Probabilmente, nessun ministero è mai stato in un tale stato confusionale da emanare una circolare importante per il proprio settore di competenza per poi essere smentito in poche ore. Questo è successo tra il 29 e il 30 novembre al Ministero dell’Istruzione.
Di fronte al forte aumento dei casi di Covid tra le fasce più giovani della popolazione, il Ministero ha emanato una circolare che “in via prudenziale” ripristinava il ricorso alla famigerata didattica a distanza al verificarsi anche di un solo caso d’infezione in una classe.
Tuttavia, poche ore dopo, una nota del governo smentiva la decisione del Ministero dell’Istruzione, rimandando tutto a una prossima circolare del Ministero della Sanità.
In pratica, l’ennesimo pasticcio sulla pelle di studenti e insegnanti a cui era stato promesso che si sarebbe fatto ricorso alla Dad solo in casi estremi e che si sarebbero presi provvedimenti affinché tale intenzione fosse realizzata.
E’ evidente, al contrario, che l’organizzazione di difesa dalla pandemia messa in piedi dal Ministero dell’Istruzione è un castello di carta, pronto a crollare, come sta avvenendo, al primo aumento dei casi di contagio.
Il Ministero si è affidato alla speranza che la campagna vaccinale (che però non tocca i bambini delle scuole elementari) offrisse una via d’uscita alla difficile situazione della scuola, dimenticando tutto quanto si era detto già durante la prima fase pandemica.
Nella primavera-estate del 2020 si era infatti discusso di un ripristino della medicina scolastica, un tempo cardine della prevenzione, smantellata progressivamente nel corso degli anni ottanta, come anche di provvedimenti strutturali di edilizia scolastica e di riduzione del numero degli alunni per classe. Quest’ultimo provvedimento, tra l’altro, avrebbe migliorato la qualità dell’insegnamento a prescindere dall’emergenza pandemica.
Nulla di tutto ciò è stato realizzato e nemmeno si prevede di realizzarlo, dato che di fondi per la scuola si discute, come testimonia anche il capitolo 4 del PNRR, solo per sostenerne la sempre più evidente aziendalizzazione e privatizzazione e per aiutare l’assalto alla diligenza della scuola e dell’università da parte dei privati (“dalla ricerca all’impresa” è il significativo titolo di uno dei capitoli del PNRR dedicati alla scuola eall’università).
All’inizio dell’anno, il Ministero dell’Istruzione aveva sostenuto che, per evitare il ritorno alla Dad, nei casi di positività di un alunno, si sarebbe ricorsi al tracciamento, eseguendo tamponi ai compagni di classe e agli insegnanti, in modo da garantire, se la situazione non fosse stata grave, la continuazione della didattica.
Anche questa è una promessa mancata e non era difficile immaginarlo. In tutta Italia, un vero tracciamento dei casi non è mai esistito e si verificano situazioni limite, come la città di Milano, dove un soggetto ammalato o comunque positivo, non ottiene un tampone di verifica in meno di venti giorni, tra l’altro non a domicilio ma dovendo attraversare la città, con i rischi evidenti che ciò comporta per se stesso e soprattutto per la collettività.
In realtà, il governo Draghi, che al di là delle barzellette keynesiane, sta orientandosi con i vecchi principi dell’austerità cari alla UE, non ha investito e non intende investire nella scuola pubblica e nel suo rilancio. Soldi per la scuola non ce ne sono, come dimostra anche la mancanza di un serio stanziamento all’interno della legge di bilancio per il rinnovo del contratto dei lavoratori scaduto ormai da tre anni.
In tale legge si parla in realtà di umilianti mance per i docenti che dimostrano “dedizione” all’insegnamento, un termine che potrebbe far sorridere se non nascondesse l’ennesimo passo verso una stratificazione premiale (a discrezione dei dirigenti) della categoria.
In questo quadro di disinvestimenti sulla scuola, esiste tuttavia un ente del Ministero che di soldi continua a prenderne tanti, anche in modo molto discutibile. Questo ente è l’INVALSI, che ha già previsto date e modalità di effettuazione nel 2022 delle prove che da anni impone a studenti e insegnanti per valutare (in realtà misurare in modo non credibile) le competenze degli studenti in italiano, matematica e inglese.
La corte dei conti ha recentemente steso una relazione sul funzionamento dell’INVALSI che vale la pena di conoscere. A tale istituto, il cui presidente è in palese conflitto d’interessi, la Corte dei Conti contesta l’aver affidato la redazione delle prove nazionali, che è sua competenza istituzionale, a consulenti esterni, in gran parte pensionati. Inoltre, nel 2020 l’Invalsi ha speso 5 milioni di euro per prove che non si sono tenute, a fronte dei comunque ben 7 milioni di euro che comunque ogni anno si investono nello stupidario nazionale di valutazione.
Ecco come il Ministero butta denari che potrebbero essere ben diversamente utilizzati.
Corte dei conti: INVALSI, ma cosa combini, e quanto ci costi? | ROARS
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