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Sequestro Spinelli, l’ironia della storia

L’episodio è clamoroso, perché la dice lunga sul tipo di mondo che si muove intorno a certi gruppi imprenditorial-politici.
Stanotte sono stati arrestati sei uomini considerati componenti di una banda (tre italiani e tre albanesi) che per l’intera notte tra il 15 e il 16 ottobre ha sequestrato nella loro abitazione di Bresso (MI), Giuseppe Spinelli, il contabile di fiducia di Silvio Berlusconi e sua moglie Anna.

Il capo è stato inviduato nel pregiudicato barese Francesco Leone. Un sequestro, si pensa istintivamente, per avere denaro in cambio; e subito, prima che partano gli allarmi e arrivi la polizia.
Niente di tutto questo. I sei erano convinti di avere in mano “una proposta che non si può rifiutare”, materiale “utile” a Berlusconi per far riaprire e vincere il processo sul “lodo Mondadori”. Una gesto d’affetto da retribuire con circa 30 milioni. Più che un ricatto, una quasi normale transazione commerciale. Se chiedevano appuntamento in ufficio, magari dopo un po’ di anticamera, avrebbero potuto avere udienza e risultati migliori.
La mattina del 16 ottobre, invece, Spinelli fu costretto a telefonare ad Arcore, dopo aver già chiamato l’avvocato Nicolò Ghedini; che ha usato la tecnica in cui eccelle anche nelle aule di tribunale: prendere tempo.
I sequestratori avevano poi lasciato casa Spinelli dicendo che avrebbero ricontattato loro il dipendente di Berlusconi per concludere la transazione.
Inevitabile a quel punto la scelta tra il silenzio (col rischio di esporre il povero Spinelli ad altre pericolose incursioni notturne) e la denuncia presso l’odiata Procura milanese.
Le indagini della polizia giudiziaria milanese, successivamente affiancata dalle questure di diverse città italiane, sono iniziate il 17 ottobre, immediatamente dopo la denuncia giunta via fax alla Procura della Repubblica, da parte dello studio Ghedini-Longo.
Diciamo che l’immagine di un ex premier e imprenditore ricattabile dal primo che passa non è proprio gloriosa e patriottica. Probailmente i berlusconidi potrebbe dare la colpa alle intercettazioni telefoniche pubblicate sui giornali: di telefonate e scambi del genere, in quelle sbobinature, ce n’era una varietà infinita. Un  mondo di ricatti reciproci talmente fitto da lasciar pensare anche un povero aspirante businessman del barese che anche lui poteva entrare nel ben mondo…

Ultime. In realtà, alla fine, i sei si sarebbero “accontentati” di soli 8 milioni invece dei 30 e più richiesti. Ma senza carte in contraccanbio.
Intercettati fin dalle ore successive alla denuncia del sequestro, gli arrestati avevano lasciato trapelare dai loro dialoghi indizi su una movimentazione di otto milioni di euro. E sono proprio questi 8 milioni che vengono definiti la “cifra in gioco” nell’ordinanza di custodia cautelare, in cui si fa riferimento ad una conversazione intercettata di due degli arrestati: Francesco Leone, il presunto capo della banda e Alessio Maier.

Surreale la risposta di Ghedini, mentre presidiava l’aula per i “processo Ruby”, a domande precise. «In realtà non avevano in mano nulla». Chissà se…
Ghedini ha precisato che non c’era ricatto ma che «si erano sequestrati il ragioniere» per avere in cambio da Berlusconi del denaro. Niccolò Ghediniha spiegato anche che la mattina in cui il ragioniere Giuseppe Spinelli lo chiamò mentre stava per essere liberato e gli parlò anche di «filmati su Fini».
Chissà perché c’è così tanta mala che vuol bendere al Berluska qualcosa sui suoi nemici…

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