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Siria: ancora repressione. Clinton, “non interverremo”

attraversata anch’essa dalla rivolta che scuote tutti i paesi arabi. E poneva davanti a tutti la differenza tra paese e paese, quindi i diversi tipi di “intervento umanitario” possibili.

Ma si sa, Tremonti ama vestire i panni da “no global” quando vuole smarcarsi dall’opinione liberale e liberista prevalente in Europa e nei cervelli sfibrati del nostro centrosinistra.

Però, se a dire che di intervento militare in Siria non se ne parla proprio sono Hillary Clinton e Robert Gates (ministri degli esteri e della difesa Usa) allora qualcosa di certo ci deve essere.

Con interviste sulle più seguite emittenti americane hanno lanciato questo messaggio: gli Usa si apprestano a fare un passo indietro dalle operazioni militari in Libia, e dicono fin d’ora che – per quanto dolorosi possano essere gli incidenti in Siria – gli Usa non saranno coinvolti a Damasco come lo sono stati fra Tripoli e Bengasi.

Il capo della diplomazia di Washington e il numero uno del Pentagono hanno detto chiaro e tondo che «no», la Siria non sarà per l’America un’altra Libia. Le tensioni in corso in Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Bahrein, Yemen, sono di portata «storica», qualcosa di politicamente paragonabile solo alla caduta dell’ impero ottomano« (Gates), ma in Medio Oriente »ognuna di queste situazioni è unica» (Clinton). «Certamente noi deploriamo la violenza in Siria – ha detto il segretario di Stato -. Chiediamo a ciascuno di questi governi di rispondere alle domande dei loro popoli e di avviare un processo di riforme politiche e economiche».

Ma la situazione in Libia non è paragonabile a quella in Siria. Attenzione, però. Nel caso ci fosse «l’approvazione di una risoluzione Onu, un appello alla comunità internazionale, una condanna universale anche da parte della Lega Araba», le cose si potrebbero mettere diversamente. Ma così non è. «Quanto successo (a Daraa) nell’ultima settimana è fonte di profonda preoccupazione – ha concluso Hillary Clinton – ma c’è una grande differenza tra l’invio dell’ aeronautica militare a bombardare la propria stessa gente, e azioni di polizia contro manifestazioni, per quanto l’uso della forza da parte della polizia possa essere eccessivo come tutti noi abbiamo potuto vedere». Insomma, sarebbe “il quanto” di violenza, il tipo di armi usate, non il fatto di seminare morti per le strade, a determinare l’opportunità o no di un “intervento umanitario”. Certo, se venisse fuori che “i bombardamenti di Gheddafi sui manifestanti” sono stati una bufala diffusa in giro dagli spin doctor della comunicazione occidentale (un po’ come le “armi di distruzione di massa” di Saddam), allora tutti dovrebbero rivedere il proprio giudizio sulle vere cause di questa guerra.

Ma una cosa è assolutamente chiara: se non ha petrolio sotto la poltrona, qualsiasi dittatore può stare tranquillo. Quelli che ce l’hanno, ma rispettano comandi dell’occidente, come sauditi e kuwaitiani, anche di più.

In Siria, nel frattempo, dopo dodici giorni di proteste senza precedenti, il regime torna a promettere la fine dello stato di emergenza in vigore da quasi mezzo secolo.

Non molla però la presa sulle piazze. L’esercito controlla Latakia, porto della regione nord-occidentale da cui proviene la famiglia presidenziale. Continuano anche le proteste nella città meridionale di Daraa, epicentro da ci ha preso le mosse la rivolta nel paese.

In attesa del discorso alla nazione del rais, Bashar al-Assad, la sua consigliera Buthayna Shaaban è apparsa ieri sugli schermi delle tv panarabe per assicurare che la direzione del Baath, al potere da 48 anni, ha deciso di abrogare la legge d’emergenza, in vigore dall’avvento dello stesso partito «arabo socialista». La decisione sarà formalizzata dopo l’approvazione della «legge anti-terrorismo».

Altre fonti ufficiali siriane hanno assicurato che «martedì prossimo», ossia domani, il governo siriano si dimetterà e che «entro la settimana sarà annunciata una nuova legge sulla stampa e un’altra sui partiti».

Per far questo, andrà cambiato l’articolo 8 della Costituzione, che dal 1973 affida al Baath il ruolo «di guida del Paese e della società».

Il ministro degli interni è oggi intervenuto in televisione e tramite l’invio di sms «ai cittadini», invitandoli a non partecipare ai raduni, definendo «menzogneri» e «tendenziosi» i relativi appelli e i volantini. Il governo attribuisce a imprecisate «bande armate» le violenze di questi giorni, dopo aver accusato «parti straniere» di aver armato e istigato i «gruppi di sabotatori» a Daraa e Samnayn. I media ufficiali affermano che ignoti uomini armati hanno ucciso ieri a Latakia 12 persone, dieci dei quali agenti di polizia.

Il regime sembra incerto anche sul “volto” politico da dare a queste “bande armate”. L’agenzia Sana aveva diffuso da ieri sera la notizia dell’arresto di un americano di origini egiziane, accusato di avere legami con Israele e di esser coinvolto negli scontri. In serata, invece, sempre il consigliere Shaaban ha puntato il dito contro i «fondamentalisti», confermando l’arresto nelle ultime ore di un certo numero di «stranieri».

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