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Spagna. Riapertura industrie e nuovi “Patti della Moncloa”, Sanchez cerca l’unità che non esiste

Inizio della “fase 2” per l’industria e nuovi “Patti della Moncloa”, per affrontare il baratro economico-sociale che si va aprendo ai piedi del Regno di Spagna. Sono queste le due proposte su cui si è sviluppato il dibattito politico alla corte di “sua maestà” Felipe VI nell’ultima settimana.

Settimana caldissima, nella penisola iberica, dove il teatrino della politica assume i toni scomposti con cui siamo abituati a fare i conti anche nel nostro paese, ma conditi da quel sinistro sapore reazionario-nazionalistico spesso troppo goffo per essere invece credibile qui da noi, calcio a parte.

La settimana scorsa il premier Pedro Sanchez (Psoe) aveva annunciato una riunione con tutte le forze politiche per approntare un piano di uscita congiunto dalla crisi, che potesse rafforzare quell’unità nazionale fino a oggi riconosciuta solo nelle parole del Governo e nel protagonismo delle Fuerzas armadas de España per le strade e le tv del paese. Esercito che è un lascito diretto del fascismo franchista, così come lo è il padre del Re attuale, il “re emerito” Juan Carlos I, il Borbone.

La proposta del premier si ispira ai Patti della Moncloa dell’ottobre del 1977, durante la presidenza di Adolfo Suarez, con cui il paese, alle prese con un’inflazione galoppante, la crisi petrolifera e l’acuirsi delle lotte portate avanti dal movimento operaio, rispose alla dura congiuntura economica.

Nel palazzo madrileno i partiti legali misero appunto le linee guida per far fronte alla crisi senza consultare i sindacati, e quegli accordi economici furono il preludio alla più generale intesa costituzionale, perno della solo-formale transizione dal franchismo alla monarchia parlamentare.

A dispetto del nuovo assetto parlamentare e della costruzione delle Comunità autonome, non si registrò infatti alcun cambio nei vertici istituzionali, che concessero unilateralmente delle misure di democratizzazione della vita politica, senza intaccare il centro geografico e politico del potere: l’esecutivo post-franchista di Madrid.

Il precedente scelto dal “capo politico” del Psoe non è di certo uno di quelli neutrali, perché rimanda a un periodo di profondo smottamento sociale per il paese, risoltosi nelle torsioni su se stesse della maggior parte delle aspirazioni democratiche ed egalitarie delle comunità che abitano la penisola.

Ma, come anticipato, il teatrino della politica è sempre sul chi va là anche nel Regno, e l’uscita del Psoe ha dato nuova linfa alla destra all’opposizione, che soffia sul fuoco della destabilizzazione del governo, a sua volta alle prese con un calo dei consensi registrato nelle ultime settimane.

Il Partido popular (destra conservatrice) guidato da Pablo Casado, dopo aver rifiutato l’incontro di oggi per essere stato avvertito solo tramite la stampa del nuovo corso che si voleva imprimere, pare si incontrerà col premier solo la prossima settimana, ma ha già dichiarato di non aver nessuna fiducia nell’operato del governo, additando la proposta come una «manovra di distrazione di massa» dai madornali errori di gestione.

Contro la mancanza di dialogo si pronunciano anche alcuni gli alleati di Sanchez, come il Partido nacionalista vasco (Pnv), rappresentante delle borghesia della regione, tra i più duri critici delle restrizioni alla produzione imposte dal governo, e la Esquerra republicana de Catalunya (Erc), centro-sinistra indipendentista catalano, che assieme alla Generalitat della Comunità denuncia da settimane il “dirigismo” di Madrid nella gestione della pandemia.

Attacchi frontali invece tra Pablo Iglesias (Podemos) e i neofascisti di Vox, le due seconde formazioni più importanti rispettivamente della maggioranza e dell’opposizione, con il primo che ha richiamato il duo Pp-Vox a un abbassamento dei toni in rispetto della Carta costituzionale che garantisce la tenuto dello Stato attuale, mentre Vox ha chiesto direttamente le dimissioni de governo.

In questo clima da “botte da orbi”, le azioni di governo confermano tuttavia il “doppiopesismo” con cui si sta operando nei confronti del paese. Da una parte, il confinamento e le restrizioni individuali sono confermate fino al 10 maggio, mentre dall’inizio di questa settimana è iniziata la “fase 2” per una serie di settori produttivi non essenziali impossibilitati alla produzione fino alla scorsa Pasqua.

Seppure Sanchez neghi il superamento della prima fase, tuttavia appare tale la graduale riapertura per una serie di attività, nonostante la “curva” dei contagi sia ancora nel suo punto più alto (giorno più giorno meno): cui invece fa il paio il doppio registro – in piena sintonia con il fallimentare modus operandi del nostro governo – tenuto nei confronti delle libertà di spostamento individuali.

C’è da dire che il “Decreto reale” con cui si metteva in «letargo» l’economia del Regno era risultato un po’ più stringente di quello redatto dal nostro Consiglio dei ministri. Non tanto nelle attività “salvate” dalla chiusura, quanto nelle possibilità di chiedere la deroga mediante autocertificazione ai prefetti.

spagna 15 aprile cartina contagiE allora questa misura sembra inserirsi propria in quella “faglia”, permettendo al settore industriale e delle costruzioni di riaprire i battenti, certo “rispettando” gli obblighi di indossare le mascherine, mantenere distanza di sicurezza e garantire sanificazione degli ambienti.

La Stampa riporta che già martedì, nella sola Comunità autonoma di Madrid, erano 300mila i lavoratori rientrati a pieno regime. Se non vi saltano immediatamente alla memoria i risultati di queste disposizioni in Val Seriana, leggete troppo poco questo giornale…

Alla soddisfazione della Confindustria spagnola (Ceoe), cui Sanchez ha chiesto anche una mediazione per convincere Casado a collaborare con la maggioranza, fanno da contraltare i gelidi numeri del secondo paese più colpito al mondo dal Covid-19.

A ieri si contavano 177mila contagi e più di 18mila decessi nel paese, triste secondo posto “europeo” che lo posiziona nel mondo oramai dietro solo agli Stati Uniti e l’Italia, pur con tutte le riserve del caso sui numeri ufficiali (diffidenza valida per i conteggi in tutti i Paesi).

Come se non bastasse, martedì ci ha pensato anche l’Outlook del “Fondo monetario internazionale” ad allontanare la luce dal fondo del tunnel, prevedendo l’impennata del debito pubblico al 113% del Pil per il 2020. Non una buona notizia, qualora fosse confermata, in vista della contrattazione in corso sul “fronte europeo”, che pone l’area mediterranea sempre più alla mercé dei voleri dell’“osso tedesco”.

La “Settimana santa” è oramai alle spalle, ma la “passione” che invece investe le varie comunità del Regno fa ancora sentire tutto il suo peso.

E anche qui, come nello stivale, la fine non sembra dietro l’angolo.

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