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Salvini, ministro a sua insaputa…

Due ore di blocco totale della circolazione dei treni – la Stazione Termini e lo snodo di Roma sono il baricentro dei trasporti ferroviari nazionali – e un ministro che blatera “mi chiedo come sia possibile che in una potenza industriale si fermi tutto per un chiodo piantato da un operaio”.

Sappiamo che si tratta del ministro dei trasporti meno brillante degli ultimi 40 anni (e sì che ne avevamo visti di tremendi….). Sappiamo che le uniche parti che è in grado di recitare sono quella dell’orco contro i deboli (migranti, studenti, operai, senza casa, ecc), oppure quella della “vittima di un complotto” (con la magistratura, in genere). Ma qui vene il dubbio che Giorgia Meloni, nel dargli l’incarico, si sia dimenticata di dirgli che da quel momento la responsabilità politica del funzionamento dei treni o degli aerei era tutta sua. Di Salvini, insomma….

Siccome sembra ignorare il funzionamento complessivo del sistema dei trasporti che dovrebbe governare – non ridete, ma questo sarebbe il compito del ministro di Villa Patrizi – proviamo noi a descrivergli cause, portata e possibili rimedi a una situazione da “quinto mondo”.

La spiegazione offerta da Gianpiero Strisciuglio, amministratore delegato di Rfi (la società a controllo pubblico che si occupa di gestire la rete ferroviaria, cervelloticamente separata dalle altre tre che nell’insieme costituiscono le “Ferrovie dello Stato”), risulta infatti tecnicamente precisa ma largamente incompleta.

C’è stato un guasto a una cabina elettrica che alimenta gli impianti di circolazione all’interno del nodo di Roma, tutto è capitato intorno alle 6.30 del mattino rendendo impossibile l’utilizzo degli impianti delle stazioni di Roma Termini e di Roma Tiburtina. Il guasto è stato provocato da alcuni lavori notturni effettuati da un’azienda esterna al gruppo Ferrovie, un’attività svolta in modo non corretto che ha danneggiato un cavo e compromesso il funzionamento dell’alimentazione elettrica di una cabina.

A quel punto si è aggiunto il malfunzionamento della stessa cabina, anziché intervenire il sistema di alimentazione alternativo è scattata la messa in sicurezza dell’operatività, scollegando tutto. Una serie di malfunzionamenti, ma originati dal danno sulla linea elettrica causato dalla ditta esterna“.

Tutto chiaro? Una imprecisata “ditta esterna” stava facendo lavori di manutenzione sulla dorsale dei trasporti ferroviari italiani. E’ plausibile – conoscendo bene la cascata degli appalti al massimo ribasso, sdoganati per “ridurre i costi”, come ha dimostrato al mondo la recente strage di Brandizzo – che quella ditta non rappresenti proprio il top delle competenze in materia, o che i lavoratori mandati ad eseguire i lavori non possedessero le necessarie specializzazioni (intervenire su un sistema elettromeccanico integrato a livello nazionale non è come scaricare cassette di ortaggi et similia).

Comunque sia, dice ancora Strisciuglio, Noi [ossia Rfi, quelli che hanno il know how e il personale esperto, ndr] ci siamo subito attivati con tutte le verifiche, ma il primo responso attribuisce in maniera chiara la responsabilità al danno sul cavo come causa principale dell’interruzione del servizio“.

Sentito dal Corriere, definisce il guasto come “raro”. La rarità è nel fatto che la cabina di per sé ha una dotazione che le consente di supplire al primo malfunzionamento, ma in realtà all’interno della stessa cabina, come detto, qualcosa si è bloccato e questo è tuttora oggetto di ulteriori approfondimenti. Le cosiddette ridondanze tecniche che salvaguardano il funzionamento dell’impianto sono state, ripeto, vanificate da questa catena di anomalie“.

In un paio di ore (alle 8.30, ndr) abbiamo rimesso in funzione il sistema di backup. Si tratta di un intervenuto molto complesso che i nostri manutentori hanno ripristinato in tempi record, ma poi occorre comunque del tempo per riavviare con gradualità i nostri impianti in modo di assicurare la necessaria sicurezza della circolazione dei Treni“.

Non dubitiamo che i manutentori di Rfi – assunti, formati, dotati di tutte le informazioni e dell’esperienza necessaria – siano di altissimo livello. E che quindi siano stati in grado di riparare velocemente il guasto.

La domanda che tutto il paese pone a lui e al cosiddetto ministro è: perché quell’intervento sulla rete non è stato eseguito da loro ed è stato invece subappaltato a una sconosciuta “ditta esterna”?

La risposta è semplice: perché quei bravissimi manutentori di Rfi sono troppo pochi per occuparsi di tutte le migliaia di chilometri delle ferrovie italiane.

E naturalmente sono così pochi in conseguenza di quel processo di “privatizzazione della gestione” tesa a fare di Fs una società che produce profitto, quindi abbassa i costi, riduce al minimo il personale e alza il prezzo dei biglietti.

All’interno di Fs, oltretutto, Rfi gioca il ruolo di “fornitore dell’hardware” per società in concorrenza tra loro sull’alta velocità (solo due: Trenitalia e Italo), nonché per tutta una serie di gestori regionali che ora operano con gli stessi criteri e risultati sociali disastrosi (basti pensare alle sofferenze quotidiane che Trenord infligge ai suoi “clienti”).

E’ il risultato insomma di un trentennio di logiche finanziarie e privatistiche che hanno progressivamente demolito l’efficienza nel funzionamento di una infrastruttura chiave per la mobilità umana in questo paese (quella delle merci è affidata soprattutto al trasporto su gomma, “grazie” al secolare servilismo dei governi nei confronti dell’ormai fuggita Fiat).

A un ministro oggi non si chiede di fare l’eco a quel che si chiedono già da soli i passeggeri (“com’è possibile che un chiodo…”, ecc), ma di mettere mano a un sistema che palesemente non funziona più, ripristinando – e ci vuole anche tempo, oltre che soldi – i servizi indispensabili a garantire il quotidiano funzionamento del complesso sistema ferroviario italiano.

Si tratta, in una parola, di cominciare a riportare le Ferrovie dello Stato alla funzione effettiva di fornitori di un servizio pubblico, ovvero efficiente e rispondente al “bisogno di mobilità” che invece viene brandito come una minaccia contro i sindacati.

Non è una cosa inconcepibile. Anche là dove la privatizzazione delle ferrovie era iniziata – nella Gran Bretagna della Thatcher – si è da tempo ripresa la strada della pubblicizzazione. E per gli stessi motivi: le Ferrovie Britanniche avevano perso la loro storica fama di efficienza, distrutte da una catena di incidenti che non si verifica più neanche in India, forse…

Ma sappiamo che è chiedere troppo a un Salvini…

Meglio limitarsi a “licenziare” la “ditta esterna”, che magari si rifarà licenziando i propri dipendenti (se pure li aveva assunti con qualche forma di contratto legale”) e recitare la parte della “vittima indignata”. Della propria incompetenza…

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