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Recrudescenza pandemica e crisi sistemica. Un passo verso la barbarie o il Socialismo

I recenti scontri di Napoli segnano un passaggio significativo nella percezione di massa della nuova ondata pandemica che sta sconvolgendo l’Europa e il nostro paese.

La rabbia espressa nelle piazze del capoluogo partenopeo è solo la punta dell’iceberg di un malessere molto diffuso, che troverà nelle metropoli e soprattutto nei territori del Sud elementi di amplificazione sociale precipui del modello di sviluppo del nostro paese, che ci ritorna osservando cronologicamente la cartina dell’epidemia stessa.

Dopo l’epicentro lombardo (che continua), il virus si è spostato nelle zone di vacanza, dove il governo Conte ha permesso all’industria turistica di aprire tutto durante la fase estiva.

Eufemisticamente, il virus ha seguito “i soldi” ed ora è omogeneamente diffuso in tutta la penisola.

L’ultimo DPCM ha scatenato finalmente la piazza, aprendo potenzialmente la strada ad una fase di conflittualità che non si era data nei primi mesi di pandemia, se non sporadicamente e in forme individuali o di piccoli gruppi.

La composizione sociale dei protagonisti delle proteste ci conferma i punti di debolezza sia della capacità di controllo degli esecutivi (non solo in Italia), sia l’inadeguatezza delle strutture organizzate anticapitaliste e di classe che ancora resistono sui territori. Occorre evidentemente un adeguamento “in corsa” del modo di stare nelle future lotte che si determineranno nel prossimo futuro, a partire dai comunisti.

Ma più che analizzare le future “forme di lotta”, a noi compete fare molto schematicamente il punto sullo stato della crisi del Modo di Produzione Capitalistica (MPC) in questa fase di ulteriore recrudescenza della pandemia a livello planetario.

Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, la pandemia non ha fatto che accelerare una crisi capitalistica di lunga lena, che ha trovato un punto di non ritorno già nella prima metà degli anni ’70 del secolo scorso. La crisi finanziaria del 2008, con il crollo della Lehmann Brothers e il conseguente effetto domino a livello planetario, aveva già evidenziato l’asfittico meccanismo di ripresa di un modello in crisi di egemonia a livello economico, sociale, di rappresentanza politica e di gestione dell’ecosistema.

La crisi di oggi, determinata da un fattore apparentemente “naturale”, ha innescato un ulteriore giro di boa di questa lunga agonia, che vede come protagonisti principali i grandi poli imperialisti, in primis quello statunitense.

Indipendentemente dal risultato del voto per il rinnovo della Presidenza del colosso d’oltre Oceano, la crisi di egemonia dell’imperialismo militarmente più potente a livello globale si approfondisce sempre più, sia per la strisciante guerra civile interna, sia nei vari scacchieri geopolitici.

Un declino che ci pare direttamente proporzionale alla tenuta ed al rilancio dell’economia cinese, capace in questi mesi di mettere sotto controllo il Covid 19 e conseguentemente rilanciare le proprie economie, a tassi di sviluppo che sfiorano il 5%.

Una condizione ottimale, quella cinese, per occupare nuovi spazi di mercato, accorciando ancora di più il differenziale di potenza che la distanziano dall’avversario occidentale.

Come Rete dei Comunisti cercheremo nei prossimi mesi di approfondire l’analisi della “anomalia” cinese, di un paese cioè che pur essendo governato da un Partito Comunista ha usato le leggi del “libero mercato” per raggiungere i traguardi di cui stiamo parlando.

Ciò che ci interessa ora è evidenziare come questo sistema economico anomalo e spurio rispetto al classico modo di sviluppo capitalistico sia stato in grado di debellare una pandemia che ancora affligge gran parte del pianeta, insieme ad altri paesi socialisti come Cuba, Venezuela, Vietnam, Kerala (India).

In un contesto di crisi che mette in dubbio la governabilità occidentale, l’evidente alterità che emerge tra modelli mette di nuovo i comunisti nelle condizioni di indicare il Socialismo come possibile fuoriuscita da una crisi che non vede soluzione se non in un cambio radicale di paradigma socio/economico.

Questa riteniamo sia la posta in gioco per la quale spendere il ruolo di orientamento dei comunisti nei conflitti che si svilupperanno nel prossimo futuro, all’interno del sindacalismo di classe e delle organizzazioni politiche più recettive al conflitto anticapitalista e rivoluzionario, ma anche tra le avanguardie più disponibili alla lotta.

Un ruolo che nel nostro continente si declina attraverso la parola d’ordine della rottura dell’Unione Europea, per la costruzione dell’Alba Euro–Afro–Mediterranea, cioè dello sganciamento dei paesi del Sud Est Europa, del Maghreb e dell’Africa sub sahariana dal giogo imperialista e colonialista dell’Europa dei padroni e della grande finanza.

Nel vivo delle lotte contro la gestione criminale della crisi pandemica dovremo essere in grado di rendere comprensibili e “appetibili” questi obiettivi e parole d’ordine, rifuggendo da ogni scorciatoia economicista e vertenziale che non si ponga l’obiettivo della alternativa di sistema.

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