Sciopero e presidio ieri a Roma davanti al X municipio (in piazza Cinecittà) dei lavoratori e lavoratrici Almaviva Contact Spa (ex Atesia), indetto da tutte le sigle sindacali dopo l’annuncio dell’azienda di voler chiudere la sede di via Lamaro 25 e aprire un procedimento di cassa integrazione straordinaria per «cessazione di attività» per tutti i 632 dipendenti, senza possibilità per i lavoratori in cig di rotazione con altri call center.
Una piazza gremita, nonostante la pioggia incessante caduta tutta la mattinata. Striscioni, bandiere sindacali (soprattutto Cobas), un fumogeno acceso che ha per un momento colorato il grigio del cielo e poi il formarsi del corteo, partito spontaneo dalla piazza e tornato a presidiare il municipio dopo aver percorso le vie del quartiere. Mentre una delegazione di rsu in rappresentanza di tutte le sigle sindacali presenti in azienda incontrava il vice presidente ed esponenti politici del municipio. Il 28 agosto, ricordiamo, ai 632 lavoratori romani di Almaviva è arrivata la comunicazione ufficiale: «Sospesi a zero per un periodo pari a 12 mesi». Il provvedimento riguarda 387 addetti alle commesse Tim Consumer, 135 addetti Mediaset, 54 Tpi, 33 Eni Check, 3 La Sapienza e altro personale non attribuito a commessa (8 addetti) cui vanno ad aggiungersi 12 addetti alle funzioni di staff trasversali. La chiusura e il ricorso alla cigs interromperebbe i contratti di solidarietà «difensivi» attivati nel marzo scorso per 2.174 lavoratori (Via Lamaro e Casal Boccone) mentre a dicembre, ricordiamo, scade il contratto di locazione proprio per la sede di via Lamaro.
A spiegare la «crisi dell’unità produttiva» per l’azienda parlano i numeri: «Nel 2011 i ricavi del settore da servizi di rete fissa e quelli da rete mobile sono scesi, rispetto al 2010, del 3,2% e 4,7%». Ai quali seguono le ragioni (della crisi) che deriverebbero, «dalla situazione economica generale (…) dalle significative difficoltà del mercato dell’Information and communication technology (…) che si innestano su una realtà produttiva storicamente meno competitiva, per via di un alto costo del lavoro rispetto al contesto competitivo generale, ma soprattutto di una bassa flessibilità operativa derivante anche da vincoli normativi di fonte collettiva, con conseguenti costi da inefficienza maggiori rispetto ad altri siti produttivi (…)», come riferisce l’azienda nel comunicato che annuncia la cassa integrazione ai lavoratori.
Sindacati e lavoratori accusano Almaviva di voler «continuare a scaricare solo sui lavoratori inefficienze proprie della gestione aziendale», e rispediscono al mittente sia l’annunciata chiusura che la richiesta di cigs. Perché le commesse di Roma – denunciano – non sono «sparite» e perse dall’azienda ma vengono spostate, per meglio dire delocalizzate, su altre sedi come Catania, Rende (Cs), Palermo, Milano. Dove invece si assume (250 persone a Rende, con sgravi per l’azienda e incentivi regionali), con un costo del lavoro minore e condizioni contrattuali peggiori. I lavoratori ieri, dal presidio, facevano sapere a gran voce che: «Roma non si ar-Rende».
Una piazza gremita, nonostante la pioggia incessante caduta tutta la mattinata. Striscioni, bandiere sindacali (soprattutto Cobas), un fumogeno acceso che ha per un momento colorato il grigio del cielo e poi il formarsi del corteo, partito spontaneo dalla piazza e tornato a presidiare il municipio dopo aver percorso le vie del quartiere. Mentre una delegazione di rsu in rappresentanza di tutte le sigle sindacali presenti in azienda incontrava il vice presidente ed esponenti politici del municipio. Il 28 agosto, ricordiamo, ai 632 lavoratori romani di Almaviva è arrivata la comunicazione ufficiale: «Sospesi a zero per un periodo pari a 12 mesi». Il provvedimento riguarda 387 addetti alle commesse Tim Consumer, 135 addetti Mediaset, 54 Tpi, 33 Eni Check, 3 La Sapienza e altro personale non attribuito a commessa (8 addetti) cui vanno ad aggiungersi 12 addetti alle funzioni di staff trasversali. La chiusura e il ricorso alla cigs interromperebbe i contratti di solidarietà «difensivi» attivati nel marzo scorso per 2.174 lavoratori (Via Lamaro e Casal Boccone) mentre a dicembre, ricordiamo, scade il contratto di locazione proprio per la sede di via Lamaro.
A spiegare la «crisi dell’unità produttiva» per l’azienda parlano i numeri: «Nel 2011 i ricavi del settore da servizi di rete fissa e quelli da rete mobile sono scesi, rispetto al 2010, del 3,2% e 4,7%». Ai quali seguono le ragioni (della crisi) che deriverebbero, «dalla situazione economica generale (…) dalle significative difficoltà del mercato dell’Information and communication technology (…) che si innestano su una realtà produttiva storicamente meno competitiva, per via di un alto costo del lavoro rispetto al contesto competitivo generale, ma soprattutto di una bassa flessibilità operativa derivante anche da vincoli normativi di fonte collettiva, con conseguenti costi da inefficienza maggiori rispetto ad altri siti produttivi (…)», come riferisce l’azienda nel comunicato che annuncia la cassa integrazione ai lavoratori.
Sindacati e lavoratori accusano Almaviva di voler «continuare a scaricare solo sui lavoratori inefficienze proprie della gestione aziendale», e rispediscono al mittente sia l’annunciata chiusura che la richiesta di cigs. Perché le commesse di Roma – denunciano – non sono «sparite» e perse dall’azienda ma vengono spostate, per meglio dire delocalizzate, su altre sedi come Catania, Rende (Cs), Palermo, Milano. Dove invece si assume (250 persone a Rende, con sgravi per l’azienda e incentivi regionali), con un costo del lavoro minore e condizioni contrattuali peggiori. I lavoratori ieri, dal presidio, facevano sapere a gran voce che: «Roma non si ar-Rende».
da “il manifesto”
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Mike
Mah! Almeno per una volta i romani se vogliono lavorare devono andare al SUD, cosi la smettono di dire che noi del sud rubiamo le case e il posto di lavoro…LA RUOTA GIRA 😀