Nel corso di un incontro a Roma nel 1977 disse che non c’era da preoccuparsi del terrorismo nero. «Mi fa ridere», aggiunse.
Ora il suo nome compare nell’atto di accusa della Procura generale di Bologna tra i mandanti e i finanziatori della strage del 2 agosto 1980, materialmente eseguita da neofascisti, la più grave di tutta la storia del Paese. Si tratta di Federico Umberto D’Amato, a fine anni Sessanta il «più potente funzionario degli apparati di sicurezza italiani».
Così lo definisce Giacomo Pacini nel suo La spia intoccabile. Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari riservati (Einaudi, pag. 265, 28 euro) che va a integrare e completare Il cuore occulto del potere: Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale (1919-1984) uscito nel 2010.
D’Amato, nato nel 1919 a Marsiglia, dove il padre, commissario di polizia, si trovava per lavoro, riuscì in un arco di tempo assai breve a scalare i vertici degli Affari Riservati (Uar), il servizio segreto interno, nato nell’ottobre del 1948 nell’Italia repubblicana.
La sua carriera ebbe inizio dopo l’8 settembre 1943, grazie ai buoni uffici di James Jesus Angleton, responsabile del controspionaggio statunitense, che lo reclutò per una missione (riuscita) nella Repubblica di Salò per entrare in possesso dell’archivio segreto dell’Ovra, la struttura spionistica fascista.
Da qui in sequenza al comando dell’Ufficio politico della questura di Roma nel 1952 e nell’Uar a fine anni Cinquanta, dove assunse il coordinamento delle squadre periferiche già alla metà degli anni Sessanta, divenendo di fatto il capo del servizio, carica che assunse formalmente nel 1971. Non sempre chiare, sottolinea Pacini, furono «le ragioni della sua formidabile ascesa».
Modellato nell’immediato dopoguerra sulle base delle tecniche dell’Ovra, avvalendosi anche del personale precedentemente attivo in quella struttura, l’Uar – lautamente finanziato dai servizi americani – si specializzò principalmente in attività di controllo dei partiti di sinistra, progettando addirittura nell’aprile 1954, causa l’ostruzionismo in Parlamento, un piano per la «messa fuori legge del Pci».
L’Uar assunse nel corso dei decenni diverse denominazioni, pur rimanendo inalterata la sua funzione. Ma è sotto la guida di D’Amato che assunse un ruolo centrale, entrando a far parte del Comitato di sicurezza della NATO, composto dai principali servizi segreti europei, e dando vita, per iniziativa dello stesso D’Amato, al cosiddetto “Club di Berna”, un coordinamento sovranazionale delle polizie.
D’Amato, documenta Pacini, nella sua veste di massimo dirigente del servizio segreto civile, operò per infiltrare i partiti di sinistra e le organizzazioni extraparlamentari; provocare con falsi manifesti inneggianti alla rivoluzione culturale cinese affissi in diverse città, un’operazione condotta grazie alle squadre di Avanguardia Nazionale; proteggere Freda e Ventura di Ordine Nuovo, fra i responsabili degli attentati sui treni nell’agosto del 1969 e della strage di piazza Fontana, depistando verso la «nuova sinistra»; accanirsi post-mortem su Giuseppe Pinelli, costruendo un «castello di carte» false «al fine di accusare un innocente».
L’ex generale dei servizi segreti Nicola Falde sostenne esplicitamente che «l’attentato di piazza Fontana era stato organizzato dall’Uar».
D’Amato, tessera 554 della P2, morì il 1° agosto 1996. Alcuni funzionari testimoniarono che molte carte, con l’elenco delle spie del Viminale, furono nascoste in una «villa al mare», posseduta dall’“Intoccabile”. Un archivio segreto mai più rinvenuto.
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