Giorni di riunioni, indiscrezioni fatte filtrare ai media per sondare le reazioni, esitazioni. Per combattere l’aumento dei contagi sembrava si fosse vicino a soluzioni drastiche, o perlomeno di grandi dimensioni e significato.
E invece niente o quasi, fumo a manovella. Ma con un orientamento chiaro, classista, produttivista e soprattutto ipocrita in misura intollerabile. In definitiva: suicida.
Giuseppe Conte si è confermato un galleggiante, privo di un qualunque punto di vista, non tanto “personale” quanto all’altezza della sfida che abbiamo tutti e purtroppo davanti.
Se guardiamo le “misure” illustrate nell’ennesimo Dpcm, la prima parola che balza agli occhi è l’inutilità. DPCM 18 ottobre 2020
Virologi ed epidemiologi, fin dall’inizio, insistono nello spiegare che il virus si diffonde negli assembramenti di persone, soprattutto nei luoghi chiusi e poco arieggiati. Il Dpcm permette alcuni assembramenti e ne vieta, o “sconsiglia” altri. Dunque non serve a un tubo. Al massimo può limare di qualche unità la curva di crescita, non certo arrestarla.
Ma è l’analisi degli assembramenti permessi o vietati a segnare l’impronta ideologica e di classe di questo governo impotente al servizio dei potenti.
Non si menzionano affatto i luoghi di lavoro come potenziali focolai di infezione, nonostante le centinaia di casi segnalati in questi mesi (soprattutto nei nei macelli e negli stabilimenti di trattamento delle carni, oltre che nella logistica). Indirettamente, si ammette che potrebbero essere un problema e infatti si “consiglia” e incentiva lo smart working. Che però, come sappiamo tutti, è possibile solo per le mansioni impiegatizie. E neanche tutte…
Tutte le lavorazioni fisiche vanno infatti necessariamente eseguite, come si dice, “in presenza”.
L’ipocrisia classista emerge anche quando si affronta il tema delle “attività sportive”. Vengono di fatto vietate tutte le attività dilettantistiche e amatoriali, mentre restano consentite quelle professionali, sia per gli “sport di contatto” che per tutti gli altri.
In pratica, il governo tutela lo sport come spettacolo da guardare, preferibilmente a pagamento (restano intatti i limiti di accesso negli stadi a 1.000 persone e 200 negli ambienti chiusi); mentre boccia quello “partecipativo”, che facilita un maggior grado di benessere sociale.
Non solo. Cede anche i propri poteri di coordinamento in materia sanitaria, lì dove permette che i “protocolli emanati dalle Federazioni Sportive nazionali” facciano testo a dispetto dei protocolli stabiliti dal ministero della salute. Insomma: decide la Federcalcio et similia…
Ma in generale la logica che muove questo esecutivo – così come gli altri in tutto l’Occidente – è quella di limitare il “tempo libero” e facilitare al massimo quello da passare al lavoro. Secondo il vecchio detto: produci, consuma, crepa.
Va in questo senso il sostanziale “coprifuoco” a partire dalle ore 21 (come nella Francia di Macron) per “strade e piazze nei centri urbani [….] dove si possono creare situazioni di assembramento”. Sono ovviamente vietate “le sagre e le fiere di comunità”, mentre restano consentite “le manifestazioni fieristiche di carattere nazionale e internazionale”, ossia quelle dove si fa business “vero” e pesante.
Esplicita è l’intenzione di impedire di preferenza le manifestazioni e le riunioni politiche di ogni tipo, a partire da “le attività convegnistiche o congressuali, ad eccezioni di quelle che si svolgono con modalità a distanza”. Di fatto, anche se si dovessero rispettare tutte le misure di distanziamento e protezione, non ci si potrebbe riunire “in presenza”. Ognuno, secondo questo governo, dovrebbe restare isolato a casa sua e senza possibilità di incidere politicamente sul corso delle cose…
Il lungo capitolo riservato alla scuola è indicativo della nullità politica – ossia dell’incapacità di assumersi una responsabilità seria. In pratica, si dice che le scuole e le università “dovrebbero” restare aperte, ma debbono prevedere forme di didattica a distanza. In ogni caso la decisione vie delegata ai singoli territori; alle Regioni, ma anche ai Comuni, in modo che qualsiasi decisione contestata a livello locale non possa essere ricondotta a una specifica decisione del governo.
Cervellotico – è il meno che si possa dire – la regolamentazione degli esercizi commerciali tipo ristorazione, bar, ecc. Possono restare aperti “fino alle 24” se fanno servizio al tavolo (max 6 persone per tavolo), in luoghi presumibilmente chiusi per motivi stagionali. Ma devono chiudere alle 18 se fanno solo servizio al banco… Gli altri dettagli sono ancora più arzigogolati e privi di senso (rispetto all’obbiettivo di contenere la pandemia).
