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La Procura di Torino intercetta persino gli avvocati difensori

Quando qualcuno scriverà la storia della trasformazione di questo paese in una “democratura” fondata sul diritto della forza – anziché sulla “forza del diritto” – un posto particolare verrà dato probabilmente alla azione della Procura di Torino, da molti anni a questa parte.

Parliamo della Procura che ha perseguitato sistematicamente i No Tav, che tratta Alfredo Cospito peggio del più sanguinario dei mafiosi, ecc. Parliamo più precisamente di un uso discrezionale e utilitaristico delle norme giuridiche in modo di ottenere il risultato voluto indipendentemente dall’esistenza o meno di “fattispecie di reato” corrispondenti alle accuse.

Nel caso di Cospito la cosa appare clamorosamente evidente: gli è stata contestata una “strage politica” contro la “sicurezza dello Stato” per un ordigno esplosivo collocato fuori di una caserma dei Carabinieri, a Fossano (Cuneo), da cui non sono derivati danni di nessun genere a nessuna persona.

Per capire l’eccezionalità di questa accusa basta ricordare che non era mai stata sollevata, neanche per la strage di Piazza Fontana o per quella alla stazione di Bologna, che certo ebbero qualche conseguenza politica più importante che non il “petardone” di Fossano.

Ma questa accusa è funzionale a comminargli la pena dell’ergastolo, per di più “ostativo” (senza quindi possibilità di fruire dei normali benefici previsti dalla legge Gozzini”) e la detenzione in regime di 41bis. Non hai fatto granché, ma ti voglio tenere in galera a vita e quindi ti accuso della cosa più grave che esista…

Più stupefacente, anche se per ora con conseguenze meno mortifere, è quanto accaduto nelle indagini che hanno portato al maxi-processo contro il centro sociale Askatasuna di Torino.

Centinaia di telefonate tra gli imputati e i loro avvocati difensori sono state infatti intercettate. Cosa vietata dalla legge tranne che per il reato di “terrorismo”, che evidentemente non ricorre in questo caso. Può capitare che qualche comunicazione venga intercettata lo stesso, ma in quel caso deve essere distrutta e non può essere utilizzata nel procedimento.

La ragione di questo storico divieto è la protezione di un rapporto equilibrato tra le parti (accusa e difesa) nel corso del processo. Se l’accusa (magistratura e forze di polizia incaricate delle indagini), oltre alla già straripante potenza di mezzi a disposizione, dispongono anche della conoscenza dettagliata della strategia processuale della difesa (imputati e relativi avvocati) il processo diventa una cerimonia inutile.

Ma c’è stato anche di più. Come riferito dall’avvocato Claudio Novaro, difensori dei compagni dell’Askatasuna, le registrazioni di quelle intercettazioni – invece di essere distrutte – sono state riportate nei “brogliacci” presentati dalle forze di polizia nel fascicolo presentato alla Procura.

Le conversazioni erano state intercettate durante le indagini preliminari e non figurano tra gli atti processuali, ma la loro presenza è dimostrata proprio dai brogliacci.

Un autogol clamoroso che si spiega solo con l’abitudine a “fare le cose in quel modo”, come se la difesa degli imputati fosse solo un fastidioso impiccio da sopprimere di forza.

«Le intercettazioni vanno dal dicembre 2019 a meno di un anno dopo e – spiega l’avvocato che difende circa la metà degli imputati sono a carico di una serie di soggetti di area di Askatasuna e No Tav. Qualche udienza fa avevo detto che c’erano intercettazioni trascritte tra difensori e assistiti, il pm aveva replicato che non era possibile.

Ci siamo, allora, presi la briga di fare un conteggio, tra me e una mia assistita ci sono 69 intercettazioni. Volevamo che ciò fosse messo a verbale questa incongruità, anche per dare un’idea di come sono state fatte le indagini ovvero con metodi estremamente pervasivi. Il Tribunale ci ha detto di fare un elenco, cosa che faremo e consegneremo.

Faremo, inoltre, un’istanza in procura perché vengano distrutte queste intercettazioni e, poi, una segnalazione al Consiglio dell’ordine perché è inammissibile che vengano registrate e trascritte le intercettazioni tra imputati e difensori».

Il maxiprocesso contro Askatasuna vede 16 dei 28 imputati accusati di “associazione a delinquere”, reato molto più grave – e anche piuttosto indimostrabile, visto che certo dall’attività politica antagonista è difficile trarre un “ingiusto profitto” – che consente non solo pene detentive più alte in caso di condanna, ma tempi di prescrizione più lunghi, ecc.

I “reati”, nel loro insieme, sarebbero stati commessi naturalmente in Val Susa, nell’opposizione ai lavori (semi-fermi, visto che la Francia mostra ancora molte perplessità sull’opera) per il Tav Torino-Lione.

Ma anche a Torino, e addirittura nell’attività dello Spazio Neruda, che si occupa di assistenza ai migranti.

E’ ancora l’avvocato Notaro a spiegare la situazione nei suoi termini concreti. «Il reato associativo non sta, in questo caso, né in cielo né in terra. Per confutarlo, avremo molti testi che ricostruiranno cosa sono davvero Askatasuna e il movimento No Tav».

Ma fa notare anche come quella della Procura sia una pericolosa “consuetudine”. «Come quando misero le microspie per ascoltare Dana Lauriola e Nicoletta Dosio che andavano in treno a Bologna per un dibattito. Il quadro che emerge è allarmante dal punto di vista della tutela della privacy, le intercettazioni dovrebbero essere calibrate su esigenze particolari e con una durata limitata. Tutto ciò dà la misura di come abbiano lavorato gli inquirenti».

Gli storici avranno insomma parecchio materiale su cui lavorare…

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