Pare abbastanza chiaro, qualche ora dopo l’audizione al Parlamento europeo, che Mario Draghi sia ancora chiuso in una stretta. Ma che stia continuando ad allargare i margini della sua azione possibile. Il punto di svolta è per tutti il 12 settembre, quando la Corte costituzionale di Karlsruhe si pronuncerà sulla compatibilità del fondo salvastati Esm con la Costituzione tedesca. E’ curioso, ma nessuno sembra voglia rifletterci sopra, che mentre tutti i paesi d’Europa – volenti o nolenti, più o meno velocemente – sono costretti a inserire il “pareggio di bilancio” nelle propria carte costituzionali, la Germania proceda all’opposto, approvando soltanto quegli accordi europei che non violano la sua Costituzione. Si potrebbe dire senza problema che tutti i paesi stanno cedendo sovranità e strumenti operativi di politica economica, tranne la potente Berlino. Che infatti, grazie agli spread altamente favorevoli, continua a finanziarsi gratis sui mercati, mentre – per esempio – Spagna e Italia debbono pagare rispettivamente il 7 e il 6% per fare la stessa cosa. Strozzandosi con le proprie mani.
Draghi ha confermato, in sostanza, di voler riprendere a comprare titoli di stato dei paesi europei in debito d’ossigeno finanziario. Ma con due limitazioi importanti: solo titoli a breve scadenza (massimo tre anni) e in cambio di “condizionalità strette” per i paesi che saranno in tal modo “aiutati”.
Un compromesso tra la linea di gestione della crisi che pretende di trasformare la Bce in una “vera banca centrale”, autorizzata dunque ad agire come “prestatore di ultima istanza” (sul modello della Federal Reserve statunitense), e quanti – Bundesbank – vorrebbe mantenwre lo squilibrato sistema attuale che ha tanto favorito l’economia tedesca.
Un work in progress che tra strappi e mediazioni sta comunque ridisegnando la mappa dei poteri europei, svuotando quasi completamente gli stati nazionali e attribuendo funzioni “sovrane” a organismi sottratti a qualsiasi verifica democratica. Le “condizionalità” imposte ai paesi aiutati sono sempre le stesse: “riforme strutturali” nella forma di tagli di spesa, distruzione del welfare nazionale, distruzione della legislazione di protezione del lavoro, abbassamento drastico dei livelli salariali (graziosamente definito “deflazione interna”).
Impagabile, in questo scenario, le capacità recitative di Angela Merkel, che per rabbonire i bavaresi della Csu, non ha trovato di meglio che strillare contro “i mercati che non sono al servizio del popolo”. Vi consigliamo, a parte, lo scoppiettante corsivo di Alessandro Robecchi.
Per informazione, invece, come alcuni quotidiani hanno riportato il discorso di Draghi.
Una Merkel no global
Francesco Piccioni
Merkel ha indossato per un giorno i panni no global per riconquistare i suoi scalpitanti alleati cristiano-sociali di Baviera. Nelle stesse ore Mario Draghi, presidente della Bce, veniva «controinterrogato» dagli eurodeputati all’interno del Parlamento europeo sulle misure che sta per prendere per «salvare l’euro».
L’udienza di Bruxelles era a porte chiuse, così il Draghi-pensiero è stato riportato da volenterosi deputati. Poi, in serata, le agenzie hanno potuto ascoltare il discorso registrato. La notizia-bazooka è che la Bce considera l’acquisto dei titoli di stato «fino a tre anni» come perfettamente legittimo alla luce dei trattati europei; «non è creazione monetaria», ha precisato. La distinzione è sulle scadenze: se la Bce comprasse bond a lungo termine «ci troveremmo in una situazione molto delicata, ma se compriamo titoli a breve termine, con scadenza a 1, 2 o anche tre anni, l’effetto di finanziamento monetario è quasi nullo». Insomma, «ciò che la Bce sta facendo è la strada per rispettare il nostro mandato: mantenere la stabilità dei prezzi».
Ma ha anche avvertito che la Bce non può farlo «in una situazione molto frammentata com’è quella attuale dell’eurozona, caratterizzata da paesi in cui c’è molta liquidità e paesi in cui ce n’è poca». In questa realtà «i cambiamenti nei tassi di interesse riguardano solo un paese, al massimo due; ecco perché dobbiamo ricostruire l’eurozona» superando la frammentazione.
Quindi la Bce si appresta ad acquistare bond (spagnoli e italiani, in primo luogo) «sul mercato secondario», ma imponendo allo stesso tempo «condizionalità strette e effettive» ai paesi interessati. Perché è vero che «certi paesi hanno fatto sforzi enormi per le riforme economiche, ma non possiamo escludere» che possano fermarsi a causa della «fatica del risanamento».
Ma davvero questa operazione non è «creazione di moneta»? Nelle alchimie contabili si nascondono molti diavoli; se la Bce conteggia i titoli di stato a breve termine come «massa monetaria», allora l’affermazione ha un senso. Ma molti economisti potrebbe legittimamente affermare che si tratta solo di un gioco di parole che copre la creazione di nuova moneta. In ogni caso, il segnale politico è stato chiaro («la Bce interverrà presto», con le borse subito a festeggiare), delineando in parte le proposte che giovedì lo stesso Draghi presenterà al board di Francoforte.
Nel pacchetto ci sarà probabilmente anche una proposta di sorveglianza bancaria molto digeribile per i tedeschi, che non vogliono assolutamente l’occhio critico della Bce a curiosare sulle loro landesbanken. Draghi ha parlato infatti di una «soluzione mista», con Francoforte a vigilare sui 25 (o forse qualcuno in più) grandi istituti «a rischio sistemico», mentre le circa 6.000 banche di dimensioni medio-piccole dovrebbero restare nel recinto delle banche centrali nazionali.
