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Gli indignati sardi occupano Cagliari

La Sardegna ieri è scesa in piazza per chiedere una svolta nelle politiche economiche regionali e nazionali. In sessantamila hanno partecipato a Cagliari alla manifestazione in occasione dello sciopero generale proclamato in regione da Cgil, Cisl e Uil e a cui hanno aderito anche Confindustria ed altre sigle sindacali in rappresentanza di tutto il mondo del lavoro e delle imprese: un segnale inequivoco al governo di centrodestra della regione.
In piazza Yenne si sono tenuti i comizi dei tre segretari generali e lungo tutto il largo Carlo Felice la gente si è stretta per trovare un posto libero. Imponente il corteo che è partito da piazza san Giovanni. Tanta gente ad una manifestazione sindacale non si vedeva dagli anni Settanta. Un record di presenze, in un momento in cui la crisi si fa sempre più pressante e colpisce tutti i settori dell’economia sarda. L’isola per un giorno si è fermata al grido «Ora basta!».
Dal palco i sindacati hanno chiesto al governo, ma soprattutto alla Regione – anche alla luce dell’approvazione da parte della giunta di centrodestra presieduta da Ugo Cappellacci di una manovra finanziaria non condivisa dalle parti sociali – un cambio di marcia per trovare strumenti straordinari per contrastare la crisi e mettere in campo politiche di sviluppo, punto di partenza per il rilancio dell’occupazione. «Questa finanziaria regionale fa schifo», ha detto il leader regionale della Cgil, Enzo Costa, in riferimento alla manovra da 6,8 miliardi di euro approvata l’altro ieri sera dalla giunta regionale. «Non siamo più capaci politicamente di rivendicare quello che ci spetta. Se si tagliano lavoro e cultura, come può crescere quest’isola? Questa giunta ha cancellato la parola lavoro dal vocabolario della politica». «E anche il nuovo governo nazionale dovrà sentire la Sardegna – ha aggiunto Costa – e ricordare che esistono aree forti e deboli in questo Paese. Siamo stufi di un presidente della Regione occupato più che altro a consolidare il suo consenso. Per due anni e mezzo abbiamo chiesto a Ugo Cappellacci di mettersi alla guida della mobilitazione sulle entrate fiscali, in base ad un preciso accordo con il governo stipulato dalla giunta Soru che l’attuale maggioranza non è stata in grado di far valere». Per dare il senso della giornata di ieri, val la pena insistere sul fatto che l’adesione alla protesta per chiedere lavoro e sviluppo è arrivata non solo da Cgil, Cisl e Uil, ma anche dalle associazioni imprenditoriali, dai comuni e dalle province. Massiccia la partecipazione di studenti e di insegnanti.
Nei loro interventi i segretari dei sindacati confederali hanno fatto proprie le parole dello striscione che apriva il corteo: «Adesso basta». «Lo sciopero di oggi è un segnale forte. Bisogna garantire alla Sardegna un cambiamento nelle politiche di sviluppo e di lavoro: o si muta registro o chi governa ne tragga le debite conseguenze e lasci spazio», ha detto Mario Medde per la Cisl. Enzo Costa ha puntato il dito contro una giunta «molto lontana dai problemi dei sardi, che vive rinchiusa nel palazzo e porta avanti, con una condotta che è solo di immagine, politiche che non risolvono i problemi». Per la Uil Francesca Ticca ha invocato soluzioni «fuori dagli schemi attuali, scelte concrete che tutelino il lavoro, non chiacchiere e ammortizzatori sociali».
Dal palco anche la voce dei giornalisti, con il segretario nazionale della Federazione della stampa, Franco Siddi: «I sardi non sono né arresi né rassegnati. Servono politiche che sappiano fare gli interessi della regione, per battere gli speculatori e dare una mano alle persone oneste». Nel lungo corteo hanno sfilato diversi presidenti di provincia e una delegazione di oltre duecento comuni, rappresentati da sindaci, assessori e consiglieri e dai vertici dell’Anci. «Il nostro – ha spiegato il presidente dell’associazione dei comuni, Cristiano Erriu – vuole essere un ruolo di proposta. I sindaci, che raccolgono ogni mattina la disperazione e la rabbia di disoccupati, agricoltori, pastori, operai, vogliono contribuire a trovare soluzioni che risolvano alcuni dei grandi problemi: il primo fra tutti l’occupazione».
Tra gli operai delle aziende in crisi, un lungo elenco che va dall’Eurallumina di Portovesme alla Vinyls di Porto Torres, anche i partiti dell’opposizione. Uno striscione diceva: «I ristoranti sono pieni? Le mense della Caritas di più».

da “il manifesto”

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