E’ continuata anche nella notte la rivolta della comunità cinese a Sesto Fiorentino, cominciata con gli scontri di mercoledì pomeriggio (29 giugno) dopo che un gruppo di cinesi si era opposto ai controlli della Asl e dei carabinieri nei capannoni dove sono attivi alcuni laboratori. Si erano verificati dei tafferugli (con feriti tra i carabinieri e tra i cinesi). Alcune centinaia di lavoratori e residenti cinesi si sono radunati per protestare per la durezza delle modalità dei controlli e c’è stato un lancio di sassi e oggetti contro polizia e carabinieri che hanno reagito caricando e disperdendo i manifestanti.
La situazione sembrava essersi calmata anche con l’intervento del console cinese. Ma verso le una e trenta di notte, la tensione è risalita con un lancio di oggetti verso le forze dell’ordine e nuove cariche. Il bilancio parla almeno una decina di persone contuse tra cui un bambino di pochi mesi e il nonno. Due cinesi sono stati arrestati per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale.
Nell’area industriale intorno alla ex Osmannoro era arrivato anche il vice console cinese a Firenze, nel tentativo di riportare la calma. Tra le richieste avanzate dalla comunità cinese c’è anche quella di scoprire le responsabilità di quanto accaduto durante il controllo nel capannone. Alcuni orientali hanno chiesto anche di verificare il trattamento che loro lamentano particolarmente violento durante i controlli effettuati anche nelle scorse settimane. Sul posto si è recato pure il neo sindaco di Sesto Lorenzo Falchi mentre tra i manifestanti è comparsa tra gli applausi anche una bandiera della Repubblica popolare cinese.
Le comunità cinesi, come noto, tendono a essere il meno visibili ed “esuberanti” possibile nel rapporto con con l’esterno della loro dimensione, a meno che non percepiscano atteggiamenti aggressivi nei propri confronti. Quanto si è rotto a Sesto Fiorentino – così come a Via Sarpi a Milano alcuni anni fa – è un indicatore che la pacatezza non è sempre sinonimo di rassegnazione. Fare i controlli è giusto e doveroso, sia verso le regole vigenti che verso i lavoratori e le lavoratrici cinesi spesso schiavizzati, ma il “come” si fanno i controlli spesso può fare la differenza.
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