L’ultima notizia è che la direzione della Marcegaglia, impianto siderurgico della famiglia della ex presidente di Confindustria, ha chiuso anticipatamente lo stabilimento di Milano mettendo in libertà i lavoratori. Una decisione arrivata dopo il braccio di ferro che vede sette operai arrampicati sul tetto della fabbrica contro il tentativo di costringerli ad autolicenziarsi a fronte della decisione di trasferire la produzione a 100 chiiometri di distanza, in Piemonte.
Lo scorso giugno un accordo separato firmato fim-uilm ha sancito la chiusura dello stabilimento di Milano per trasferirlo a Pozzolo Formigaroin Piemonte a 108 km dallo stabilimento che insiste nell’area della ex Breda siderurgica.
Va ricordato che il gruppo Marcegaglia acquistò a prezzo agevolato i capannoni milanesi grazie alle allora “Prodiane” politiche di incentivazione al rilancio industriale delle aree industriali inutilizzate. Il prezzo fu di circa 50 mila lire al Metro quadro. Nel nuovo contesto urbano il valore del terreno raggiunge diverse migliaia di euro, e parliamo di un area di quasi 80000 metri quadrati. Liberare quest’area fa intravedere un enorme speculazione da parte dell’azienda.
Gli operai sono stati messi davanti a 3 scelte:
-Trasferirsi nello stabilimento piemontese avvalendosi di un servizio
navetta e 150 euro lorde di incentivo individuale, oppure 250 euro lorde
individuali con i mezzi propri. Entro il 18 luglio 2014 hanno operato
questa scelta circa 60 lavoratori, a cui gia 4 hanno rinunciato.
-Accettare il licenziamento dietro il versamento di un incentivo di 30000
euro lorde (circa un anno di retribuzione media lorda) più il
riconoscimento del mancato preavviso.
-Accedere al secondo anno di cassa integrazione straordinaria con l’impegno
dell’azienda fin dal primo giorno di cassa (1 settembre 2014) a ricercare
negli stabilimenti di Lanate – Corsico – Boltiere – Lomagna, un
ricollocamento, con l’impegno di proporre (non imporre) comunque il
trasferimento a Pozzolo a chi non si fosse riuscito a ricollocare.
I 7 lavoratori che sono in lotta contro l’azienda, tutti e 7 aderenti al comitato di lotta che lo scorso hanno ha tentato con le unghie e i denti di difendere invano lo stabilimento dalla deportazione, contrari a questo accordo che ha già falcidiato 90 posti di lavoro circa a Milano, nè hanno accettato i soldi ne di essere deportati.
Sette è un numero piccolissimo per un gigante come Marcegaglia. È davvero la cosa più semplice e meno costosa da fare per l’azienda ricollocarli. Ma invece ha deciso di punirli. La determinazione di risollevarsi dalla sconfitta dello scorso hanno, nel mantenere l’obiettivo di avere un lavoro dignitoso che non gli sconvolgesse la vita, nel non lasciarsi intimidire dalla baldanza padronale, è un onta per il padrone Marcegaglia, che ha scelto un uomo della scuola FIAT per gestire con la mano pesante e la faccia di gomma la vertenza di Milano e non solo.
La settimana scorsa la proprietà ha convocato rsu e organizzazioni sindacali per comunicazioni sullo stato di avanzamento accordo. In quell’occasione ha dichiarato che per ragioni ministeriali non è possibile ottenere il secondo anno di cassa integrazione. Per 7 persone poi non se ne parla neanche, mentre dalla verifica fatta non ci sono altre possibili collocazioni per i sette operai se non a Pozzolo e che, visto l’accordo, avrebbe inviato le lettere di trasferimento a tutti.
Il 30 giugno un altro incontro per espletare il formale “esame congiunto” per art. 8 CCNL con le rappresentanze. E anche in quella sede l’azienda ha ribadito la deportazione e con mezzi propri, che significa una spesa media procapite per recarsi a lavoro di circa 800 euro mensili. L’azienda stessa ha riconosciuto che l’esito più probabile di tale trasferimento e l’assenza ingiustificata e il conseguente licenziamento disciplinare. È chiaro come l’acqua che l’obiettivo e mobbizzare violentemente per dei 7 operai rompiscatole.
A questo punto i lavoratori hanno rotto gli indugi e in una notte hanno pianificato e realizzato l’occupazione della
fabbrica a partire da carroponti e tetti, bloccando totalmente qualunque attività (1/3 della produzione aziendale)
La richiesta è semplice: Rispetto degli impegni, e ricollocazione nelle aziende previste nel accordo. A Lomagna, a Corsico, a Lainate, a Boltiere sono sotto organico, si fanno un botto di straordinari. Fondamentalmente i
lavoratori di Milano dicono: redistribuire il lavoro che c’è redistribuire il lavoro che c’è per lavorare meno lavorare tutti.
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