Ricordare, come ogni altra attività umana, è una lotta. Non c’è nulla di definitivo per la buona ragione che le cose cambiano nel tempo, col mutare dei protagonisti, con lo svanire del “contesto” entro cui un avvenimento – di piccole o enormi dimensioni – aveva un senso univoco.
Un senso che era il risultato di un’altra lotta. In questo caso epocale, come la Seconda Guerra Mondiale e la distruzione dei regimi nazifascisti. Una guerra che sarebbe stata “la solita guerra” se, a parte le dimensioni effettivamente mondiali, non avesse partorito due novità assolute: un genocidio compiuto con logica e tecniche industriali, e la bomba atomica.
I lager nazisti furono decisamente una “prima volta”, di cui si cominciarono a conoscere realtà e implicazioni solo con l’arrivo dell’Armata Rossa ad Auschwitz. Non che fossero mancati, nella Storia, altri stermini di massa, ma solo il nazismo aveva programmato ed eseguito scientificamente il tentativo di eliminare totalmente alcune figure umane.
Chi su base religiosa (gli ebrei), chi su base etnica (sinti, rom,”gli zingari” in genere), chi sulla base dei comportamenti sessuali (i gay, ecc), chi sulla base delle idee politiche (comunisti e antifascisti).
Conosciamo bene il tentativo di ridurre l’oscenità dell’Olocausto al solo sterminio degli ebrei, così da farne una sorta di salvacondotto per qualsiasi azione dello Stato di Israele.
Un riduzionismo che arriva, come in questi giorni, alla pretesa della comunità ebraica italiana di “amputare” l’identità dei propri stessi correligionari – come Primo Levi e tanti altri – che non hanno mai lesinato critiche feroci contro partiti e governi di Tel Aviv, dalla fondazione in poi.
Celebre, in questo senso, il “manifesto” sulle “radici fasciste del Likud” (il partito che poi sarebbe stato guidato da Netanyahu) firmato dalle più eminenti personalità ebraiche della scienza e della cultura, da Einstein ad Arendt.
Chiaro anche qui il senso politico della sortita della presidente delle comunità ebraiche, Normi Di Segni, che ha intimato agli studenti palestinesi in Italia, “rei” di aver convocato una manifestazione di sabato citando parole famose di un ebreo antifascista sopravvissuto ai lager: “Lasciate Primo Levi alla nostra memoria“. E, gia che c’era, chiedere al governo “post-fascista” di vietarne la manifestazione…
Gli ebrei che criticano duramente Israele e il suo governo sono in effetti una spina nel fianco del sionismo genocida, perché riconoscono e rivelano la contraddizione mostruosa dell’esser passati nell’arco di tre generazioni da vittime innocenti a stragisti razzisti impuniti.
Ma nell’Occidente imperialista il fronte pro-sterminio appare compatto, a livello di establishment (classe dirigente e media). Lo sforzo comune è tutto teso a negare la legittimità del termine “genocidio” per quel che accade a Gaza, come se – tolto questo “contrassegno” – la realtà del massacro fosse più accettabile, “normale”, “giustificata”.
C’è quindi stata una evidente inversione dei punti vista sugli stermini di civili, rispetto a 80 anni fa. Alcuni sono tornati “ammissibili”, altri sono l'”orrore terrorista”. Ma non c’è un criterio oggettivo, universale, valido per tutti: “dipende” da chi sono le vittime e chi i carnefici. Doppio standard, senza arbitro…
Questo cortocircuito valoriale e logico sta impestando il “senso comune” delle popolazioni nell’Occidente in crisi, al punto da rendere impossibile un serio confronto anche sul piano strettamente razionale.
Ma ogni cortocircuito è insuperabile solo per chi ci si muove dentro, senza mai trovare una via d’uscita. Questo intervento-testimonianza di Franco “Bifo” Berardi – con cui pure abbiamo una storica distanza di impostazione teorica – propone invece meritoriamente un “punto di vista” esterno all’Occidente. E che cambia anche l’astronomia dei concetti.
“Quel che gli europei non perdonano a Hitler non è il crimine in sé, il crimine contro l’umanità, l’umiliazione dell’umano in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco. Quel che non si perdona a Hitler è il fatto di avere applicato in Europa le tecniche coloniali accettate con gli arabi in Algeria, i coolies dell’India e i neri dell’Africa” (Aimé Cesaire, 1951).
Il segreto dell'”inversione valoriale”, dalla comune lotta al nazifascismo all'”ammissibilità” (giustificazione, minimizzazione, negazione, ecc) di alcuni stermini di massa, sta tutta qui.
