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La manovra 2025: continuità nel solco dei vincoli europei

Ecco finalmente la legge di bilancio 2025, in tutti i suoi capitoli di spesa. È stata licenziata dal Consiglio dei ministri svoltosi ieri sera, in previsione della consegna al Parlamento entro il 20 ottobre e dopo aver già scritto il Piano strutturale di bilancio (PSB).

Quest’ultimo documento rientra nella cornice del nuovo Patto di Stabilità e indica in maniera stringente le previsioni della spesa primaria netta da qui al 2029. Il fatto stesso che arrivi prima della legge di bilancio fa capire chi è davvero a scrivere la politica economica del paese.

È comunque il caso di vedere come Palazzo Chigi abbia deciso di ripartire i fondi a disposizione, pochi e, vista la stagnazione continua, recuperati per lo più attraverso tagli e aggiustamenti statistici sul PIL. L’importo totale si aggira sui 30 miliardi di euro.

La legge di bilancio è arrivata sul tavolo del governo insieme al decreto fiscale collegato e al Documento programmatico di bilancio per la UE. Di miliardi in deficit ce ne sono 9: il resto viene da altre voci, sostanzialmente dalla riduzione delle spese, senza l’aumento di tasse su persone ed aziende, come era già stato confermato dal governo.

Diventano strutturali il taglio del cuneo fiscale e l’IRPEF a tre scaglioni. In pratica, due misure che rappresentano un danno per i lavoratori con la riduzione dei servizi pubblici di domani, e la riduzione ulteriore della progressività della contribuzione alle spese pubbliche, sancita anche in Costituzione.

Ci sono poi i bonus natalità (punto ideologico, ma poco concreto in un paese dai salari bassi e dagli asili nido con pochi posti e alti costi). La carta ‘Dedicata a te’ per fare la spesa viene rifinanziata con 500 milioni: importi da elemosina in un paese in cui è la Coldiretti a dirci che oltre 3 milioni di persone devono chiedere aiuto per mangiare.

Viene confermato il bonus al 50% per la ristrutturazione delle prime case, ma in ambito edilizio è sempre la speculazione a comandare. Viene infatti favorita la – necessaria – costruzione di alloggi popolari mettendo a disposizione aree del demanio e semplificando le procedure: nuovo consumo di suolo pubblico, messo a profitto, invece della ristrutturazione e del recupero del largo patrimonio esistente, anche privato.

Sono state operate anche diverse rimodulazioni delle detrazioni fiscali ed sono confermati i sostegni aziendali per chi si trasferisce per lavoro. Si tratta in realtà di cifre e provvedimenti di poco conto, che servono più a mantenere il mercato del lavoro alla mercé di padroni e padroncini, piuttosto che a garantire occupazione e salari.

L’esempio lampante è il trattamento riservato al Mezzogiorno, in cui le assunzioni sono ancora affidate a incentivi riguardanti giovani e donne. E soprattutto, a decontribuzioni alle imprese localizzate nella ZES, che è inoltre un altro tassello della secessione reale del paese accompagnata dall’autonomia differenziata.

Sulle pensioni viene portata avanti solo l’indicizzazione, che doveva ovviamente essere fatta da tempo. Mentre si discute ancora del rilancio del bonus Maroni, ovvero di altro incentivo a rimanere a lavoro una volta raggiunti i requisiti per il pensionamento, ovvero un altro modo per ridurre la spesa pensionistica e ritardare il turnover nei posti di lavoro.

I due dossier più delicati e ancora da definire sono la tassazione degli extra profitti bancari e i tagli che gli stessi ministeri potranno decidere, purché raggiungono i 3 miliardi (5% della spesa). Segnala Repubblica che l’entità di questi ultimi, nei prossimi quattro anni, dovrebbe arrivare alla cifra di 7 miliardi.

Il contributo richiesto alle banche (e alle assicurazioni) è invece il tema che più di tutti crea conflitto dentro la maggioranza, dato che Forza Italia vi si oppone fermamente. “Nessuna visione punitiva, nessuna tassa sugli extra profitti“, aveva detto Tajani solo un paio di giorni fa, anche se probabilmente un accordo in merito arriverà durante l’esame in Parlamento.

In ambito bancario ci si aspetta che, in ogni caso, non vengano toccate Ires e Irap, come promesso, e il prelievo arrivi sulle somme non distribuite come dividendi, sulle imposte differite attive (pagamenti dovuti sui ricavi dell’anno, ma saldati in futuro) o sulle stock option (azioni acquistate a un prezzo prefissato). Probabilmente per tentare di ritardare la reazione negativa dei mercati.

Del resto, il 18 ottobre arriverà anche il giudizio S&P Global e Fitch sul debito italiano, mentre per il 22 novembre è atteso quello di Moody’s, e i 3,5 miliardi richiesti alle banche fanno tremare le borse. Come più volte abbiamo ripetuto, a governare in Occidente sono i mercati, e i governi devono rispettare i loro capricci e i loro movimenti.

Intanto, le opposizioni parlamentari sono già andate all’attacco delle scelte dell’esecutivo. La sua politica economica, secondo Elly Schlein, è sempre la stessa, ovvero tagli, condoni e misure simili. Per una volta la guida del PD è stata sincera: la politica economica è sempre la stessa, cioè non è cambiata col cambiare degli esecutivi dell’ultimo trentennio, in pratica, compresi quelli del centrosinistra.

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