La squadra dei “tecnici” funziona alla perfezione. Dopo che il ministro per le infrastrutture Passera ha elargito 100 miliardi per tante opere inutili e contrastate che però favoriranno molte delle imprese frequentate ai tempi in cui dirigeva Banca Intesa, ora è la volta del vice ministro alle infrastrutture Mario Ciaccia, già vice di Passera nei tempi di Banca Intesa Infrastrutture che ha proposto un nuovo regaletto di 50 miliardi di euro alle stesse imprese, stavolta sotto forma di esenzione dell’Iva.
Su trecento miliardi di fabbisogno stimato di investimenti, questo il ragionamento svolto a Rimini nella confortevole cornice di Comunione e Liberazione, si avrebbe un risparmio (per le imprese) di 50 miliardi «senza incidere sulle entrate fiscali». Come può succedere che non incassare 50 miliardi di Iva non inciderà sulle entrate fiscali è un piccolo mistero per noi poveri mortali ma non per i professionisti della finanza creativa, quella per capirci, che ha portato il mondo sull’orlo del baratro.
Il ministro ha infatti precisato, anche per anticipare le inevitabili obiezioni da parte della Commissione europea, che non si rinuncia a nessuna entrata fiscale poiché esse non ci sarebbero senza l’esenzione fiscale. Il ragionamento è questo: se non si toglie l’Iva non ci sarebbero investimenti privati per le opere strategiche: dunque non ci sarebbe l’incasso dei 50 miliardi di Iva. Meglio toglierli e non se ne parli più.
Un ragionamento sul filo della logica, come è facile comprendere e che potrebbe essere esteso all’universo mondo. Prendiamo il caso del recente terremoto emiliano dove il governo non vuole rinunciare ad incassare i tributi che le imprese devono versare allo Stato. Applicando la stessa ferrea logica ciacciana si potrebbe affermare che siccome quelle imprese non sono in grado per evidenti motivi di onorare i pagamenti dovuti, essi non esistono e dunque cancellarli o rinviarli non costa nulla allo Stato. Il ragionamento è la stesso ma le piccole imprese evidentemente non stanno a cuore ai severi professori al governo come quelle grandi. Tantomeno sta a cuore il mondo del lavoro: per ogni richiesta si afferma infatti che non ci sono i soldi, servono per le imprese amiche.
La gravità della proposta non sta soltanto nel merito, ma anche nell’arbitrarietà della sua applicazione. Le regole economiche devono valere per tutti ed è intollerabile che ci sia chi (i professori banchieri) si erge al di sopra delle regole e decide in piena discrezionalità quali imprese beneficeranno a danno di altre di regali. Forse la mancanza di una vera opposizione parlamentare sta facendo perdere la misura al governo che si comporta nel solco del peggiore berlusconismo indifferente alle regole.
In un paese normale si confronterebbero all’interno del Parlamento due visioni dello sviluppo. Quella del governo e quella di chi pensa che le grandi opere in un paese ad alta intensità infrastrutturale come l’Italia non porteranno ad alcun beneficio. Altro sarebbe investire nelle risorse umane del paese, sul sistema della formazione, sull’apertura di una fase di profondo rinnovamento tecnologico delle nostre invivibili città. Una cultura diffusa e molto consistente che però non ha voce nel Parlamento dove esiste il pensiero unico della finanza e delle grandi opere. Inutile ricordare che gli istituti nazionali di ricerca sono stati falcidiati dai tagli di bilancio. Che il sistema dell’istruzione universitaria è ormai senza prospettive e che non c’è nessun provvedimento organico per le città. Anzi, sono state anche tolte le agevolazioni per coloro che volevano sperimentare forme di produzione energetica alternativa. Anche per loro il teorema Ciaccia non vale.
Su trecento miliardi di fabbisogno stimato di investimenti, questo il ragionamento svolto a Rimini nella confortevole cornice di Comunione e Liberazione, si avrebbe un risparmio (per le imprese) di 50 miliardi «senza incidere sulle entrate fiscali». Come può succedere che non incassare 50 miliardi di Iva non inciderà sulle entrate fiscali è un piccolo mistero per noi poveri mortali ma non per i professionisti della finanza creativa, quella per capirci, che ha portato il mondo sull’orlo del baratro.
Il ministro ha infatti precisato, anche per anticipare le inevitabili obiezioni da parte della Commissione europea, che non si rinuncia a nessuna entrata fiscale poiché esse non ci sarebbero senza l’esenzione fiscale. Il ragionamento è questo: se non si toglie l’Iva non ci sarebbero investimenti privati per le opere strategiche: dunque non ci sarebbe l’incasso dei 50 miliardi di Iva. Meglio toglierli e non se ne parli più.
Un ragionamento sul filo della logica, come è facile comprendere e che potrebbe essere esteso all’universo mondo. Prendiamo il caso del recente terremoto emiliano dove il governo non vuole rinunciare ad incassare i tributi che le imprese devono versare allo Stato. Applicando la stessa ferrea logica ciacciana si potrebbe affermare che siccome quelle imprese non sono in grado per evidenti motivi di onorare i pagamenti dovuti, essi non esistono e dunque cancellarli o rinviarli non costa nulla allo Stato. Il ragionamento è la stesso ma le piccole imprese evidentemente non stanno a cuore ai severi professori al governo come quelle grandi. Tantomeno sta a cuore il mondo del lavoro: per ogni richiesta si afferma infatti che non ci sono i soldi, servono per le imprese amiche.
La gravità della proposta non sta soltanto nel merito, ma anche nell’arbitrarietà della sua applicazione. Le regole economiche devono valere per tutti ed è intollerabile che ci sia chi (i professori banchieri) si erge al di sopra delle regole e decide in piena discrezionalità quali imprese beneficeranno a danno di altre di regali. Forse la mancanza di una vera opposizione parlamentare sta facendo perdere la misura al governo che si comporta nel solco del peggiore berlusconismo indifferente alle regole.
In un paese normale si confronterebbero all’interno del Parlamento due visioni dello sviluppo. Quella del governo e quella di chi pensa che le grandi opere in un paese ad alta intensità infrastrutturale come l’Italia non porteranno ad alcun beneficio. Altro sarebbe investire nelle risorse umane del paese, sul sistema della formazione, sull’apertura di una fase di profondo rinnovamento tecnologico delle nostre invivibili città. Una cultura diffusa e molto consistente che però non ha voce nel Parlamento dove esiste il pensiero unico della finanza e delle grandi opere. Inutile ricordare che gli istituti nazionali di ricerca sono stati falcidiati dai tagli di bilancio. Che il sistema dell’istruzione universitaria è ormai senza prospettive e che non c’è nessun provvedimento organico per le città. Anzi, sono state anche tolte le agevolazioni per coloro che volevano sperimentare forme di produzione energetica alternativa. Anche per loro il teorema Ciaccia non vale.
da “il manifesto”
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