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Liste nere. Gabrielli nega, ma non convince

Come si dice in gergo, è stata “pestata una merda”. Era fin troppo visibile l’imbarazzo di politici e commentatori interventisti dopo la pubblicazione della “lista nera” di giornalisti, analisti, commentatori accusati di essere la “rete di Putin in Italia”.

E’ apparso evidente come in Italia, con leader imposti dall’alto, con un paese in guerra che nega di essere in guerra e con la maggioranza della popolazione che continua ad essere contraria alla guerra, si sia ormai aperto un “fronte interno” che piccona severamente la pretesa di essere una democrazia liberale, trasformandola, da tempo, in una democradura. Le liste nere, scrivevamo due giorni fa, rivelano la profonda infezione del sistema.

Ieri è dovuto intervenire il responsabile del governo per i servizi segreti, Franco Gabrielli, negando che la lista di “proscritti filorussi” pubblicata dal Corriere della Sera sia opera loro: “I Servizi italiani non hanno mai stilato alcuna lista di politici, giornalisti, opinionisti o commentatori, né hai mai svolto attività di dossieraggio”.

Ma Gabrielli ha ammesso che di recente si è riunito un tavolo di lavoro interministeriale: “istituito sin dal 2019 presso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e al quale partecipano le diverse Amministrazioni competenti per materia, la cui attività, svolta esclusivamente sulla base di fonti aperte, mira non all’individuazione di singoli soggetti, bensì alla disamina di contenuti riconducibili al fenomeno della disinformazione”. (1)

Per questo, ha aggiunto l’ex capo della Polizia, sarebbero destituite di ogni fondamento le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi.

In realtà sia il fatto che lo stesso Gabrielli sia stato costretto a intervenire, sia la conferma dell’esistenza di questo “tavolo” che elabora dossier su “fonti aperte”, rendono molto poco convincente la smentita dell’apparato di Palazzo Chigi.

Un dossier su fonti aperte significa che alcuni specialisti dei servizi sono stati messi all’opera monitorando tutto quello che circola in rete, nei social network, nelle televisioni grandi e piccole, ricavandone un dossier riconducibile a soggetti che in Italia si sono messi di traverso rispetto alla linea interventista e guerrafondaia del governo.

Ogni contenuto di informazione ha un autore o un media che lo mette in circolazione. E quegli autori, con nome e cognome, sono finiti nel dossier. La zona grigia in tutto questo sta nell’individuare “chi” ha deciso di fare questo dossier e “come” sia finito nelle mani di due giornaliste esperte del Corriere della Sera, spesso al lavoro su “esternazioni” dei servizi. Le quali, il giorno seguente il primo discutibile scoop, hanno rilanciato e raddoppiato, pubblicando altre due pagine in cui venivano coinvolte altre persone, in modo ancor più strumentale.

In una prima fase, e sulla base di quanto scritto dal Corriere della Sera, il “mandante” sembrava essere il Copasir, diventato particolarmente attivo in questa fase di guerra con audizioni di direttori dei servizi e direttori della Rai. Ma il Copasir, per statuto, non può chiedere dossier ai servizi su cittadini italiani; al contrario dovrebbe monitorare e impedire che ne facciano, al di fuori dei loro compiti istituzionali.

Qualche ora prima di Gabrielli, il presidente del Copasir (il fratelloditalia Urso) aveva subito allontanato da sé le responsabilità dichiarando che: “In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica rileva di non aver mai condotto proprie indagini su presunti influencer e di aver ricevuto solo questa mattina un report specifico“.

Quindi il Copasir avrebbe solo ricevuto il report, ma non lo avrebbe commissionato.

Urso afferma che “La lista l’ho letta sul giornale, io non la conoscevo prima. Noi abbiamo attivato un’indagine alla fine della quale, ove lo ritenessimo, produrremo una specifica relazione al Parlamento. Che esista una macchina della disinformazione e della propaganda che agisce da almeno dieci anni non lo dico io, ma istituzioni del Parlamento europeo”.

Urso si riferisce al lavoro della task force del European External Action Service della Ue, in pratica il servizio di intelligence europeo istituito nel 2011.

Ed è così che dopo il secondo articolo sulla “lista nera”, pubblicato a due intere pagine dal Corriere della Sera, prima Adolfo Urso, presidente del Copasir, e poi Gabrielli, Sottosegretario con delega ai servizi di sicurezza (ed ex capo dei servizi stessi, il Sisde prima e l’Aisi poi; cioè in flagrante conflitto di interessi istituzionali), hanno negato di essere i mandanti e gli autori del dossier rimandando al mittente le accuse: nessuna lista di proscrizione.

Il cerino a questo punto è rimasto nelle mani del Corriere della Sera che dovrà rispondere alla domanda: chi ha compilato la lista nera ricevuta dal giornale e pubblicata in grande evidenza?

(1) Il report compendia l’attività di uno specifico tavolo creato nel 2019, coordinato dal Dis e al quale partecipano, oltre ad Aise e Aisi, l’Ufficio del Consigliere militare del presidente del Consiglio, il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, i ministeri dell’Interno e della Difesa. Di recente è stato esteso al Dipartimento dell’Informazione e dell’Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, al Mise, all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e all’Agcom

 

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3 Commenti


  • Manlio+Padovan

    Voglio dare benzina al Corriere.

