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USA: si prepara il più grande sciopero della storia statunitense

“There’s an appetite to fight the boss” (Sean O’Brian, dirigente dei teamsters)

Se entro la fine di luglio non verrà trovato un accordo sul rinnovo del contratto, i 340.000 lavoratori del gigante della logistica statunitense UPS – organizzati dall’International Brotherhood of Teamsters (IBT) – entreranno in sciopero.

Dopo la rottura del tavolo negoziale a metà della settimana scorsa inizio a gennaio di quest’anno, per cui azienda e organizzazione sindacale si accusano reciprocamente, si avvicina la scadenza fisiologica del contratto del 31 luglio senza che siano per ora stati programmati altri incontri tra le parti.

Le richieste da parte dell’ITB sono chiare: migliorare le condizioni salariali in un contesto in cui l’inflazione continua a mordere mangiandosi il potere d’acquisto, eliminare il “two-tier system” che crea una differenza di trattamento tra vecchi e nuovi assunti, aumentare i lavori a tempo pieno in una azienda che fa ampio uso di lavoratori part-time, incrementare la sicurezza e la salute sul posto di lavoro, una protezione più forte di fronte ai metodi marziale della gestione e controllo del personale…

Le trattative avevano raggiunto un accordo di massima su alcuni punti qualificanti senza che l’azienda avesse fatto una contro-offerta soddisfacente.

Qualora i lavoratori si astenessero dal lavoro – ipotesi votata con il 97% dei consensi già a giugno e per cui si stanno preparando organizzando “picchetti di prova” da una costa all’altra – si tratterebbe del più grande sciopero in una azienda privata della storia degli Stati Uniti, nonché di un possibile punto di svolta per il nuovo movimento operaio americano.

Il fiume carsico della lotta di classe che è riemerso durante la pandemia ha proseguito il suo corso da Starbucks ad Amazon fino ad Hollywood!

Nel 1997 gli allora 185 mila teamsters – diretti dalla leadership militante di Carey divenuto presidente nel 1991 – scioperarono per 15 giorni con le parole d’ordine: Part-time america won’t work vincendo una vertenza che costrinse l’azienda a creare 10 mila impieghi fissi dalle 20 mila posizioni di part-time.

L’azione dei lavoratori mostrò allora l’importanza della logistica nella catena del valore delle merci, la possibilità di aggredire la condizione di precarietà lavorativa che il nuovo ciclo di accumulazione neo-liberista aveva imposto ad una ampia fetta della classe operaia costringendola alla flessibilità di falsi part-time, la facoltà di colpire la dove fa più male facendo perdere all’azienda ben 850 milioni di dollari.

Dopo un quarto di secolo il mondo è cambiato.

La package delivery è molto più importante di ciò che era per l’economia nel suo complesso da cui è molto più dipendente – non solo per ciò che concerne il commercio digitale – , basti pensare che la sola UPS movimenta il 6% del PIL statunitense ogni giorno.

Inoltre il settore impiega attualmente negli USA 1,1 milioni di lavoratori, cioè il doppio del 1997.

Nel 1997 – sembra un secolo fa – le persone compravano nei negozi negli USA, Amazon vendeva esentasse libri per corrispondenza ed i giganti del retail statunitense Target e Wallmart non offrivano servizi di vendita on line…

Le politiche di zero-stock nei magazzini fino ad ora attuate, quindi,  oggi non porterebbero solo problemi alla consegna finale di un prodotto, ma al ciclo delle merci nel suo complesso.

Una fragilità della globalizzazione neo-liberista che abbiamo visto con la rottura della mercato mondiale delle merci con la mancanza di alcune componenti e che potrebbe essere amplificazione dall’azione organizzata dei lavoratori.

Nell’UPS – a causa degli arretramenti della precedente dirigenza  della IBT succeduta a Carey e manifestatasi nei rinnovi contrattuali del 2013 e del 2018, nonché della situazione di classe nel suo complesso – il 60% della forza lavoro, specialmente nei magazzini, è part-time e costretta a ritmi massacranti con una costante pressione dei capi, prende poco più del minimo salariale, mentre gli autisti che lavorano 6 giorni la settimana talvolta per 10-12 ore al giorno, sono costretti a fare straordinari forzati anche il giorno di riposo, ed hanno i mezzi inadatti per le avverse condizioni climatiche.

Il retro dei dei 94 mila mezzi che guidano si trasformano in “forni”  in caso di alte temperature con le relative conseguenze sulla salute: 143 infortuni – alcuni mortali – verificatesi tra il 2015 ed il 2022 sono collegati alle temperature ultra-elevate riporta un’inchiesta pubblicata da Time.

L’azione dei teamsters all’UPS potrebbe avere un riverbero positivo per il processo organizzativo dell’intero settore, in particolare rispetto agli autisti di Amazon che sta cercando di sindacalizzare, o gli altri magazzini in cui l’Amazon Labor Union è entrata in un magazzino a New York o sta cercando di entrare da altre parti.

Come ha dichiarato, riferendosi ai Teamsters, Art Wheaton, direttore dei Labor Studies all’Università di Cornell, al sito di informazione Vox: «la cosa migliore che possono fare per aiutare a organizzare Amazon è conseguire una grande vittoria all’UPS».

