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Le aspirazioni da sultano di Erdogan e il doppio gioco con Israele

Negli ultimi giorni il premier turco Recep Tayyp Erdogan e i suoi ministri sono impegnati in una vera e propria offensiva politica e diplomatica a tutto campo. Una ridda di dichiarazioni e iniziative volte a dare del governo di Ankara e della Turchia una immagine di protagonismo e forza, sia all’interno che all’esterno. Il primo ministro è intervenuto in particolare su due temi. ”Il potere (di perdonare un omicida, n.d.r.) appartiene alla famiglia della vittima, non a noi. Noi dobbiamo prendere i provvedimenti necessari” ha detto in dichiarazioni in cui si è detto favorevole alla reintroduzione in Turchia della pena capitale – abolita in tempo di pace nel 2002 e poi del tutto nel 2004 – per ‘reati gravi’. ”La pena di morte esiste negli Stati Uniti, in Russia, in Cina, in Giappone… Di qui noi dobbiamo ripensare la nostra posizione” ha spiegato.

Erdogan, celebrato in pompa magna dai suoi sostenitori per i dieci anni di governo, è impegnato in un tentativo di riforma costituzionale che farebbe della rampante Turchia una repubblica presidenziale, accentrando su di sé molti poteri attualmente detenuti da governo e parlamento.  Erdogan intende ripresentarsi nel 2014 alle presidenziali turche e governare il paese con i nuovi poteri esecutivi che verrebbero riconosciuti al capo dello stato. Ma l’opposizione naturalmente non è d’accordo, e i dirigenti del partito socialdemocratico, il Chp, hanno accusato il premier di voler imporre al paese la dittatura. Erdogan può contare su una maggioranza assoluta in Parlamento, ma non abbastanza larga da poter fare approvare la revisione costituzionale senza i voti di parte dell’opposizione. E così il suo partito, l’Akp, potrebbe tentare di bypassare il Parlamento proponendo un plebiscito popolare. “Recep Tayyip Erdogan vuole diventare il ’37/o sultano’ del paese” attacca il quotidiano turco Sozcu. La stessa accusa gli viene rivolta dall’ex amico Bashar Assad, ora vittima del protagonismo militare e diplomatico turco contro la Siria. ”Erdogan si crede il Sultano dell’impero ottomano” e vuole ”dominare la regione” ha accusato Assad nei giorni scorsi durante un’intervista Russia Today.

Ma il ‘protagonismo’ di Erdogan si dirige anche nei confronti dell’odiata Unione Europea, colpevole di aver ritardato sine die l’adesione di Ankara. Ci ha pensato l’ambasciatore turco in Italia, Hakki Akil, a spiegare al governo italiano e quindi indirettamente a quelli comunitari i vantaggi che deriverebbero da un ingresso del paese nell’UE: l’influenza di Ankara ha ormai superato la dimensione regionale e l’adesione all’Ue sarà un vantaggio, non un peso, ha spiegato Akil, sottolineando la centralità del ruolo turco sulle rive del Mediterraneo e in Medio Oriente, “dove troppe cose stanno cambiando per pensare di mantenere gli equilibri del passato”. “Non è possibile scrivere una storia europea senza la Turchia – ha ammonito il diplomatico turco – Credo, nello stesso modo, che la integrazione dell’Europa non si possa completare senza la Turchia”.

Oltre a scalare le posizioni nella classifica delle potenze economiche e politiche del pianeta – obiettivo più volte dichiarato da Erdogan – il premier vuole dimostrare di essere indispensabile sia a livello regionale sia per un rafforzamento ad est dell’Unione Europea. E anche nei confronti dei paesi del nord Africa e del Medio Oriente negli ultimi anni Ankara non ha nascosto le proprie mire egemoniche, ergendosi a paladina dei diritti del popolo palestinese e finanziando e sostenendo l’ascesa al potere di forze islamiste – in particolare in Egitto e Tunisia – che guardano a quello turco come a un modello di integrazione auspicabile tra islamismo e liberalismo.

Ma sul tema della questione palestinese l’Akp di Erdogan fa il doppio gioco, come hanno spesso avvertito le forze della sinistra turca. Se da una parte Ankara fa la voce grossa con Tel Aviv sul tema degli insediamenti coloniali ebraici nei Territori Occupati e sostiene le missioni umanitarie verso Gaza, dall’altra gli affari tra i due paesi non sono mai stati interrotti. E, nonostante la mai sopita crisi diplomatica esplosa tra i due ex alleati dopo la strage di attivisti turchi a bordo della Mavi Marmara nel 2010, Ankara ha ripreso ora la fornitura di equipaggiamenti militari alla Turchia. La società israeliana Elta System, che ha sviluppato i sistemi elettronici utilizzati dagli aerei spia turchi fabbricati dalla Boeing, ha deciso di riprendere la produzione di queste apparecchiature, sospesa a seguito della crisi politica tra i due paesi. Fonti citate dal quotidiano turco Hurriyet hanno spiegato che la decisione spiana la via alla consegna dei quattro aerei spia 737 AEW&C prodotti dalla Boeing, dal valore complessivo di 1,6 miliardi di dollari. Ma soprattutto, aggiunge il quotidiano turco, la decisione della Elta System potrebbe significare la fine dell’embargo israeliano sulla esportazione di equipaggiamenti militari alla Turchia, in vigore da due anni.

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1 Commento


  • alexfaro

    Per quello che riguarda la pena di morte in Russia,Erdogan ha detto una mezza bugia,
    infatti nella federazione Russa,la pena di morte anche se formalmente ancora in vigore,é stata sospesa dal 1996,in quanto da allora vige una moratoria,per cui non ci sono più state esecuzioni almeno fino ad oggi.
    un saluto comunista
    Alexfaro

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