapessero che hai la bomba atomica e sei così “cane pazzo” da poterla anche usare, perché dovresti riuscirci adesso? Solo perché ti senti più crudele dei crudelissimi predecessori? Solo perché ora dici apertamente di sentirti “favorito da dio” (Gott mit Uns, già sentita e sconfitta…) e tutti gli altri sono solo untermenschen?

Sentirsi militarmente forti, e fare affidamento sulle sole armi, oltre che su una ferocia genocida, può condurre in un budello più inestricabile dei tunnel di Gaza. O libanesi.

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