Giovani a sud della crisi si presenta come un’analisi concreta e ampiamente documentata delle dinamiche economico-sociali e delle relative disuguaglianze prodotte dal processo di costruzione dell’Unione Europea quale polo imperialista ad alta competitività all’interno del mercato globale.
Se la crisi economica apertasi nel 2008 fu un momento spartiacque capace di attivare una fase di passaggio all’interno della stessa UE dopo la ristrutturazione neo-liberista imposta mediante i dispositivi di governance finanziaria e di austerity, un’analisi dei processi di sviluppo economico in corso e dell’attuale contesto politico, caratterizzato dall’avvicinamento progressivo delle forze politiche reazionarie alle élite dirigenti dell’UE, lascia presagire l’inizio di una nuova fase del capitalismo europeo che si avvia verso la stabilizzazione e, di conseguenza, la pacificazione sociale. Di fronte agli sviluppi in atto, riteniamo che sia ancor più necessario individuare le contraddizioni del processo di transizione del capitalismo europeo a questa nuova fase, e confrontarci sulle possibili risposte politiche e organizzative in un orizzonte strategico che vada al di là delle scadenze immediate della politica contingente.
La lente di analisi che abbiamo scelto è quella “generazionale”, e specificamente dei giovani dei paesi del Sud Europa. Questo non nell’ottica di un ideologico conflitto generazionale, ma partendo dall’assunto che proprio le giovani generazioni sono state e sono tuttora vittima sacrificale degli effetti negativi delle disuguaglianze prodotte dall’UE e della ristrutturazione neoliberista delle società europee, e, proprio per questo, pensiamo che esse possano costituire strategicamente un potenziale soggetto di conflitto ed emancipazione.
Ciò è tanto più vero in un paese come l’Italia. La competitività del nostro paese sul piano internazionale, infatti, si regge, non tanto sullo sviluppo tecnologico e sulla capacità di esportazione, quanto sulla riduzione progressiva dei salari reali, sui tagli ai salari indiretti e differiti, insomma sulla distruzione graduale del welfare e sull’impoverimento delle classi lavoratrici. Questo fa sì che il sistema della formazione in Italia, rispondendo alle esigenze del mercato del lavoro, tenda a produrre tendenzialmente forza-lavoro scarsamente qualificata, o comunque destinata a mansioni a bassa qualifica professionale, o, se qualificata, destinata all’emigrazione in quei paesi dove lo sviluppo economico, e quindi l’offerta formativa, è più competitivo.
Se le disuguaglianze tra centro e periferia nell’UE condannano i giovani italiani ad accettare lavori atipici, precari, a basso reddito e mediamente poco qualificati, oppure a emigrare in aree economiche a maggiore domanda di forza-lavoro qualificata meglio retribuita, i vincoli e le compatibilità imposte dall’UE acuiscono gravemente il divario già storico tra Nord e Sud all’interno della periferia Italia. Un esempio immediato di questo divario è per esempio il costituirsi di poli formativi di eccellenza, manco a dirlo concentrati al Nord, come le università di “serie A”, che ricevono la maggiore quantità di fondi pubblici nazionali ed europei e di fondi privati, e a cui si affiancano i poli di “serie B”, ovviamente specie nel Sud Italia, serbatoio di formazione di forza-lavoro da sfruttare o da tenere non occupata come moderno “esercito industriale di riserva”.
Queste dinamiche, lungi dall’essere il prodotto della mente perversa delle classi dirigenti italiane, sono piuttosto il risultato della collocazione dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro, ovvero nel mercato europeo integrato, quindi il risultato delle disuguaglianze tra il centro-nord dell’Europa a trazione tedesca, area ad alto potenziale tecnologico-produttivo e finanziario, e le periferie dell’UE, nelle quali il rispetto delle compatibilità imposte dalla Commissione Europea e dalla BCE e fatte rispettare dai dispositivi di soggiogamento finanziario utilizzati dai “mercati”, hanno spinto le classi dominanti locali a scaricare i costi della crisi e, in generale, delle compatibilità sistemiche e della competitività economica sulle classi lavoratrici.
Per questo pensiamo che la risposta a questo meccanismo strutturale non possa essere la conquista di margini maggiori di riformismo all’interno dei vincoli e delle compatibilità imposte dall’UE (modello risultato già fallimentare con Syriza in Grecia) ma la rottura della catena imperialista europea e dei dispositivi finanziari, monetari e istituzionali che producono subordinazione, disuguaglianze e ristrutturazioni a danno delle classi lavoratrici e popolari.
La ricca e puntuale raccolta di dati che accompagna il libro Giovani a sud della crisi dà ampiamente conto di quanto affermiamo, guidando il lettore nella comprensione di questi fenomeni relativamente al mondo del lavoro giovanile e dell’istruzione e ai fenomeni migratori, con particolare riferimento a quello intra-europeo. Si tratta di inquadrare queste sfere della vita economica e sociale all’interno delle dinamiche di competizione globale che vede l’emergere di un polo, quello europeo, volto a potenziare la competitività del capitale nei confronti degli altri attori globali. Nondimeno, viene mostrato come la stessa UE presenti le medesime dinamiche globali di “sviluppo diseguale” del capitale e di capacità diverse di competitività dei vari paesi.