Il suprematismo nazista era (ed è ancora) fondato sulla superiorità della molto immaginaria “razza germanica”; quello israeliano sulla altrettanto immaginaria superiorità di un “popolo eletto” in contatto diretto con un dio privato, al tempo stesso “uno e solo”, ostile a tutto il resto dell’umanità, che avrebbe garantito una terra in fondo piccola, ma dai confini incerti, soltanto ai propri fedeli. Tremila e più anni non passano invano, per qualsiasi religione, e trasformano ogni mito fondativo in un insulto all’intelligenza umana…
Sono palesemente due delle tante varianti dello stesso ceppo: il suprematismo bianco, forgiato nei massacri coloniali compiuti dalle potenze occidentali in cinque secoli di capitalismo, e senza particolari differenze tra le potenze coloniali temporaneamente egemoni (Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Inghilterra, Usa) o che hanno provato a diventarlo (Germania, Italia).
Di questo si tratta, e l’ostilità di tutto il resto del mondo nei confronti dell’Occidente neoliberista – indipendentemente dai regimi politici, dai sistemi economici e dal colore della pelle – ce lo sta dicendo in tutti i modi. Più si va avanti così, meno “gentile” sarà la soluzione della contraddizione.
Un’epoca storica iniziata con la scoperta dell’America e l’avanzata della borghesia, sta finendo. Non capirlo significa accettare di nuotare nel sangue. E non sarà solo quello degli untermenschen, come nelle guerre coloniali o “asimmetriche”.
Quel discorso che l’ammiraglio statunitense Bauer, comandante del NATO Military Committee, ha fatto a proposito della necessità di reclutare nei prossimi anni molta più “carne da cannone”, anche nelle metropoli dell’Occidente neoliberista, questo e nient’altro significa.
Rovesciare la tendenza, garantire un futuro all’umanità e un equilibrio con la Natura, significa superare definitivamente capitalismo e il suo storico corollario ideologico: il suprematismo bianco.
Buona lettura
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Quando insegnavo all’istituto serale per adulti ogni anno dedicavo molto spazio al giorno della memoria. Leggevo qualche pagina di Primo Levi, ricostruivo gli eventi che portarono all’emergere del Nazismo tedesco, e spiegavo il significato dell’Olocausto degli ebrei nella storia moderna d’Europa.
Una volta proposi di fare un tema sull’argomento, e lo studente Claude scrisse una cosa sorprendente. Claude, un ragazzo senegalese, molto preparato ma piuttosto taciturno, scrisse che lui non capiva perché ogni anno si ricordano le sofferenze degli ebrei, mentre non c’è una giornata dedicata a ricordare le sofferenze immense e prolungate degli africani, la tratta dei neri e lo schiavismo.
Dedicai al suo tema l’intera lezione successiva. Dissi che in effetti la memoria europea si concentra su un evento che pur essendo di enorme importanza non è il solo Olocausto della storia. Parlai delle grandi ondate di sterminio razzista: dello sterminio dei quattro quinti della popolazione indigena del Sud America da parte dei colonizzatori spagnoli. Del genocidio perfetto delle popolazioni indigene del Nord America.
Parlai del fatto che i colonizzatori inglesi del continente australiano fino a settant’anni fa potevano legalmente uccidere a fucilate un aborigeno.
Conclusi dicendo che ricordando l’Olocausto degli ebrei intendiamo onorare la memoria di tutti coloro che, in ogni continente, hanno subito la violenza della razza sterminatrice, bianca, cristiana e occidentale.
Se oggi insegnassi ancora a studenti adulti e per gran parte stranieri, come facevo fino a dieci anni fa, credo che darei una risposta più dettagliata. Quest’anno, infatti, chiunque intenda celebrare – come è giusto fare – il giorno della memoria, dovrebbe ricordare che Hitler non è che uno dei tanti sterminatori di cui la storia moderna è gremita.
Nel suo Discours sur le colonialisme del 1951 scriveva Aimé Cesaire:
“Quel che gli europei non perdonano a Hitler non è il crimine in sé, il crimine contro l’umanità, l’umiliazione dell’umano in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco. Quel che non si perdona a Hitler è il fatto di avere applicato in Europa le tecniche coloniali accettate con gli arabi in Algeria, i coolies dell’India e i neri dell’Africa”.
Poiché l’oblio non è concesso
A questo punto confesso che non sono un grande fan della memoria. Credo infatti che saremmo tutti più felici se fossimo capaci di oblio. Ma tremila anni di odio di guerra e di Bibbia hanno provato che non ne siamo capaci. Non siamo capaci di dimenticare il male ricevuto, perciò la memoria ci ossessiona e ci spinge a replicare il male, a usare contro chi è più debole la violenza che abbiamo subito da chi era più forte di noi.
