E’ passata quasi inosservata l’intervista pubblicata ieri da La Repubblica (autrice Francesca Caferri) ad una delle icone del pacifismo internazionale “equidistante” tra Israele e Palestinesi.
Eppure si tratta di un’intervista molto istruttiva, quella allo scrittore israeliano Abraham Yehoshua, se non altro perché chiarisce definitivamente il suo pensiero e quello di buona parte delle classi dirigenti e intellettuali del suo paese. In sostanza, i palestinesi rinchiusi nel lager a cielo aperto che è la Striscia di Gaza sono tutti colpevoli, tutti possibili bersagli. Perché hanno votato ‘Hamas’.
Una giustificazione delle punizioni collettive che l’esercito infligge ai civili palestinesi che, con i tempi che corrono, potrebbe far meritare allo scrittore israeliano il Premio Nobel per la Pace…
Eppure si tratta di un’intervista molto istruttiva, quella allo scrittore israeliano Abraham Yehoshua, se non altro perché chiarisce definitivamente il suo pensiero e quello di buona parte delle classi dirigenti e intellettuali del suo paese. In sostanza, i palestinesi rinchiusi nel lager a cielo aperto che è la Striscia di Gaza sono tutti colpevoli, tutti possibili bersagli. Perché hanno votato ‘Hamas’.
Una giustificazione delle punizioni collettive che l’esercito infligge ai civili palestinesi che, con i tempi che corrono, potrebbe far meritare allo scrittore israeliano il Premio Nobel per la Pace…
«È tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. Ed agisca di conseguenza: smetta di fornire elettricità e far passare cibo. Dichiari ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza». Parole che non ti aspetti da Abraham Yehoshua, uno degli scrittori israeliani più famosi della sua generazione, a lungo icona del pacifismo. Oggi, deciso sostenitore della necessità di un intervento armato contro Gaza.
Signor Yehoshua, tornano le esecuzioni mirate. Qual è la sua reazione?
«Sono per principio contrario alle esecuzioni mirate. Non risolvono la questione. Questa azione arriva dopo giorni e giorni di lancio di missili sulle nostre città: e non credo cambierà nulla da questo punto di vista. Il fuoco continuerà e quindi questa sarà stata un’azione inutile. È questa considerazione che mi porta a dire che non si può trattare con Gaza come se fosse un territorio occupato o un gruppo di terroristi: Gaza è un nemico e come tale va trattato».
Cosa intende?
«Israele fornisce elettricità a Gaza, fa passare dal suo territorio cibo diretto a Gaza: e loro ci sparano. Se a spararci fosse la Siria, reagiremmo militarmente, non con esecuzioni mirate».
Sta invocando una guerra?
«Parliamo di uno Stato, che ha un suo esercito e lo usa contro di noi. Ha un senso scegliere quali sono i cattivi in questa situazione ed eliminare solo loro? Non funziona, lo abbiamo già visto. La situazione va chiarita una volta per tutte».
E quindi?
«Io non sono un militare, non posso fare strategie: posso dire che siamo già in uno stato di guerra, ci sono lanci di missili contro Israele tutti i giorni. Dobbiamo dichiarare ufficialmente che siamo in guerra ed agire di conseguenza. Non si può trattare Hamas come un gruppo terroristico: è un governo e deve essere considerato responsabile delle sue azioni».
E la gente? I civili? Lei sa bene che i civili sono sempre le prime vittime di una guerra.
«Le rigiro la domanda: la gente di Gaza pensa alla gente di Sderot, che vive sotto l’incubo dei missili lanciati da Gaza? La gente di Gaza sta partecipando alla guerra contro Israele: abbiamo ritirato i coloni, siamo andati via, perché continuano a spararci? È la gente di Gaza che ha eletto il governo di Hamas, che – lo ripeto – è un governo responsabile delle sue azioni.
In Israele questa situazione ha minato alle basi la fiducia nella possibilità di una pace con i palestinesi: gli israeliani oggi pensano che se si ritireranno completamente dalla Cisgiordania accadrà lì quello che già accade a Gaza. E che ci ritroveremo i missili a Gerusalemme e a Tel Aviv. Il comportamento di Hamas è uno dei più grandi ostacoli alla pace fra i palestinesi e gli israeliani».
Signor Yehoshua, lei ha parlato per anni della possibilità di una pace giusta fra israeliani e palestinesi. Ci crede ancora?
«Io penso che la pace non si fa con Gaza. Con il governo dell’Autorità palestinese c’è la possibilità di parlare: possiamo discutere di fermare gli insediamenti e di tornare alle frontiere del ‘67. Ma Gaza non risponde all’autorità del governo palestinese, Gaza è un’altra storia».
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