La crisi, in questo senso, avrebbe accelerato un processo di polarizzazione all’interno dello stesso polo imperialistico europeo che vedrebbe paesi “centro” capaci di sostenere la competitività del proprio sistema economico attraverso l’innovazione tecnologica e i servizi più avanzati (Germania, Paesi Scandinavi, Francia) e altri paesi “periferia” che, avendo capitali meno forti, mirano all’utilizzo di manodopera dequalificata a basso costo in settori che richiedono meno impiego di tecnologia (servizi quali la ristorazione, il turismo, ma anche settori logistici).
In questo quadro generale è possibile comprendere anche fenomeni propri del sistema-Italia: il progressivo adeguarsi del sistema scolastico e dell’università sia alle logiche imprenditoriali del mercato fino a comportarsi come attori privati all’interno di un mercato in cui vendere corsi o ricerche “spendibili” per attirare fondi, sia piegando la formazione alle esigenze del mercato finalizzandola allo sviluppo di semplici e generiche “competenze di base” proprie di una manodopera flessibile e dequalificata; l’alto livello di disoccupazione (soprattutto giovanile), di NEET e, fenomeno nuovo, di lavoratori “poveri”, mentre si assiste a un generale incremento del monte ore settimanale; la forte emigrazione di manodopera giovanile qualificata verso i paesi del Nord-Centro Europa secondo delle dinamiche proto-coloniali.
A partire da queste analisi, abbiamo cercato di individuare le contraddizioni più alte, più esplicite del processo di sviluppo capitalistico in atto, e abbiamo considerato che esse sono, per la scuola, l’alternanza scuola-lavoro, vero e proprio dispositivo di disciplinamento di futura forza-lavoro giovane e dequalificata da sfruttare e abituare alle forme più disparate di lavoro precario; per il mercato del lavoro, la disgregazione e precarizzazione delle condizioni di vita e di lavoro funzionale alla riduzione salariale e all’annichilimento del potere contrattuale dei lavoratori, e ciò specie in riferimento alle forme contrattuali atipiche che riguardano la forza-lavoro giovane, istruita e non; per l’università le disuguaglianze tra poli di eccellenza, o di “serie A” e poli di “serie B”, ma più in generale la ristrutturazione del sistema di formazione ricerca e sviluppo secondo le esigenze del mercato del lavoro e in condizione delle disuguaglianze tra centro e periferia dell’UE.
A queste analisi abbiamo voluto far conseguire delle proposte politico-organizzative concrete, in virtù delle quali ci siamo spesi per costruire gli strumenti adeguati ad affrontare le contraddizioni sopra individuate, e tali strumenti abbiamo considerato che potessero essere una campagna contro l’aternanza-scuola lavoro (da cui è nata la campagna BastAlternanza); la federazione sindacale delle singole vertenze e lotte per il diritto all’abitare, contro la precarietà, lo sfruttamento e il lavoro a nero, in prospettiva di una progressiva ricomposizione sociale del proletariato giovanile e immigrato (da ciò abbiamo assunto come orizzonte di lotta la Federazione del Sociale nell’Usb); l’attività quotidiana di analisi, informazione, agitazione, organizzazione e inchiesta all’interno delle università, nella prospettiva complessiva dei nessi strettissimi che intercorrono tra formazione-sviluppo-produzione e disuguaglianze all’interno dell’UE, e delle cause dell’emigrazione giovanile all’estero, rispetto alla quale abbiamo sempre risposto “noi restiamo!” per organizzarci, lottare e riappropriarci del nostro futuro.
Consapevoli, inoltre, che la “questione meridionale” costituisce oggi un ulteriore e specifico piano di analisi e di lotta all’interno della più generale “questione europea”, e che le disuguaglianze tra Nord e Sud vanno assumendo le forme moderne imposte dalle disuguaglianze tra centro e periferia nel polo imperialista europeo, facciamo appello per un confronto politico su queste gravose problematiche a tutte quelle comunità resistenti della Campania che ogni giorno combattono contro le disuguaglianze e la distruzione delle proprie terre. Proponiamo che un primo momento di confronto si sviluppi nel mese di dicembre a Caserta, Aversa e Santa Maria Capua Vetere, a partire dalle analisi pubblicate nel libro Giovani a sud della crisi, secondo il seguente calendario:
7 dicembre , ore 17.30
Caserta – sede della Rete dei Comunisti, Via San Carlo, 51
14 dicembre, ore 18.00
Aversa – Libreria Quarto Stato, Via Magenta, 78/80
18 dicembre, ore 17.30
Santa Maria Capua Vetere – Casa del Popolo “Spartaco”, Via G. Saraceni, 4
Organizzano:
Gruppo Studentesco Interfacoltà – Napoli
Noi Restiamo
Aderiscono:
Laboratorio Sociale Millepiani, Villetta Giaquinto, collettivo SCIRA, Casa del Popolo “Spartaco”, campagna BastAlternanza, USB-Scuola, Rete dei Comunisti
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