Dunque, poiché l’oblio non ci è concesso, ben venga la memoria. Ma è bene che la memoria sia, stavolta, rispettosa della verità.
La prima verità che ricordiamo è che gli ebrei sono state vittime di una violenza immensa da parte del regime nazista di Hitler e da parte di tutti i popoli europei – i francesi, i polacchi, gli italiani, i romeni, gli ucraini che in buona parte sostennero la persecuzione degli ebrei.
La seconda verità è che quello sterminio è solo uno dei tanti con cui il suprematismo bianco ha sottomesso i popoli del mondo per secoli, obbligandoli a subire lo sfruttamento coloniale. La violenza di cui furono oggetto gli ebrei nel decennio Quaranta del secolo ventesimo è la stessa violenza di cui in tempi diversi sono stati oggetto i popoli colonizzati d’Asia d’Africa e d’America.
Quest’anno, in particolare, occorre avere una memoria malata per non capire che la campagna genocida che si sta compiendo a Gaza ridefinisce brutalmente il senso stesso della nostra memoria del passato.
La violenza razzista e colonialista di Israele non è una novità degli ultimi tre mesi; essa inizia nel 1948 con la deportazione forzata di settecentomila palestinesi, ed è continuata con la creazione di un regime di apartheid, con l’umiliazione continua dei palestinesi da parte delle truppe israeliane, con la distruzione sistematica delle abitazioni palestinesi in Cisgiordania, con la moltiplicazione degli insediamenti coloniali armati che hanno messo la Cisgiordania sotto controllo militare.
Dal 2007 Gaza è un vero e proprio campo di concentramento dal quale non si può uscire e nel quale la vita quotidiana è resa impossibile dalle continue aggressioni.
Negli ultimi anni avevamo creduto che la questione fosse risolta con la definitiva umiliazione dei palestinesi, ma l’atroce vendetta del 7 ottobre ha costretto tutti a capire che così non era. Dopo quella data la risposta di Israele è diventata talmente simile a un genocidio che nessuno nel mondo può più ignorare quel che molti ignoravano fino al 7 ottobre: da 75 anni i palestinesi sono sottoposti a deportazione, discriminazione etnica, internamento in campi di sterminio, omicidi casuali e omicidi mirati.
In Europa è vietato dire queste verità che nessuno storico può negare. Coloro che si resero responsabili dello sterminio del popolo ebraico, cioè i popoli europei, sono diventati sostenitori della colonizzazione israeliana in Palestina, dopo la sconfitta della Germania hitleriana.
Quelli fra gli europei che furono più antisemiti nel passato, quelli che più apertamente fascisti sono nel presente, quelli sono oggi i più inflessibili sostenitori del nazional-sionismo.
In Germania la verità di stato si fonda sull’indiscutibilità di ciò che fa Israele. Le forze politiche e culturali che furono più apertamente antisemite e parteciparono al genocidio degli ebrei, sono oggi le più accanite sostenitrici di Israele. Più hanno collaborato con il Nazismo e più appoggiano le politiche di Israele nei confronti dei palestinesi.
Queste cose dobbiamo dirle nel giorno della memoria, altrimenti ripeteremo parole retoriche, ipocrite e false.
Oltre la memoria
Mentre esercitiamo la memoria, però, sarebbe opportuno esercitare anche l’immaginazione e la previsione del futuro.
L’effetto provocato dall’aggressione israeliana ha spalancato l’abisso tra colonialismo e mondo colonizzato, e acutizza l’odio razziale che ora tende a rivolgersi in maniera convergente contro il mondo bianco.
In un articolo pubblicato da Al Jazeera del 17 gennaio 2024, Saul Takahashi, professore all’Università di Osaka, Giappone, sostiene che l’evento Gaza sarà la tomba dell’egemonia occidentale sul mondo:
“sostenendo le atrocità di Israele a Gaza l’Occidente ha dissipato quel che rimaneva della sua credibilità e ha spinto fino a un punto di non ritorno la crisi dell’ordine internazionale regolato” (Gaza will be the grave of the Western-led world order, Al Jazeera, 17 dic 24).
Credo che Takahashi abbia ragione: Israele è percepita in tutto il mondo come l’avamposto del colonialismo occidentale.
Una parte della comunità ebraica, soprattutto nella diaspora, è oggi perfettamente consapevole della inaccettabilità delle menzogne israeliane. Israelism, il documentario di Eric Axelman e Sam Eilertse (due filmaker ebrei), mostra la miscela di suprematismo e fanatismo etno-religioso che ha preso forma nella cultura israeliana e nell’evangelismo razzista-trumpista nordamericano.
