Sul lavoro si muore troppo, in Italia. Un’altra statistica da “gufi”, di quelle che rovinano l’immagine di un paese dinamico, moderno, “straordinario”. Ma come si fa a diminuire le morti se tutto viene semplificato delegando il problema alle aziende? Le quali, com’è arcinoto, non ci pensano proprio a investire in sicurezza, neanche quando hanno una pistola sanzionatoria alla tempia, e che se possono sversare veleni ovunque lo fanno senza problemi?
Un governo moderno e dinamico si vede da queste cose: basta sradicare alla fonte il dispositivo di rilevamento degli incidenti sul lavoro. Come per la disoccupazione, insomma, se non puoi ridurre le dimensioni fisiche del problema prova almeno a ridurne il dato statistico. Se poi la gente muore lo stesso, o in quantità superiore, chissenefrega. Basta che non ci siano quei numeracci lì a certificare che siamo un paese di imprese assassine.
E il governo Renzi, per mano dell’ex boss delle cooperative, Giuliano Poletti – ministro del lavoro, inopinatamente – ha trovato la soluzione imponendola per decreto, nelle pieghe del mai troppo maledetto Jobs Act. Dallo scorso 23 dicembre è infatti abolito l’obbligo a carico dei datori di lavoro della tenuta del registro infortuni, compreso l’inoltro della certificazione relativa agli organi di controllo. Niente registro, niente infortuni, niente morti. E che ci voleva, un genio della sicurezza del lavoro?
Come si giustifica una decisione di favoreggiamento dell’omicidio? La misura è contenuta nel Decreto Legislativo del 14 settembre 2015, che si occupa infatti di “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro”. È uno dei tanti decreti “attuativi” del Jobs Act. La logica è quella della “semplificazione degli adempimenti” a carico delle aziende, che devono produrre e mica devono perder tempo – per di più retribuendo degli impiegati – a star lì a registrare che Tizio si è tagliato un dito o che Caio è caduto da un’impalcatura. Si chiama l’ambulanza, se il datore di lavoro è appena appena un po’ umano, e tutto finisce lì.
Per non autorizzare tout court le imprese a gettare i cadaveri dei lavoratori sul ciglio delle strade, l’Inail precisa che il datore di lavoro è comunque tenuto a denunciare gli infortuni sul lavoro occorsi ai propri dipendenti, come accadeva prima. Solo che non viene più registrato nero su bianco, esce insomma dalla contabilità aziendale (da cui si prendono le informazioni per elaborare le statistiche sulla mortalità sul lavoro).
Anche l’Inail è rimasta parecchio sorpresa dalla scelta governativa e prova a salvaguardare, nei limiti del possibile, anche l’elaborazione dei dati (e la sua stessa mission). Quindi ha realizzato in proprio un “cruscotto” su cui gli organi di vigilanza – ancora non aboliti – potranno consultare numero e caratteristiche degli infortuni avvenuti a partire dal 23 dicembre 2015.
Tutto online, naturalmente. Cos’è quella pratica medievale di mandare ispettori fisici in fabbrica e nei cantieri per verificare come la gente lavora e lavorando muore?
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