Il percorso della legge di bilancio procede, e ovviamente l’austerità segna ogni decisione del governo. A farne le spese, prima fra tutte le voci, è la sanità pubblica, oggetto di varie promesse da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che non si sono poi concretizzate.
A denunciare il pericolo del collasso del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) è la Fondazione Gimbe, ascoltata lunedì 4 novembre in audizione dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite. Per l’organizzazione le risorse sono insufficienti persino per le misure già varate.
“L’incremento di 2,5 miliardi di euro per il 2025 aumenta il Fondo sanitario nazionale a 136,5 miliardi di euro, di fatto solo dell’1% rispetto a quanto già fissato nel 2024”, ha detto il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta.
Allo stesso tempo, però, l’aumento di spesa per i vari provvedimenti previsti da qui al 2030 è pari a oltre 29 miliardi, mentre quelli stanziati sono solo 10,2. E si parla di interventi che a malapena potranno mantenere una tutela accettabile.
Guardando la percentuale di PIL destinata al Fondo Sanitario Nazionale, pilastro centrale del finanziamento del SSN, si nota la diminuzione dal 6,12% del 2024 fino al 5,7% del 2029.
Il presidente della Gimbe sottolinea che “l’aumento progressivo del Fondo Sanitario Nazionale in valore assoluto, sempre più sbandierato come un grande traguardo, è in realtà una mera illusione”.
“Questo trend”, ha detto senza mezzi termini Cartabellotta, “riflette il continuo disinvestimento dalla sanità pubblica, avviato nel 2012 e perpetrato da tutti i governi”.
Parole che rivelano il carattere strumentale e ipocrita anche delle dichiarazioni di Marina Sereni, responsabile Salute e sanità del Partito Democratico. Oggi lancia l’allarme basandosi sui dati della Fondazione Gimbe, ma fino a ieri il suo partito è stato corresponsabile dei tagli.
Su una cosa, invece, la Sereni dice le cose come stanno: in questa situazione, le regioni dovranno “scegliere tra tagliare i servizi o aumentare le tasse ai loro cittadini”. Questa è l’esposizione, chiara e semplice (ma non detta esplicitamente), di come funziona la “gabbia” dei trattati europei.
In ottemperanza ad essa, altri elementi fondamentali scompaiono dalla legge di bilancio. Non c’è, infatti, alcun piano straordinario di assunzione di medici e infermieri per coprire gli ormai colossali vuori di organico, né l’abolizione del tetto di spesa per il personale che permetterebbe almeno qualche rimedio.
La Fondazione Gimbe, pur senza mettere in dubbio questo quadro istituzionale, fa comunque delle proposte per affrontare la situazione, tra cui tasse di scopo, e anche “tassando i redditi milionari e/o gli extra-profitti di multinazionali”.
All’opposto, il privato ha guadagnato da questa finanziaria. Il presidente dell’Associazione italiana di ospedalità privata, Gabriele Pelissero, registra “un incremento di risorse destinate ai volumi di prestazioni che i nostri erogatori producono per il SSN”.
Sempre Cartabellotta ha messo in guardia dal continuare sulla strada che la classe dirigente del paese sta percorrendo, che porterà a dire “addio all’universalismo, all’uguaglianza e all’equità, princìpi fondanti del servizio sanitario nazionale”.
A proposito di personale, anche Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed, il sindacato dei medici del SSN più rappresentativo, è stato ascoltato dalle Commissioni parlamentari. E anche lui non ha risparmiato critiche alle misure governative.
A suo avviso, ci troviamo in un “contesto sociale drammatico, in cui il 7,6% dei cittadini rinuncia alle cure per ragioni economiche e l’1,6% si indebita e raggiunge la povertà a causa delle esigenza di curarsi e dell’impossibilità di farlo presso le strutture pubbliche”.
Non c’è bisogno di aggiungere altro.
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