Mentre qui si ciancia di flat tax – tassa piatta, ossia con un’unica aliquota, che serve soltanto a chi ha redditi alti o altissimi – in altri luoghi di abbattono drasticamente le aliquote fiscali sui redditi mantenendo rigorosamente quella progressività che è prevista anche dalla nostra Costituzione.
Visto che non stiamo parlando né dell’Italia, né di altri paesi europei, per trovare questo luogo ottimo per i meno abbienti bisogna viaggiare davvero tanto. E arrivare in Cina.
Avevamo scritto, qualche mese fa, della decisione del governo di Pechino, anche se – in quel momento – era difficile per noi (e anche per i cinesi) calcolare esattamente il guadagno che ne sarebbe derivato in termini di reddito spendibile.
Oggi siamo in grado di farlo grazie alle “istruzioni” diramate ai commercialisti del Celeste Impero, quelli che materialmente debbono fare i calcoli e aggiornare le buste paga (su cui già è piovuto l’annuale aumento salariale).
Un breve documento di appena sei pagine che descrive con pochi numero un innalzamento reddituale spaventoso per “appena” un miliardo e 400 milioni di persone. Se si tiene presente che dovunque, anche in Cina, il reddito disponibile dei lavoratori si traduce quasi integralmente in consumi personali, si comincia ad intuire l’effetto-trascinamento di queste nuove aliquote fiscali sul mercato interno. In termini di crescita economica supplementare per un paese-continente che già ora viaggia in media sul +6,5% annuo, dopo oltre un trentennio passato a correre sopra il 10%.
Per capirci: qui si brinderebbe per avere l’1% alla fine del 2019…
La nota esplicativa per commercialisti inizia precisando la distinzione tra “residenti” e “non residenti” (coloro che non sono dimiciliati nel paese ma che vi lavorano per meno di 183 giorni l’anno; come in Australia, insomma).
Il nuovo sistema fiscale IIT si applica omunque anche a chi lavora nel paese meno di 90 giorni l’anno e si applica a tutti i redditi (“salari, remunerazione per servizi, diritti d’autore, royalties, profitti, interessi, dividendi, bonus, incassi da affitti, passaggi di proprietà, ecc”).
Quindi si passa a quantificare le “deduzioni fiscali” che, come in molti altri paesi, riguardano diverse voci.
Come si vede, le spese scolastiche fruttano una deduzione molto alta, com’è logico che sia per un paese che da 70 anni sta investendo moltissimo nella crescita della conoscenza in tutte le fasce della popolazione. 1.000 yuan al mese “133 euro) per ogni bambino piccolo, 400 (53 euro) per ogni studente delle superiori e 300 (40 euro) per ogni studente impegnato nell’ottenere “qualifiche professionali ottenute sul posto di lavoro e/o con il sostegno di Università o College”.
Ricordiamo qui che la conversione ufficiale yuan/euro non tiene conto del “potere d’acquisto” effettivo nelle due monete; in altri termini, dati la diversa struttura e livello dei prezzi, una cifra inferiore in Cina permette di comprare merci e servizi pari ad una superiore nell’eurozona.
Fortissime anche le deduzioni annuali per spese mediche per malattie particolarmente gravi (80.000 yuan l’anno, ossia 10.600 euro). Aumentate a 1.000 yuan mensili anche le detrazioni per i mutui immobiliari, così come per gli affitti. Incrementate anche quelle per la cura dei genitori anziani (2.000 yuan al mese, 266 euro).
Ma sono le aliquote fiscali a delineare con chiarezza la “progressività” della tassazione e dunque l’intento di favorire soprattutto i redditi medio bassi.
Nella tabella potete vedere come l’aliquota cresca dal 3% (per i reddito fino a 36.000 yuan, ossia 4.800 euro) fino al 45% (oltre i 960.000, ovvero 127.600 euro).
Segnaliamo in particolare che fino a 144.000 yuan (19.100 euro) si paga solo il 10% e fino a 300mila (40.000 euro!)il 20%. In Italia, patria del neoliberismo servile, sapete da soli che si comincia a pagare il 23% dagli 8.000 ai 15.000 euro, il 27% fino ai 28.000, e con un potere d’acquisto della moneta assai minore!
Nella nota esplicativa che ci è giunta, a questo punto, seguono una serie di esempi si come calcolare l’intreccio tra riduzione delle aliquote ed aumento delle detrazioni. Da cui discende un notevole cambiamento reddituale netto, che in alcuni casi arriva a sfiorare il 30%.
Né si può dire che i “non residenti” siano trattati peggio. La tabella qui sotto parla di redditi mensili (ricordiamo che sono considerati non residenti coloro che lavorano in Cina meno di sei mesi l’anno), con aliquote identiche per redditi anche molto consistenti. Con un reddito di oltre 3.300 euro (25.000 yuan), infatti, si paga ancora solo il 20%.
Possiamo chiudere qui, ricordando che stiamo parlando soltanto delle conseguenze economiche (crescita dei consumi e del mercato interno come locomotiva della crescita del Pil; l’esatto opposto del modello mercantilista tedesco-europeo, fondato su bassi salari per favorire le esportazioni di merci ormai “mature” e a basso contenuto di innovazione tecnologica). Le considerazioni sulla “giustizia sociale”, e le relative diatribe ideologiche, le lasciamo volentieri ad altri o ad altre occasioni.
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Luciano
Beh, non dimentichiamoci però che i cinesi sono pur sempre “schiavi”…
Redazione Contropiano
sui media italiani certamente…