Anche qui, come per la scuola, ogni decisione finale – potenzialmente impopolare, vista l’assenza di una logica coerente – viene scaricata sui poteri locali. Sollevando peraltro l’immediata protesta di quelli più deboli, ossia I Comuni.
“A noi – ha spiegato Decaro, presidente dell’Anci (l’associazione dei Comuni, ndr) e sindaco di Bari – è sembrato uno scaricabarile: ci assumiamo la responsabilità, ma non si possono fare riunioni in cui non viene detto niente e poi il governo, che evidentemente non ha la forza per imporre un coprifuoco, fa un finto coprifuoco e dice che adesso decidono i sindaci quali sono le aree e le piazze. E chi controllerà? A noi è sembrato un modo per spostare la responsabilità agli occhi dell’opinione pubblica sui sindaci”.
Ma è soprattutto sui mezzi di trasporto pubblico che si nota l’indifferenza dell’esecutivo nei confronti della contagiosità: non una parola. Dunque resta tutto com’è, con il “permesso” di intasare bus, metro e treni regionali “fino all’80%” della capienza, ma senza alcun possibile controllo per far rispettare questa già assurda percentuale.
Il ridicolo è stato però infinitamente superato dalla ministra apposita – De Micheli – arrivata a sostenere, in un’intervista con Lucia Annunziata, che “in base a studi internazionali” i trasporti pieni “non sono fattore di contagio”. Che virus fantasioso, se ci incontriamo al bar fa un balzo, se stiamo sull’autobus dorme…
Tutte queste critiche, ripetiamo, partono dalla constatazione dell’inutilità di questo Dpcm rispetto all’obbiettivo di arrestare la diffusione del contagio. Per farlo, abbiamo scritto spesso, bisognerebbe avviare una massiccia campagna di tamponi su tutta la popolazione e in un breve lasso di tempo, in modo da identificare i contagiati (a cominciare dagli asintomatici, che non avvertono nessuna necessità di farsi controllare). Così come si è fatto, per esempio, a Qingbao o, qui da noi, a Vò Euganeo, all’inizio dell’epidemia.
Ma sappiamo anche che per farlo occorre una sanità pubblica in condizioni radicalmente diverse da quella dissanguata da 30 anni di tagli di spesa e mancate assunzioni.
Le politiche neoliberiste si scontrano dunque praticamente con la realtà dei fatti: con quelle politiche è impossibile combattere le pandemie. Lo dimostrano ancora più chiaramente paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, oggi “in competizione” con paesi del terzo mondo quando a numero di contagiati e morti.
Quindi, il galleggiante Conte può ripetere un milione di volte di non voler sentir parlare di nuovo lockdown generalizzato perché “l’Italia non si può permettere un altro blocco della produzione” (che in realtà era stato molto parziale).
Ma quel che ha combinato fin dal primo momento – in balia dei diktat di Confindustria e dei “poteri concorrenti” dei presidenti di regione, in maggioranza fedeli alle follie fascioleghiste – lì appare dover arrivare. Perché in questo modo la curva dei contagi non potrà che continuare a correre.
Lo dice quasi apertamente Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza: “In alcune regioni ormai è troppo tardi perché fronteggiano una crescita esponenziale del contagio. Non possono più basarsi sul tracing, devono fare chiusure. Altrove però il tracciamento va potenziato: c’è la prospettiva di una terza ondata”.
Per Ricciardi nelle regioni più in difficoltà “vanno fatte chiusure mirate, con precisione chirurgica. In questa fase non ha senso muoversi a livello regionale ma metropolitano, provinciale, comunale. Non è più il momento di lockdown generalizzati. Ma i governatori devono assumersi le loro responsabilità. Ad alto rischio ora ci sono Milano e Napoli ma anche Roma, tra un po’, potrebbe essere nella stessa situazione”.
Ci dispiace averlo previsto, ma purtroppo era abbastanza semplice. Se ti metti in testa di “difendere il Pil” a scapito della vita e della salute dell’intera popolazione, alla fine ti ritrovi con il Pil che crolla insieme alla salute di tutti.
P.s. Per gli scettici:
“Il risultato è facilmente prevedibile: il virus arriverà ovunque, magari un po’ più lentamente grazie allo stop alle manifestazioni pubbliche della movida (ma chi potrà mai limitare quelle private?), e anche il Pil subirà egualmente colpi durissimi.
Chi ha voluto la botte piena e la moglie ubriaca resterà quindi dolorosamente deluso dal calo del Pil. Ma il prezzo del dolore, in massima parte, sarà sulle spalle della popolazione che lavora, tra periodi di malattia, quarantene, ricoveri, morti, perdite di salario o anche del posto”.
https://contropiano.org/editoriale/2020/03/11/il-pil-o-la-vita-0125053
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