Quello che inizierà quindi, con ogni probabilità, il primo agosto sarà uno sciopero storico.

Un pezzo di Wall Street si confronterà contro una delle porzioni più militanti del movimento operaio organizzato che è un oggettivo impedimento per il rilancio del processo di accumulazione dentro la crisi capitalistica.

Il 72% delle azioni di UPS è infatti di proprietà di aziende quotate a Wall Street, con Vanguard Capital e BlackRock come maggiori azionisti di maggioranza.

In pratica l’oligarchia finanziaria statunitense che possiede gli stessi competitor di UPS come FedEx e le ferrovie.

Questa vertenza non è solo una questione interna alla dinamica tra capitale e lavoro nella UPS ma è uno scontro su come l’oligarchia finanziaria intende governare il sistema le relazioni industriali nel comparto logistico nel suo complesso cercando di imporre il “grado zero” di sindacalizzazione con l’union busting ad Amazon dove gli autisti sono pagati il minimo sindacale e gli vengono tagliate le ore la settimana successiva se non raggiungono la settimana precedente standard produttivi inumani; eliminando l’assunzione e passando al 100% al modello del sub-appalto come in FedEx.

Come affermano Sean Orr ed Elliot Lewis in UPS Teamsters are ready to strike co-pubblicato su Labor Notes e Jacobin: «Wall Street non vuole solo profitti. Vogliono il potere (…) Lavorano costantemente per creare le condizioni economiche per fare profitto, e non c’è migliore condizione per questo che smobilitando e dividendo la classe lavoratrice».

Contrapporre autisti a magazzinieri, fissi a part-time, lavoratori di una ditta di cui sono proprietari a quelli di un’altra di cui sono sempre i proprietari, ecc. è ciò che stanno facendo.

Ma il gioco non sembra reggergli più.

Questo anche perché l’iniziativa dei lavoratori è il prodotto di un processo organizzativo duraturo e capillare che sta ponendo le condizioni per la sua realizzazione e la sua riuscita che dura da anni.

L’attuale leadership che ha “scalzato” quella molto più arrendevole di James P. Hoffa, è il risultato di una battaglia interna che ha visto coinvolta la corrente progressista e di base: il caucus Teamsters for a Democratic Union che ha battagliato non poco ma che ha imposto i temi su cui si è costruita la vertenza contrattuale tra i lavoratori ben prima che iniziassero i colloqui tra le parti, e che era già riuscita nel 2018 a respingere il precedente contratto firmato dal figlio del padre-padrone dei teamsters con il 54% dei voti.

Una bocciatura che non ha avuto effetti pratici perché occorrevano almeno 2/3 dei voti per essere formalmente respinta.

A dirigere il milione e trecentomila iscritti c’è Sean O’Brian della ITB , un ex autista di una famiglia di driver  da 4 generazioni iscrittosi al sindacato a 18 anni quando lavorava con i carichi pesanti nell’area di Boston, e che si definisce “militant”.

Non un sotto-prodotto del corrotto gangsterismo sindacale di Hoffa e figlio, insomma.

Tutti gli analisti del settore sono pressoché concordi nell’affermare che lo sciopero se dovesse essere “romperà” la catena logistica.

I soggetti che dominano questo settore dell’economia a livello statunitense sono 3 oltre all’UPS: FedEX, U.S.Postal Service e Amazon Logistics.

Nel 2021 il delivery market era dominato da queste quattro aziende con le seguenti percentuali: 37% per l’UPS, 33% per la FedEx, USPS 17% e Amazon Logistics il 12% stando ai dati di Pitney Bowes Parcel Shipping Index.

I concorrenti non potranno che sopperire al massimo e nella migliore della ipotesi per 1/5 alla mancanza di capacità di consegna di UPS che ha recapitato in media 24,3 milioni di pacchi al giorno nel 2022.

Il 40% del giro d’affari dell’azienda è “business to business” e quindi svolge un ruolo fondamentale nel processo di rotazione della merce e non solo nella consegna al dettaglio di un prodotto acquistato dall’e-commerce, dove comunque gestisce 1/5 dei resi complessivi di questa branca.

L’azienda ha macinato profitti, acquisendo una posizione di leadership nel settore grazie alla pandemia mentre i lavoratori ritenuti “essenziali” rischiavano la vita nei magazzini – dove lavora la maggior parte dei part-time – e facendo consegne, consolidando il proprio primato in un contesto di cambiamento climatico in cui magazzinieri e conducenti sono stati costretti ad operare in condizioni di caldo estremo senza che UPS fosse attrezzata per mitigarne non solo il disagio ma le ricadute, talvolta tragiche, di quella condizione climatica.

Secondo quanto riportato da Reuters la UPS ha guadagnato 8,2 miliardi di dollari nel 2019, 8,7 nel 2020, 13,1 nel 2021 e 13,9 l’anno scorso.

La sete di profitto dovrà placarsi di fronte all’azione dei lavoratori – sta all’azienda scegliere se farlo prima dello sciopero o quando le perdite si faranno sentire – anche in considerazione dell’ampia rete di solidarietà che si sta costruendo attorno ai Teamsters.

Come ha detto un organizzatore durante la preparazione dello sciopero della sezione 705: «WE KICKED THEIR ASS IN 1997… THEY WANT A REPEAT».

La traduzione ci sembra superflua.

 

 

 

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