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Cala il PIL e la produzione industriale, in crisi è l’intero modello

Il governo che tanto si è fregiato degli ‘ottimi risultati’ che sta ottenendo nel contrasto alla crisi strutturale che sentiamo ogni giorno sulla nostra pelle è stato subito smentito dall’ISTAT. Già Confindustria aveva messo in guardia sui numeri da aspettarsi per il secondo trimestre dell’anno.

L’analisi preliminare dell’ISTAT per aprile-giugno 2023 conferma, infatti, un calo del PIL dello 0,3%. La variazione negativa è data dalla “diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca sia in quello dell’industria, mentre il valore aggiunto dei servizi ha registrato un lieve aumento”.

Sul piano annuale la crescita del PIL si attesta ancora sullo 0,8%, ma si parla appunto di un valore ridicolo rispetto alla ferocia con cui il paese è colpito dall’inflazione. A luglio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,1% su base mensile e del 6,0% su base annua.

Il dato è tornato all’aprile 2022, in lenta riduzione, ma rimane pur sempre molto alto. In particolare, i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona a livello annuale rimangono praticamente fermi rispetto allo scorso mese: da +10,5% a +10,4%.

I calcoli dell’Unione Nazionale Consumatori parlano di un aumento della spesa media annuale per famiglia di 1.307 euro, 615 per alimenti e bevande analcoliche. Il presidente, Massimiliano Dona, ha pure evocato lo spettro della recessione tecnica.

Le opinioni del governo sono molto più ottimistiche. Giorgetti, a capo del dicastero dell’Economia, ha ribadito in una nota che l’obiettivo di crescita del PIL dell’1% è ancora a portata, e che si continuerà a lavorare sul PNRR e sulla lotta all’inflazione.

Adolfo Urso, ministro del made in Italy, si è voluto consolare dicendo che “l’Italia va di gran lungo meglio degli altri grandi Paesi europei e della media dell’Eurozona”. Dove, ad ogni modo, Germania, Francia e Spagna vanno meglio dell’Italia.

Sui risultati – sottolinea il MEF – hanno influito, in particolare, la flessione del ciclo internazionale dell’industria, il rialzo dei tassi di interesse e l’impatto della fase prolungata di rialzo dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie”. Insomma, le politiche della BCE hanno peggiorato la situazione.

Per Franziska Palmas, economista di Capital Economics, il paese appare più vulnerabile rispetto agli altri dell’area euro al rialzo dei tassi, data la quota di mutui a tasso variabile e la fine degli incentivi fiscali nell’edilizia. Nell’azienda pensano che l’Italia “nella seconda metà del 2023 subirà un calo della produzione più marcato rispetto agli altri grandi dell’eurozona”.

Intanto, è l’intero modello europeo fondato sul perno tedesco che mostra i suoi limiti e rimane incastrato nelle sue stesse regole. A cascata, produzione industriale e manifattura italiane sono in calo (-3,7% a maggio rispetto allo stesso mese del 2022) e a reggere è solo il settore dei servizi col turismo: la dimostrazione della desertificazione industriale del paese.

Serve al più presto un cambio di modello, da fondarsi sui bisogni dell’intera collettività e sulla pianificazione pubblica centralizzata dello sviluppo, una spina dorsale su cui rilanciare l’intero tessuto socio-economico del paese.

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