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Giappone: la trappola del just in time

I benefici sono evidenti, ci raccontano fin dalla fine degli anni ’70 – data della svolta verso il toyotismo e la fabbrica ohnista. Si risparmia sulle strutture e il personale necessari a governare una certe massa di merci invendute e che non si sa se saranno vendute o lasciate marcire; si risparmia quindi in materie prime, prodotti semilavorati, energia, trasporti. Una favola!

Senza “magazzino” tutta la flessibilità indispensabile per affrontare i momenti di picco o di caduta della domanda viene scaricata sulla forza lavoro, che viene chiamata a intensificare i ritmi (più straordinari, turni di notte, festivi, ecc) o a prendere la strada di casa (cassa integrazione, licenziamenti, contratti a termine, ecc). Un modesto prezzo – peraltro “necessario” – da pagare alla competitività dell’impresa, del paese, o di chi vi pare; ci viene detto.

Ora, però, questo meccanismo sempre bisognoso di essere oliato e rettificato in corsa, mostra limiti neppure immaginati. La General Motors ha sospeso la produzione in due impianti europei e valuta tagli a quella in Corea del Sud. Sisma, tsunami e Fukushima hanno interrotto il flusso – just in time – di componenti elettronici fondamentali per l’automobile (centraline, sonde, ecc) fabbricate in Giappone. E quindi Gm chiude l’impianto di Saragozza in Spagna e cancella i turni di lunedì e martedì prossimo nello stabilimento di Eisenach, in Germania, dove si assemblano Opel. In Corea del Sud, la multinazionale Usa si attende un calo della produzione del 10%.

Ma se un’automobile viene costruita e consegnata con qualche settimana di ritardo, in fondo, non sembra ci sia da preoccuparsi troppo. Certo, però, il Pil ne risente, il fatturato delle imprese pure, l’economia rallenta prprio quando si sperava – con qualche ottimismo – che si potesse cominciare a riprendere la via della “ripresa”. Preoccupazioni più serie arrivano invece su un fronte primario: quello del cibo.

Il Giappone importa il 60% del proprio fabbisogno alimentare e fin qui non c’era mai stato un problema serio di approvvigionamento. Ma anche qui l’incubo nucleare ha causato una corsa all’accaparramento – molto flemmatica e rispettando sempre la fila – soprattutto di acqua, riso e cibi a lunga conservazione. Con una certa logica, bisogna dire: quello che c’è oggi sugli scaffali di Tokyo è certamente privo di pericoli radioattivi, perché è stato prodotto ben prima dell’incidente. Domani, invece, chissà.

Improvvisamente gli scaffali di una megalopoli di 35 milioni di abitanti – Tokyo – si sono svuotati e così sono rimasti. Lo sforzo di ripristinare velocemente le scorte si è scontrato con gli ostacoli alla distribuzione provocati dai danni alle attività portuali (terremoto e tsunami hanno lasciato segni ancora non quantificabili sulle infrastrutture) e dalle operazioni di messa in sicurezza intorno a tutte le centrali nucleari (ben 55, nel paese). Non c’era “magazzino”. Ma non si può aspettare qualche settimana prima di mangiare.

Improvvisamente “il sistema” ha messo in mostra i suoi limiti. Gravi, irrisolvibili, pericolosi. Una macchina logistica iperinformatizzata, pensata per escludere intoppi e “ridondanze” in condizioni “normali” ha fatto crack di fronte all’emergenza. Semplicemente perché una domanda eccezionale – generata da un concretissimo timore – non era neppure ipotizzata. I consumi di un paese maturo, ricco, dall’età media elevata, sono regolari, prevedibili, con ben poche oscillazioni (le grandi feste, i giorni di “sacrificio”). Quindi l’emergenza non poteva esserci. Ma c’è.

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1 Commento


  • francesco

    complimenti
    ottimo articolo!
    appoggio in pieno quanto scritto nell’articolo
    la filosofia del just in time è stata una delle più grandi innovazioni, a partire dalla Ford ( anni venti) sino a giungere alla massimizzazione produttiva con la toyota motor company ( anni 50) e la filosofia del toyota production system e ovviamente la Total quality management ma ora, in tempi di crisi, in tempi di calamita naturale, si acquisisce in pieno la fondamentale importanza di produrre per i consumatori finali e non per i soli profitti imprenditoriali ( causando licenziamenti continui e situazioni di piena instabilità al livello di nucleo famigliare, creando vantaggi aziendali che però fanno comodo a ogni nazione….).

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