Partiamo dalla cronaca.
Sugli scontri di Roma, mercoledì 14 novembre, c’è un’inchiesta che si va allargando ad altri episodi di eccessi delle forze dell’ordine, individuati grazie a video e immagini, ma anche denunce ora al vaglio della procura di Roma.
Tra le carte arrivate in procura in relazione alla degenerazione della manifestazione del 14 novembre scorso a Roma anche le relazioni sui lacrimogeni del Racis, per conto del ministero della Giustizia, e della Digos, quest’ultima comprendente anche le prime risultanze sui presunti abusi degli agenti di polizia.
E qui già volano le prime conferme sui tentativi di insabbiamento. Sia carabinieri che la Digos, concordano sul lancio del lacrimogeno dal basso e sulla successiva frammentazione in tre parti dopo aver raggiunto la facciata dell’edificio di via Arenula. Nessuna menzione del fatto che non si vede alcuna scia fumogena in salita prima del presunto “impatto” con le mura del ministero. Tantomeno sul quarto lacrimogeno che spunta da una finestra (o dal terrazzo del ministero) che si trova sul lato opposto dell’edificio, a una quarantina di metri dai primi. Un solo lacrimogeno così ballerino sfida tutte le leggi della fisica. Anche perché quel tipo di lacrimogeni si frammenta a contato con un ostacolo; e una delle scie, una volta arrivata a terra, provoca un’evidente “botto”. Segno che era ancora “carico” e non un “residuo” di altro. Insomma, un’autoassoluzione in piena regola, ad opera di quella che dovrebbe essere una polizia “scientifica” e che spesso spara “perizie” improbabili. Specie sui guai provocati dalla polizia stessa.
L’autoassoluzione frettolosa è evidente anche dalle parole del Guardasigilli, Paola Severino, secondo cui «dalla visione completa delle registrazioni delle telecamere» all’ingresso del dicastero «risulta che non ci sono stati accessi di estranei al ministero della Giustizia». Ipsa dixit e statevi zitti.
Le indagini che si vorrebbero implementare invece riguardano soltanto altri manifestanti, dopo quello degli otto scarcerati venerdì scorso, e gli “eccessi” degli agenti. Ai primi due giovani identificati mentre vengono colpiti, si aggiungono ora altri nominativi. E nella relazione della Digos si fa riferimento alla condotta dell’agente del commissariato Viminale che ha manganellato sul volto un giovane, già immobilizzato a terra. In particolare, si sottolinea che il gesto dell’agente è sicuramente da censurare, ma che sarebbe stato preceduto da scaramucce non solo verbali col manifestante. I due infatti, ovvero l’ispettore del Viminale ed il manifestante, identificato come Riccardo Masoch di Belluno (uno degli otto poi arrestati), avevano avuto in precedenza uno scontro durante gli attimi caldi della protesta sul Lungotevere dove il giovane avrebbe avuto un ruolo «attivo». Nello steso rapporto, inoltre, si evidenzia che il giovane, ritratto dai reporter col volto insanguinato, aveva ricevuto durante gli scontri una manganellata sul casco che gli avrebbe causato il sanguinamento.
Questo elenco di frasi, ripreso dalle agenzie senza nemmeno una virgola di dubbio, chiarisce meglio di ogni altra cosa che le “indagini” non andranno molto avanti. La manganellata sul casco era “regolamentare”, ovviamente tacenso sui dettagli pratici: come fa una manganellata sul caso a spaccare labbra e denti? Attendiamo nuove dimostrazioni di fisica “creativa”. In secondo luogo, il presunto “comportamento attivo” del giovane ferito viene già presentato come “meritevole di sanzione non regolamentare”; al povero agente picchiatore, insomma, potrà essere “imputato” al massimo un po’ di perdita di autocontrollo…
Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri rivela la sua formazione non propriamente democratica ipotizzando il Daspo anche per i manifestanti: «Occorrerà fare delle norme più rigorose per chi nei cortei più volte crea disordini un pò come ci sono per gli stadi, tipo il Daspo per i manifestanti. Ci sono diverse proposte in questo senso che vanno valutate».