Draghi ha inoltre bocciato l’ipotesi che il fondo salvastati Esm possa ricevere una licenza bancaria: «sarebbe un finanziamento diretto agli stati». Ha così tolto di mezzo l’ultimo teorico appiglio a una improbabile bocciatura dell’Esm da parte della Corte costituzionale tedesca, la cui sentenza attesa il 12 settembre. Lo stesso ministro delle finanze, Wolfgang Schaeuble, si è detto ieri «sicuro» di una sentenza positiva.
È stata invece Angela Merkel a seminare panico tra i paladini del liberismo finanziario: «i mercati non sono al servizio del popolo», negli ultimi cinque anni «hanno consentito a poca gente di arricchirsi a spese della maggioranza». Addirittura «non bisogna consentire ai mercati di distruggere i frutti del lavoro della gente». Possibile sia lo stesso premier che ha consegnato la Grecia e il suo popolo alla devastazione generale? Certo che sì. I governi, secondo il suo discorso di ieri, «non devono dipendere dai mercati a causa del loro debito eccessivo». Ma se si sono indebitati troppo allora bisogna riportarli sulla retta via, a suon di «riforme strutturali» dolorose, vendita degli asset pubblici, privatizzazioni, ecc.
«La vera questione riguardo alla democrazia è questa – ha spiegato – possiamo in Germania e in Europa vincere le elezioni quando congiuntamente stabiliamo di avere finanze solide e quando non spendiamo più di quello che incassiamo?». Sorge il sospetto che chi non rispetta la seconda frase dovrà fare a meno anche della democrazia, ritrovandosi un «programma di governo» scritto altrove e contro.
da “il manifesto”
Il sentiero stretto di Francoforte
Adriana Cerretelli
«Oggi è il suo compleanno. Niente domande, per favore, sulle misure che il Consiglio della Bce intende adottare giovedì prossimo»: Sharon Bowles, presidente della commissione Affari economici e monetari, ha voluto fare questo “regalo” a Mario Draghi, approdato ieri a Bruxelles per la consueta audizione mensile all’Europarlamento, eccezionalmente a porte chiuse.
Ci è riuscita solo a metà. A 48 ore dalle attesissime decisioni di Francoforte, la tensione Nord-Sud si taglia con il coltello tra i 17 dell’euro, con la Bce nel collimatore. E il suo presidente che sceglie di ribadire con forza la linea già espressa il 2 agosto scorso. In breve, no al finanziamento monetario degli Stati membri ma sì all’acquisto sul mercato secondario di bond a maturità ridotta (fino a tre anni) dei Paesi in difficoltà, perché sono titoli dalla vita troppo breve per poter essere equiparati alla “creazione di moneta”. E comunque previa stretta condizionalità, se e quando gli interessati ne faranno esplicita richiesta.
Nonostante raccolga il consenso della larga maggioranza del Consiglio della Bce e il placet di Angela Merkel, la linea Draghi, si sa, non piace affatto alla Bundesbank, l’azionista di maggioranza. E nemmeno alla truppa della Cdu-Csu che sostiene il cancelliere e che ieri a Bruxelles ha alzato la voce per contestarla forte e chiaro, anche se subito rintuzzata con altrettanto vigore dall’ex governatore della Banca d’Italia: «Non sono un avvocato ma secondo il parere dei giuristi la nostra interpretazione è in sintonia con i Trattati Ue».
Non sono stati solo i democristiani tedeschi a fare la fronda ma anche socialisti e verdi, a riprova che la Germania è già in campagna elettorale e che gli umori della sua opinione pubblica restano ostili, allergici a tutti i rischi (veri e presunti) che il salvataggio dell’euro possa comportare. La doccia gelata comunque ieri non è arrivata tanto da Bruxelles quanto da Berlino. «Dobbiamo stare molto attenti a non alimentare troppe false aspettative che sono una delle ragioni del nervosismo dei mercati», ha avvertito Wolfgang Schäuble. Ribadendo che «la politica monetaria non va utilizzata per finanziare il debito pubblico, quindi ogni mossa del genere va stroncata sul nascere con fermezza».
Gioco delle parti tra il cancelliere e il suo ministro delle Finanze? Forse. Ma dopo la quiete d’agosto, il vulcano della crisi torna a fumare minacciando nuove eruzioni. Perché il sentiero in cui la Bce si può muovere è strettissimo. E quello della politica a qualsiasi latitudine europea, da Berlino ad Atene passando per Madrid e Roma, lo è almeno altrettanto. Lo scudo anti-spread diventa necessario in un mercato europeo frammentato dove la percezione dei rischi, spesso arbitraria, distorce i tassi, con il risultato che i Paesi in ginocchio si ritrovano a finanziare quelli che stanno molto meglio di loro, approfondendo i divari Nord-Sud invece di favorire la convergenza.
Questa logica però stenta a passare in Germania nonostante la buona volontà della Merkel. In Spagna e in Italia d’altra parte incontra più riserve che entusiasmi perché continuano a non essere chiari i paradigmi della condizionalità allegata. Dopodomani Draghi dovrebbe svelarne gli arcani, anche se il fuoco di fila tedesco e la necessità di cercare di non tagliare la corda con la Bundesbank potrebbero alla fine partorire un decalogo di misure troppo indigesto, politicamente e socialmente impercorribile soprattutto in tempi di recessione. Quindi inutile nei fatti e controproducente.
Come riuscire ad evitarlo, superare la crisi e far ripartire l’Europa è il grande dilemma della Bce. E dei Governi che le stanno alle costole con il loro bagaglio di interessi contraddittori e di ambizioni in perenne conflitto.
da Il Sole 24 Ore
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