E mostra come la fusione tra colonialismo laico e fondamentalismo religioso ha prodotto effetti di aggressività e di sopraffazione sistematica.
Gaza è diventato il nucleo di una rivolta etica di proporzioni mondiali: il mondo bianco si arrocca bellicoso a difesa del sionismo genocida, ma si trova sempre più isolato, assediato dall’odio crescente del sud del mondo e anche dalla rivolta dei giovani, prima di tutto degli studenti ebrei americani.
Il processo che il Sud Africa ha aperto all’Aja contro le politiche israeliane denuncia un genocidio che è sotto gli occhi di tutti: le scelte di Netanyahu e le parole esplicite di molti dei dirigenti politici e militari del suo paese puntano all’eliminazione di una intera generazione di palestinesi.
In miliardi di persone nel pianeta il processo dell’Aja riattiva la memoria di ciò che il colonialismo ha fatto nei secoli passati e continua a fare con lo sfruttamento, l’estrattivismo, e lo sterminio.
Inoltre sembra che le parole: Free Palestine condensino il sentimento prevalente della generazione emergente. Nelle dimostrazioni pubbliche e nelle reti social queste due parole sono ripetute ogni giorno un miliardo di volte.
Ma cosa significa questa identificazione dei giovani con la Palestina? Dalla Palestina viene forse una strategia per il futuro con la quale identificarsi? Mi pare di no.
Chi grida in strada o scrive sui social “Free Palestine” non si identifica con Hamas, né con l’islamismo, né con il nazionalismo arabo. Si identifica con la disperazione, con l’assenza di futuro dei palestinesi, schiacciati da decenni di isolamento, aggressione, menzogna.
La rivolta etica contro lo sterminio dei civili di Gaza coagula la disperazione di una generazione che non vede più vie d’uscita rispetto al collasso geopolitico che va diffondendo la guerra, al collasso climatico che non si vuole o non si può arrestare, e alla disintegrazione della civiltà sociale provocata dal neoliberismo.
È da questa disperazione che dobbiamo ripartire, nel giorno della memoria.
* da Comune.info
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piero deola
Siete certi che è tutto vero e tutto documentato?
Vannini Andrea
La verità è che l’ ideologia sionista altro non è che una versione di quella fascista. La verità è che dal 1948 i sionisti perseguitano il popolo palestinese e perseguono l’ obiettivo della pulizia etnica. La verità è che hanno creato campi di concentramento e sterminio. La verità è che praticano il genocidio. Sono diversi dagli HITLERIANI?
Maria Rita Bregola
Vedere la bandiera israeliana nella foto di un articolo sul giorno della memoria, mi disgusta. Israele non rappresenta gli ebrei, anzi. È diventata come gli aguzzini nazisti. Il vademecum di comportamento rilasciato dalla comunità ebraica è pure disgustoso. Asserisce che chi critica Israele è antisemita. Questa specie di sillogismo eleva automaticamente in maniera considerevole, gli antisemiti nel mondo.
Pina M.
(..) Sentiamo spesso parlare della Shoah come del male assoluto. Credo che “assoluto”, in questo contesto, esprima il fondamento di un imperativo categorico universale: « Mai più questo deve accadere, a nessuno»; e non certamente di un’interdizione particolare: “Mai più questo deve accadere a noi”.
«Assoluto» esprime cioè la proibizione di relativizzare questo male. Cioè di usarlo – Dio non voglia, verrebbe proprio da dire – come un’arma di parte, come una
«narrazione» che sia lecito opporre ad altre «narrazioni»,
quindi come un punto di vista che non presenta affatto una verità assoluta. (..) Ricordare la Shoah è un dovere per tutti. Ma sarebbe devastante se chi ricorda la Shoah lo facesse, come diceva Kant, non «per» dovere, ma solo
«in conformità» a un dovere: come dire,
è un dovere, certo, ma mi serve
anche ad altri scopi, per esempio scopi di propaganda politica, o bellica. L’assolutezza di quel male ne sarebbe distrutta. La memoria della Shoah è una barriera contro l’antisemitismo, e opporsi all’antisemitismo è sacrosanto, cioè è un dovere assoluto (..). Ma tutti questi assoluti
sono relativizzati se l’accusa di antisemitismo diventa un’arma di parte, un ricatto pendente sulla testa di chi denuncia la negazione dell’umanità in un altro corpo. Quello degli armeni, quello dei curdi – quello dei palestinesi.(..) Se si trasforma l’accusa di antisemitismo in un’arma di parte, si distrugge l’assolutezza del male che si denuncia. (..) R.de Monticelli
In’J’accuse’ di F.Albanese