    “L’Italia non esiste non è mai esistita. Ciò che chiamiamo Italia è solo una unità territoriale messa su a forza per interessi padronali.” Dixit Giovanni Testori che un fesso di certo non era.
    Come non esiste l’Italia, così non esiste l’Ucraina in quanto a leggere la sua storia essa è solo una unione territoriale e fittizia messa su a forza per interessi ideologici da stampo nazifascista.
    Già la figura di Stephan Bandera eletto a eroe nazionale ne squalifica ogni valore..


  • Giovanni

    Il Corriere della Notte… Nera, organo da sempre asservito ai poteri forti e oscuri della italica repubblichetta ha sollevato, involontariamente, il coperchio dalla fetida melma nera che da anni impesta il Paese, mentre il PD e’ silenzioso e attivo corresponsabile della pericolosa deriva autoritaria odierna.
    L’ italiano- medio, frattanto, e’ lobotomizzato e crede ai Draghi di turno e alle fiabe di Stato..
    Ne vedremo delle belle??


  • leandro locatelli

    Chissà che per questa petizione possa ritrovarmi nella lista di proscrizione.
    Petizione diretta al Presidente Mario Draghi e al ministro Cartabia
    Andrea Rocchelli, fotogiornalista italiano era andato a documentare gli orrori della guerra in Ucraina, precisamente nel Donbass, ed è stato ucciso per questo. E’ stato assassinato insieme all’attivista per i diritti umani (e interprete) Andrej Nikolaevič Mironov, dal fuoco ucraino, il 24 maggio 2014. William Roguelon, unico sopravvissuto all’attacco, dichiarerà che il gruppo è stato bersagliato da numerosi colpi di mortaio e armi automatiche dalla collina Karachun, dove era stanziata la Guardia nazionale dell’Ucraina e l’esercito ucraino. Gli assassini non sono i russi ma i nostri alleati, addestrati e armati da noi. I “buoni”. Quelli che difendono la libertà. Nel luglio 2017 le indagini hanno portato all’arresto di Vitaly Markiv mentre rientrava in Italia, militare della Guardia nazionale ucraina col grado di vice-comandante al momento dell’arresto ma soldato semplice all’epoca dei fatti, con cittadinanza italiana. Markiv è stato sottoposto a misure detentive di custodia cautelare in attesa del processo che si è aperto a Pavia nel maggio 2018. Durante lo svolgimento del processo, Markiv viene anche accusato dentro e fuori l’aula di simpatie neonaziste. Si legge su Wikipedia: “Il 12 luglio 2019 la corte penale di Pavia ha giudicato Vitaly Markiv colpevole per concorso di colpa nell’omicidio di Rocchelli e Mironov e lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Lo stato Ucraino è stato anch’esso giudicato colpevole nella medesima sentenza quale responsabile civile”. Markiv però se la cava, dopo l’intervento delle autorità dell’Ucraina che prendono le sue difese. Ed ecco il colpo di scena: “Il 3 novembre 2020 la Corte d’Assise d’appello di Milano, pur ritenendo colpevoli le forze armate ucraine dell’omicidio dei giornalisti, ha assolto Vitaly Markiv con formula piena escludendo alcune testimonianze chiave dall’impianto accusatorio per un vizio di forma”. Sul tablet e sullo smartphone sequestrati a Markiv, secondo i Ros, sono conservate oltre duemila fotografie. Alcuni scatti mostrano un uomo incappucciato, con una catena di ferro al collo, rinchiuso nel bagagliaio di un’automobile, una Skoda Octavia. In alcune immagini scattate poco dopo, si vede lo stesso uomo, con il volto ancora coperto, gettato in una fossa mentre qualcuno non inquadrato nella ripresa lo ricopre di terra. Altre fotografie ritraggono Markiv davanti alla stessa Skoda Octavia. Quando nell’aula è stata mostrata una foto di agenti della guardia nazionale ucraina con alle spalle una bandiera nazista, Markiv ha chiesto di prendere la parola e ha detto: «Non voglio che la guardia nazionale sia presentata come nazista. La bandiera ritratta in quella foto è soltanto un bottino di guerra» Peccato che il nemico fossero gli autonomisti del Donbass. Non c’è pace senza giustizia, non si annulla una sentenza per vizio di forma, dopo l’intervento delle autorità Ucraine che hanno parlato di complotto e di processo politico, intervento supportato anche da politici di lungo corso italiani. Chiediamo al presidente del consiglio Draghi ed al ministro della Giustizia Cartabia la revisione del processo. Ci sono due vittime innocenti, assassinate perché testimoniavano con il loro lavoro verità scomode, non ci possono essere colpevoli in libertà. La responsabilità penale è personale, indicare come responsabile l’intero esercito ucraino è inutile e sbagliato. Verità e giustizia per Andrea e Andrej.
    Puoi firmare la petizione qui: https://chng.it/J4kY6Zdj

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