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Società di calcio, ultrà, ‘ndrangheta e polizia

Stasera ho visto l’inchiesta di Report sui legami fra Juventus, gruppi ultras e ndrangheta. L’inchiesta – dettagliata ed efficace a tratti, anche se un po’ ammiccante e confusa nell’esposizione dei fatti e dei personaggi – ha fatto scalpore e ha prevedibilmente provocato due reazioni opposte: il sempreverde “Juve merda” a cui fa eco il mantra “la Juve è parte lesa”.

Ora, lungi da me addentrarmi nei meandri dell’indagine, o criticarne aspetti pure significativi (come la rappresentazione, parziale e tutta in linea con la repressione, del mondo ultras). Mi preme invece sottolineare un aspetto che emerge bene, anche se poco valorizzato.

Mi riferisco al “sistema” che viene rappresentato, che ha tre attori principali: la società, le forze dell’ordine, i capi ultras vicini alla ndrangheta.

Sinteticamente: la società passa i biglietti ai capi ultras per tenerseli buoni ed evitare contestazioni o multe, i capi ultras fanno bagarinaggio e quindi partecipano alla spartizione della torta sulle spalle dei tifosi e dei loro stessi accoliti, ai quali impongono i tempi, i modi, i soggetti delle contestazioni; le forze dell’ordine trattano con questi loschi personaggi sapendo benissimo chi sono: a volte li assoldano per avere informazioni, altre volte contrattano la pace sociale, altre volte li reprimono se si crea il caso…

Questi tre attori – a cui aggiungerei quello mediatico, anch’esso ambiguo, perché può far montare il caso repressivo ma anche valorizzare commercialmente lo spettacolo del tifo – godono di una relativa indipendenza, possono trovarsi in disaccordo, possono anche entrare in conflitto, ma sono in fin dei conti solidali perché accomunati da uno stesso interesse: che il business vada avanti, e che ogni potenziale minaccia al business – ad esempio: tifosi che facciano di testa propria, inchieste delle forze dell’ordine sui capitali societari – sia spenta sul nascere. Tutti gli attori hanno questa consapevolezza, e infatti nelle intercettazioni sembrano prendere tutto come un gioco, anche se tragico. Ognuno deve recitare la sua parte – “così va il mondo”.

Quello che è interessante è che questo sistema è molto simile a quello che ci troviamo di fronte quando analizziamo materialisticamente il resto della società o la vita dei quartieri popolari (d’altronde in un bel libro di qualche anno fa, Stadio Italia. I conflitti del calcio moderno, si mettevano giustamente in rapporto la struttura e le trasformazioni del mondo del calcio con quelle della società italiana).

Anche nella nostra società l’imprenditoria legale (la dirigenza della squadra di calcio) intrattiene stretti legami con l’imprenditoria criminale (i capi ndranghetisti), che sfruttano manovalanza più o meno bisognosa di sopravvivenza, di affetti o vogliosa di scalata sociale (gli ultras) con il tacito assenso delle forze dell’ordine che stanno lì soprattutto a impedire che qualcosa turbi gli affari.

Per darvi un esempio: a Rione Traiano la più grande piazza di spaccio di Napoli sta a poche centinaia di metri da una gigantesca caserma dei carabinieri, ma è tutto normale, ognuno si fa i fatti suoi, perché lo scopo delle forze dell’ordine non è certo mettere fine al commercio della droga.
Sradicare quel commercio, cosa che si potrebbe fare in due settimane, vorrebbe dire ostacolare la circolazione di capitali – che sono invece funzionali anche l’imprenditoria legale – e soprattutto togliere di mezzo un elemento di redistribuzione della ricchezza e la legittimità dei capibastone che garantiscono tutto sommato la pace sociale.

Vi immaginate il Rione Traiano senza droga? E di che vivrebbe molta gente? Non pensate solo a quelli direttamente legati ai traffici, che sono un’estrema minoranza, ma a quelle economie di prossimità che ne beneficiano… Senza quel modo di arrangiarsi o per alcuni quella prospettiva di arricchimento, chiederebbero lavoro, forse. Si ribellerebbero. Lo Stato dovrebbe intervenire dando qualcosa, ovvero togliendo qualcosa al privato. Per ottenere cosa, poi? Scuole, lavoratori, soggetti critici, consapevoli della loro forza?

Meglio tenere tutto così. Anche se ogni tanto ci va di mezzo qualche ultras o qualche giovane di quei quartieri ucciso dalle forze dell’ordine (ricordate Davide Bifolco?) o dalle bande rivali. Anche se la maggioranza dei proletari non direttamente legata a questa bande, sia allo stadio che nei quartieri, per lo più ne subisce controvoglia la presenza…

Purtroppo Report non arriva a spingersi a questo paragone, né tantomeno offre una soluzione al problema specifico che presenta, perché dopo aver additato il Sistema sembra ritrarsi, come fanno sempre tutti i riformisti, davanti al mostro. Come l’antimafia istituzionale, che non mette in discussione la dinamica ma solo gli esiti, la risposta starebbe in una repressione maggiore e più “pulita”. Non si dice che magari è proprio sulla figura apicale della catena che bisognerebbe intervenire, sull’intreccio mediatico-societario-istituzionale, sul meccanismo di accumulazione economica che produce tutte le storture che si producono poi in basso.

Un calcio senza padroni, senza società quotate in borsa ma magari governate da azionariato popolare,una FIGC sotto controllo popolare, senza spezzatini televisivi e capitali miliardari, con meccanismi di autoregolazione interna e democratica della comunità dei tifosi, non eviterebbe tutti questi mostri?

Ecco, io spero, anche se è difficile, che la puntata di Report, muovendo da un tema popolare, spinga a una critica complessiva non solo del sistema calcio, ma del Sistema Italia. E che anche chi non è solitamente interessato alla politica possa provare il desiderio di ribellarsi a tutto questo schifo….

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