Alla domanda se si può arrivare a varare misure anche in questa legislatura, il ministro ha risposto: «Non lo so, questa è una legislatura tecnica». Curioso: è come ammettere senza volerlo dire che questo tipo di misure sono una violazione tale dei diritti politici e civili che sarebbe meglio fossero prese da un governo “politico”.
L’identificazione degli agenti antisommossa, richiesta da vasto arco di soggetti politici e sociali (a partire dalla riuscita contestazione di Rimini allo stesso ministro Cancellieri) è invece per la titolare del Viminale «un problema molto molto complesso» che non può essere disgiunto dal fare «altrettanta chiarezza su chi partecipa ai cortei travisato o armato». Strana equazione: gli agenti debbono essere poter identificabili con certezza, almeno dai prpri superiori, mediante un numero, perché sono “in servizio” qualunque cosa facciano durante l’orario di lavoro. È una misura per scoraggiare “eccessi”, sempre possibili in chi esercita un potere e non sempre possiede gli strumenti per controllarsi adeguatamente.
Che c’entra questo con i manifestanti “travisati”? Il ministro vuol forse mettere un numero identificativo preventivo per chi vuole manifestare? Può proporre di tatuarlo sul braccio. Anche in questo caso “ci sono precedenti”, no?
Sulla questione è intervenuta anche Heidi Giuliani, la madre di Carlo. «Niente di nuovo. Si tratta di una proposta già avanzata diverse volte in passato, anche in Parlamento, ma alla quale evidentemente non si è mai voluto dare seguito». Che appare convinta che «non ci sia stata finora e non ci sia la volontà di adottare misure più stringenti contro le violenze di piazza». «Una proposta del genere – riferisce – è stata avanzata due volte come disegno di legge da Rifondazione Comunista, quando era in Parlamento, ed è stata rivolta all’allora presidente del Senato Beppe Pisanu, dal ‘Comitato Piazza Carlo Giuliani’ e dal ‘Comitato verità e giustizia per Genova’, dunque sono molti anni che chiediamo questa cosa ma mi sembra che finora si sia fatto di finta di niente. D’altra parte il ministro Cancellieri ha mezzi e collaboratori sufficienti per poter visionare tutti i filmati degli scontri di piazza».
E sulle violenze che sono tornate, con frequenza, a segnare le manifestazioni di protesta, Haidi Giuliani denuncia: «a me sembra che qualcuno preferisca passare per incapace, perchè sui violenti infiltrati – che nel 2001 a Genova furono lasciati liberi di agire – oggi le forze dell’ordine sono in grado di sapere tutto, salvo poi non riuscire ad arginare i pochi violenti prendendosela con la totalità dei manifestanti. Un modo per spaventare e delegittimare i Movimenti. Basterebbe la volontà – conclude – per prevenire le violenze con i mezzi adeguati, compreso le matricole sui caschi dei poliziotti».
Per gli otto manifestanti arrestati e scarcerati, il gip Wilma Passamonti, nel provvedimento di convalida dell’arresto per sei di loro – con l’obbligo di firma tre volte al giorno – osserva che potrebbero tornare in piazza il 24 novembre prossimo in occasione del corteo di Casapound previsto a Roma. In sostanza, dice il gip, scarcerandoli ma convalidando comunque l’arresto si sottolinea proprio il «rischio di reiterazione del reato». Come a dire potrebbe essere «una occasione idonea» per gli indagati «a riproporre le stesse condizioni nelle quali hanno preso luogo le condotte illecite a loro ascritte».
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Lorenzo
Se la soluzione di mamma Giuliani all’espressione violenta del conflitto è quella di “arginare i pochi violenti” (‘violenti’ esattamente come suo figlio), qualcun altro potrebbe anche pensare che la soluzione ad una certa retorica ipocrisia nonviolenta sia quella di arginare i grilli parlanti che credono di potersi esprimere per conto e nel nome di un intero movimento, come ormai fan tutti da Grillo a Saviano all’ultimo degli editorialisti. Chi li ha invitati? Chi li ha legittimati? Che ne sanno? Che ci frega?